Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2329 del 03/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 03/02/2020), n.2329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14450-2018 proposto da:

D.A.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO,

23, presso lo studio dell’avvocato ANDREA VOLPINI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6716/2017 della CORTE D’APPELLO di RONLA,

depositata il 24/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI

MARZIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – D.A.K., cittadino senegalese, ricorre per tre mezzi nei confronti del Ministero dell’Interno contro sentenza del 24 ottobre 2017 con cui la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello da lui proposto avverso ordinanza del locale Tribunale di rigetto dell’impugnazione del provvedimento di diniego, da parte della competente Commissione territoriale, della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.

2. – Non spiega difese l’amministrazione intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. – Il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, difetto di motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver espresso un giudizio di non credibilità del richiedente formulato in difformità dai parametri normativi vigenti.

Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), censurando la sentenza impugnata per aver omesso “di valutare una serie di circostanze che avrebbero dovuto arrivare ad una conclusione favorevole ai fini del riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria”, in particolare “documentazione che comprovavano la sua condizione delle violenze subite” oltre alla frequentazione di “una delle più grandi associazioni per la tutela degli omosessuali in Italia”, tanto più che egli aveva reso dichiarazioni da ritenersi credibili e in buona fede.

Il terzo motivo denuncia violazione di legge in merito al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, censurando la sentenza impugnata per aver negato il riconoscimento della protezione umanitaria.

Ritenuto che:

4. – Il Collegio ha disposto la redazione del provvedimento in forma semplificata.

5. – Il ricorso è inammissibile.

5.1. – E’ inammissibile il primo motivo.

Il ricorrente lamenta la violazione dei parametri normativi previsti per la verifica di credibilità del richiedente la protezione internazionale.

Ed invero, sotto la rubrica: “Esame dei fatti e delle circostanze”, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, “Attuazione della Dir. 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”, disciplina per un verso gli oneri di allegazione e prova gravanti su colui il quale richiede la protezione internazionale, per altro verso gli obblighi cui il giudice è sottoposto nello scrutinare la richiesta.

Sotto il primo aspetto, una volta allegati, i fatti posti a sostegno della domanda di protezione internazionale vanno provati dal richiedente, sia pure entro speciali limiti, e con peculiari agevolazioni. Stabilisce difatti il menzionato art. 3, comma 5, che, qualora taluni elementi posti a sostegno della domanda di protezione internazionale non siano suffragati da prove, prove che dunque la norma ribadisce di porre di regola a carico dell’interessato, essi sono considerati veritieri ove possa ritenersi che il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda:

-) abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e, così, abbia offerto tutti gli elementi pertinenti in suo possesso ed abbia fornito una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

-) abbia fornito dichiarazioni coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone, e risulti altresì, in generale credibile.

In perfetta sintonia con il quadro normativo, la Corte territoriale ha nella specie ritenuto che il richiedente non fosse credibile per aver avanzato la richiesta di protezione internazionale solo nel 2014, pur essendo entrato in Italia già nel 2008: ed invero, ha osservato il giudice di merito, doveva ritenersi del tutto implausibile che il ricorrente, perseguitato per la sua omosessualità del paese di origine, pur essendo in contatto con organizzazioni per la protezione degli omosessuali, non avesse per così tanti anni avanzato la domanda, optando così incomprensibilmente per una situazione di clandestinità.

Tale valutazione, oltre a trovare specifica giustificazione sul D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. d), il quale richiede per la valutazione di credibilità del richiedente che egli abbia “presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla”, è perfettamente armonica con la medesima disposizione, lett. c, secondo cui i fatti allegati e non provati vanno considerati veritieri se le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone.

Nel caso in esame, in armonia con la previsione normativa, la Corte d’appello ha desunto la non credibilità del richiedente anzitutto in ragione del lasso di tempo intercorso tra l’ingresso nel territorio nazionale e la presentazione della domanda, tanto più che, se effettivamente perseguitato nel proprio paese, ciò non poteva giustificare una così lunga attesa nel richiedere la protezione, non essendo plausibile, a fronte di una situazione di clandestinità, quanto dichiarato in ordine al timore di un arresto se fosse andato alla polizia nonchè con riguardo ad informazioni sulla procedura da seguire.

E’ in definitiva del tutto evidente che, sotto il velo della denuncia di violazione di legge, il ricorrente ha in realtà inteso rimettere in discussione, inammissibilmente, l’accertamento di fatto svolto dal giudice di merito in conformità, come si diceva, al precetto normativo.

5.2. – Il secondo motivo è inammissibile.

Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, nei limiti in cui detto sindacato è tuttora consentito dall’art. 360 c.p.c., vigente numero 5, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357). Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 17 luglio 2001, n. 9662). Oltretutto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (ex plurimis: Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 21 aprile 2006, n. 9368).

Nel caso in esame, allora, è di tutta evidenza il ricorso mira, ancora una volta, a sollecitare una rivalutazione del merito, attraverso la valorizzazione di circostanze, di per sè non decisive, cui il giudice di merito non avrebbe riconosciuto il giusto valore: senza specificamente contrastare l’affermazione del tribunale secondo cui nessun riscontro probatorio era emerso dall’audizione dinanzi al giudice di primo grado, essendosi il richiedente limitato ad affermare di frequentare un club di omosessuali e ad esibire la relativa tessera associativa.

5.3. – Il terzo motivo è inammissibile.

Il ricorrente lamenta il diniego della protezione umanitaria spettantegli in ragione della sua condizione di omosessualità: ma detta censura non ha senso una volta che il giudice di merito ha ritenuto la sua narrazione non credibile, il che involge anche, come espressamente osservato dalla Corte d’appello l’orientamento sessuale del richiedente.

6. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020

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