Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23287 del 15/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 15/11/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 15/11/2016), n.23287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25121/2011 proposto da:

L.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PO 25/B, presso lo studio degli avvocati GIOVANNI GIUSEPPE

GENTILE e MARIO MICELI, che la rappresentano e difendono giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.C.E.M. IMPRESA COSTRUZIONI EDILI MERCADANTE S.P.A., C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 23, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA POTENZA, che la rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9587/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 35/03/2011 r.g.n. 837/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega verbale Avvocato GENTILE

GIOVANNI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato POTENZA PAOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DOTT.

RITA Sanlorenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da L.P., dipendente della ICEM – Impresa di Costruzioni edili Mercadante s.p.a., con mansioni di prima governante presso l’Hotel (OMISSIS), condannava la predetta società al risarcimento dei danni subiti dalla lavoratrice in conseguenza del demansionamento e del mobbing, oltre che al pagamento dell’indennità sostitutiva di preavviso conseguente alle dimissioni per giusta causa, ed al pagamento dell’una tantum e del premio di produttività.

Con sentenza depositata il 5 marzo 2011 la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello della società, rigettava la domanda della L. con riguardo al demansionamento e al mobbing e alle relative pretese risarcitorie, dando atto che per il resto la sentenza di primo grado non era stata impugnata.

Riteneva la Corte anzidetta che l’istruttoria svolta non consentiva di confermare il giudizio espresso dal primo giudice. In particolare i vari episodi dedotti dalla lavoratrice non potevano considerarsi un vero e proprio demansionamento, mentre, con riguardo al mobbing, non era emersa la prova della sussistenza di comportamenti intenzionalmente persecutori e lesivi della personalità anche morale della lavoratrice posti in essere dal datore di lavoro o da altri dipendenti, essendo piuttosto emersa una situazione di progressivo deterioramento dei rapporti tra le parti, cagionata da piccoli episodi di contrasto e da disservizi.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso la lavoratrice sulla base di quattro motivi. Resiste la società con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità del procedimento e/o della sentenza per violazione dell’art. 420 c.p.c., comma 2.

Rileva che il procuratore speciale della società, in sede di interrogatorio libero, si è mostrato totalmente disinformato rispetto a taluni e decisivi fatti di causa. Tale circostanza avrebbe dovuto essere valutata ai fini della decisione ai sensi della disposizione dianzi indicata.

2. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando contraddittorietà della motivazione “in ordine a fatto controverso e decisivo”, deduce che la Corte di merito ha ritenuto, da un lato, sorrette da giusta causa le dimissioni, dall’altro ha escluso la sussistenza di veri e propri propositi persecutori e discriminatori. Tale motivazione, aggiunge, è contraddittoria, atteso che la prima affermazione presuppone un grave inadempimento della controparte, mentre la seconda esclude tale inadempimento.

3. Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rileva che il giudice di primo grado ha ritenuto inattendibile la deposizione della sig.ra B. in ragione soprattutto dei rapporti di inimicizia intercorrenti con essa ricorrente. Opposto è stato il parere della Corte di merito, che ha valutato la maggior parte dei fatti di causa in base alle dichiarazioni della teste anzidetta, senza fornire spiegazioni al riguardo.

4. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, critica la sentenza impugnata per non avere ritenuto sussistente il demansionamento.

Riporta taluni passi delle dichiarazioni dei testi che confermerebbero la dequalificazione, rilevando che la Corte territoriale ha trascurato immotivatamente l’esame di dette dichiarazioni e comunque valutandole erroneamente, lacune queste che hanno condotto al rigetto della domanda.

Anche con riguardo al denunciato mobbing, aggiunge la ricorrente, la sentenza impugnata, non ha fatto corretta applicazione dei principi in materia, valutando erroneamente le risultanze di causa.

5. Il primo motivo non è fondato.

Nel rito del lavoro, l’interrogatorio non formale, reso a norma dell’art. 420 c.p.c., comma 1, non essendo preordinato a provocare la confessione della parte, ma, essendo diretto a chiarire i termini della controversia, non costituisce mezzo di prova e le dichiarazioni in esso contenute devono considerarsi elementi chiarificatori e sussidiari di convincimento.

Deduce la ricorrente che la società era rappresentata, in sede di interrogatorio libero, da un procuratore speciale, il quale non era a conoscenza di taluni “decisivi” fatti di causa, circostanza questa che, a norma dell’art. 420 c.p.c., comma 2, avrebbe dovuto essere valutata dal giudice ai fini della decisione.

Ma, da un lato, affinchè un fatto possa considerarsi decisivo è necessario che, ove fosse stato valutato, avrebbe comportato una diversa decisione della causa con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, evenienza questa non ricorrente nella specie alla stregua del contenuto delle dichiarazioni rese dal procuratore speciale suddetto, riportate in ricorso; dall’altro risulta che, sui fatti di cui era a conoscenza, il procuratore anzidetto ha risposto alle domande postegli.

6. Il secondo motivo è inammissibile.

Sostiene la ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata è contraddittoria, avendo la Corte di merito ritenuto, per un verso, che le dimissioni erano sorrette da giusta causa in ragione del grave comportamento tenuto dal datore di lavoro e, per altro verso, escluso la sussistenza dei propositi persecutori e discriminatori da parte dello stesso.

Ma, tale censura muove da un presupposto errato, e cioè che la Corte territoriale si sia occupata del capo della domanda relativo alle dimissioni. Viceversa, la sentenza impugnata ha dato atto che, con riguardo all’indennità relativa al recesso del lavoratore per giusta causa, la sentenza di primo grado non era stata impugnata dalla società.

7. Inammissibili sono, infine, il terzo e il quarto motivo che, essendo connessi, vanno trattati congiuntamente.

Essi infatti censurano la sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo anteriore a quello vigente) e più precisamente per avere il giudice d’appello valutato erroneamente le risultanze di causa ed in particolare le deposizioni testimoniali, ritenendo attendibili talune di esse piuttosto che altre.

Al riguardo, va ricordato che è principio consolidato di questa Corte che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e scegliere tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Non può pertanto la sentenza impugnata essere censurata per vizio di motivazione qualora esso prospetti che gli elementi valutati dal giudice erano suscettibili di una diversa lettura, conforme alle attese e deduzioni della parte, risolvendosi in tal caso il motivo di ricorso in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. Il ricorso per cassazione non introduce infatti un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia dei vizi previsti dall’art. 360 c.p.c..

Nella specie, la Corte territoriale ha accertato che i vari episodi dedotti dalla lavoratrice non potevano considerarsi un vero e proprio demansionamento, mentre, con riguardo al mobbing, non era emersa la prova della sussistenza di comportamenti intenzionalmente persecutori e lesivi della personalità anche morale della lavoratrice posti in essere dal datore di lavoro o da altri dipendenti. Tutto ciò dando sufficientemente conto delle ragioni del proprio convincimento, con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato.

L’esito finale della lite (accoglimento parziale della domanda) e le diverse conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito con riguardo al demansionamento e al mobbing giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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