Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23289 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. II, 23/10/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 23/10/2020), n.23289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20063/2019 proposto da:

H.A., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avv.to FELICE

PATRUNO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE CORTE CASSAZIONE;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BARI, depositata il 28/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Bari, con decreto pubblicato il 28 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da H.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale dopo aver proceduto all’audizione del richiedente, evidenziava che questi, proveniente dal Pakistan, di fede musulmana e con un basso livello di scolarizzazione, aveva riferito di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso dal padre, imam del posto, in ragione della sua omosessualità. Egli all’età di circa (OMISSIS) anni all’uscita di scuola aveva subito abusi da altri ragazzi, tale situazione era andata avanti per circa due anni durante i quali il richiedente aveva cominciato a sentire il bisogno di intrattenere rapporti con persone del medesimo sesso tanto che le stesse violenze erano diventate meno severe. Nel (OMISSIS) durante un rapporto con il suo amico F., conosciuto a scuola, era stato sorpreso da alcune persone che dopo averlo seguito lo avevano aggredito. Era stata poi convocata una riunione del villaggio durante la quale egli era stato picchiato dal proprio padre e rinchiuso in una stanza per 15 giorni. Aiutato dalla madre a fuggire aveva deciso allora di partire per (OMISSIS) dove aveva trovato lavoro ma anche lì era stata scoperta la sua omosessualità ed era stato licenziato. Era partito per la Libia dove era restato per tre anni fino alla partenza per l’Italia nel (OMISSIS).

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto i fatti narrati dal richiedente non erano credibili per le numerose incongruenze e contraddizioni in cui era incorso il richiedente nelle sue audizioni. Il tribunale, richiamate le linee guida in materia di protezione internazionale UNHCR n. 9 sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, evidenziava che il richiedente non aveva fornito alcune indicazioni in merito al suo percorso di maturazione interiore, alla sua consapevolezza dell’identità di genere, ai suoi riflessi nel corso del tempo in ambito familiare e nella sua comunità, ai suoi sentimenti, avendo descritto essenzialmente rapporti fisici. Egli si era limitato a narrare il suo cambiamento facendo riferimento alla necessità sorta dopo le violenze subite di intrattenere rapporti carnali con uomini e, nonostante le sollecitazioni della commissione, non era riuscito a fornire alcuna descrizione specifica della relazione più importante avuto con il suo amico. Il richiedente, nel corso della prima audizione, non aveva riferito degli abusi subiti giustificando tale omissione con una poca plausibile dimenticanza dell’interprete. Le dichiarazioni rese dovevano ritenersi incoerenti anche in considerazione del fatto che nel corso della seconda intervista il richiedente aveva affermato che gli abusi erano stati perpetrati nei confronti suoi e di un altro ragazzo1circostanza poi non confermata successivamente. Peraltro, mancava ogni descrizione e modalità e frequenza delle suddette violenze. Il ricorrente era caduto in un’ulteriore contraddizione in quanto aveva inizialmente esposto di essere fuggito nel 2013 perchè il datore di lavoro aveva scoperto la sua omosessualità mentre davanti al tribunale aveva riferito di essere andato via perchè la sua famiglia aveva scoperto che viveva lì con il suo amico, circostanza peraltro mai menzionata nel precedente verbale. Tutte le contraddizioni rendevano scarsamente credibile l’intera narrazione senza chiarire il percorso di maturazione della consapevolezza circa il suo orientamento sessuale.

L’inattendibilità del racconto effettuato dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in assenza di ulteriori riscontri probatori, rendeva non accoglibile l’istanza di protezione, non sussistendo elementi sui quali concretamente basare una decisione in senso positivo.

Quanto alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), doveva evidenziarsi che mancavano i presupposti connessi alla situazione di conflitto o instabilità interna e in ogni caso la situazione generale del paese non presentava una generalizzata situazione di violenza indiscriminata come risultante dalle fonti internazionali.

Con riferimento alla protezione umanitaria il Tribunale evidenziava che non era possibile desumere alcun pericolo o pregiudizio nel ritorno in patria, in relazione ai diritti fondamentali, nè sussisteva una sua condizione di vulnerabilità. Quanto alla permanenza in Libia il richiedente non aveva spiegato quale connessione vi fosse con la sua domanda di protezione internazionale, egli aveva riferito di avervi trascorso tre anni senza peraltro chiarire i motivi che lo avevano indotto ad allontanarsi da tale paese.

2. H.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

La motivazione del tribunale circa la situazione del Pakistan del Punjab, distretto di Gujrat, sarebbe erronea ed in violazione della norma citata sotto l’aspetto della violenza indiscriminata che le fonti internazionali riconoscono al distretto di provenienza.

1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

L’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Peraltro, il ricorrente non indica altre fonti idonee a superare quelle indicate dal Tribunale. In proposito deve richiamarsi il seguente principio di diritto: In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Sez. 1, Ord. n. 4037 del 2020).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: error in procedendo ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di asilo costituzionale ex art. 10 Cost..

Il ricorrente eccepisce l’omessa pronuncia del Tribunale di Bari sulla domanda di merito gradata di concessione della protezione dell’asilo costituzionale ex art. 10 Cost., in violazione dell’art. 112 c.p.c.. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. A parere del ricorrente a seguito del D.L. n. 113 del 2018, convertito dalla L. n. 132 del 2018, che ha abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari trova nuovamente applicazione il cosiddetto asilo costituzionale.

2.1 Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, Il Tribunale, infatti, ha evidenziato che la domanda di protezione internazionale è stata proposta precedentemente l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 e ha ritenuto il suddetto decreto non applicabile.

La pronuncia è conforme all’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui “Il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto D.L.” (Sez. U., Sent. n. 29459 del 2019).

3. In conclusione il ricorso è inammissibile, le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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