Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23288 del 23/08/2021

Cassazione civile sez. II, 23/08/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 23/08/2021), n.23288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26670-2019 proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Davide

Monteleone, del foro di Como ed elettivamente domiciliato agli

indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 6456/2019 del Tribunale di Milano, depositato

il 03/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con provvedimento notificato il 08.02.2018 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano – Monza rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione A.M., che veniva respinta dal Tribunale di Milano con decreto n. 6456 pubblicato il 03.08.2019;

– la decisione evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, rilevando che sebbene il richiedente asilo fosse da ritenere credibile laddove aveva dichiarato di essere proveniente dal (OMISSIS) – regione di (OMISSIS) e di appartenente al gruppo etnico (OMISSIS), nonché quanto alla circostanza di avere lasciato il Paese di origine per motivi economici, dovendo mantenere la famiglia di origine che dopo la morte del padre era rimasta senza reddito, per non essere stati aiutati economicamente dagli zii paterni, con i quali anzi aveva contrasti per motivi di interesse, perché volevano che lasciassero la casa ed i terreni appartenuti al padre, il racconto diveniva inattendibile quanto ai timori di essere ucciso dagli zii in caso di rientro, non avendo egli lasciato il Paese di origine per ragioni di natura persecutoria, rischi estranei alla sua storia personale. Ne’ dal rapporto EASO dell’ottobre 2018 emergeva che la regione di provenienza del richiedente asilo fosse interessata da sfollamenti indotti dal conflitto, non evidenziati neanche dall’UNOCHA.

Del pari veniva negata la ricorrenza dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in quanto sebbene la Commissione territoriale avesse accertato una sicura attività lavorativa espletata dal richiedente asilo a partire quantomeno dal 2016, con un contratto di assunzione del 04.06.2016, detto elemento di per sé non era sufficiente a dimostrare una effettiva integrazione sociale;

– propone ricorso per la cassazione di tale decisione – notificato in data 04.09.2019 – A.M., affidato a due motivi, cui il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa e/o contraddittoria e/o parziale valutazione delle fonti di notizie internazionali sulla situazione sociopolitico-economica del Paese di provenienza, regione del (OMISSIS), con la conseguenza della mancata applicazione dell’art. 5 T.U. Immigrazione, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 4, art. 9, comma 2 e art. 15, comma 2 anche in relazione alla circolare Commissione Nazionale richiedenti asilo n. 3716/2015.

La censura è inammissibile, poiché deduce solo formalmente un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge, nella sostanza allegando un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ciò che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, se non sotto il profilo motivazionale (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 22707/2017; Cass. n. 6587/2017; Cass. n. 195/2016).

Ne’ sono ravvisabili lacune nel provvedimento per motivazione apparente, posto che il Tribunale ha espresso le ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria sub lett. c). In particolare, il Tribunale – dopo avere giudicato il racconto del ricorrente poco credibile quanto al timore di essere ucciso dagli zii paterni al suo rientro – richiamando le fonti internazionali consultate, ha evidenziato che il richiedente proviene dal (OMISSIS), regione del (OMISSIS), attualmente non caratterizzata da episodi di violenza generalizzata, tanto da non essere interessata da sfollamenti indotti dal conflitto.

Il giudice di merito ha, comunque, fatto specifico riferimento all’ultimo rapporto annuale EASO del 2018 ed ha escluso che l’area di provenienza del richiedente fosse interessata da una situazione di violenza generalizzata di tale gravità e diffusione da mettere a repentaglio l’esistenza ed incolumità della persona.

A fronte di tale accertamento, il ricorrente neanche indica specifiche circostanze, limitandosi a riferire genericamente di fonti che confermerebbero nella zona che siano occorsi degli attentati e la presenza di terroristi.

Questa Corte ha affermato, anche di recente, che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass., 2 ottobre 2019 n. 24647).

Ciò in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave, potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia Europea (Corte di Giustizia, causa C-285/12, Diakite’, sentenza 30 gennaio 2014 e causa C-465/07, Elgafaji, sentenza 17 febbraio 2009).

Alla luce degli enunciati principi, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 13 agosto 2018 n. 20721).

I giudici di merito hanno, quindi, compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale hanno ritenuto non sussistente la violenza generalizzata nel paese di origine e tale statuizione è conforme a diritto;

– con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 22 in funzione del riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e/o D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 4, art. 9, comma 2, art. 15, comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere il Tribunale riconosciuto la sussistenza dei motivi umanitari per la concessione della relativa tutela, oltre a violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. In particolare, ad avviso del ricorrente non sarebbero stati valutati tutti i profili di vulnerabilità sempre con riferimento alla circolare n. 3716/2015.

E’ da ritenere inammissibile anche siffatta censura.

Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di chiarire, nella recente sentenza 23/02/2018, n. 4455, invocata dallo stesso ricorrente, che, “se assunti isolatamente, né il livello di integrazione dello straniero in Italia né il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza integrano, di per sé soli e astrattamente considerati, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto” alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (Corte EDU, cent. 08.04.2008, ric. 21878/06 caso Nnyanzi c/ Regno Unito, par. 72 ss.)”.

Il Tribunale ha motivatamente respinto l’istanza di protezione umanitaria effettuando la valutazione comparativa richiesta dalla giurisprudenza, in quanto ha escluso la ricorrenza di una condizione di vulnerabilità specifica, sia per la carenza di attendibili informazioni circa la personale condizione di vita nel Paese di origine, stante la non credibilità del ricorrente, sia perché le condizioni personali dedotte, e cioè la giovane età e le condizioni di precarietà economica, non integravano i presupposti della protezione richiesta.

La decisione allora appare in linea con i principi enunciati da Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 23/2/2018: a fronte di ciò, il ricorrente da un lato propone una pura e semplice critica di merito riguardante l’accertamento di fatto della insussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa, e dall’altro non illustra se e quando la situazione del paese di origine sulla quale incentra la doglianza fosse stata dedotta, nel giudizio di merito, a fondamento della domanda di protezione umanitaria.

La generica doglianza proposta integra perciò una inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. n. 16056/2016; Cass. n. 29404/2017; Cass. n. 9547/2017; Cass. n. 27072/2019; Cass. n. 6939/2020; Cass. n. 7192/2020).

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che vengono liquidate in complessivi Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021

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