Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23283 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. II, 23/10/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 23/10/2020), n.23283

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 23530/2019 proposto da:

J.A.C., rappresentato e difeso dall’Avvocato

Federico Carlini;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in

Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Bologna n. 2677-2019

in data 12 giugno 2019.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – J.A.C., cittadino della (OMISSIS), proponeva opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Bologna, a lui notificato in data 13 febbraio 2019, con il quale era stata dichiarata inammissibile la sua domanda di protezione internazionale, in quanto reiterativi di altra richiesta di protezione internazionale già rigettata con provvedimento della medesima Commissione del 29 ottobre 2014, senza che fossero stati addotti nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine.

A sostegno della riproposizione della domanda di protezione internazionale, il ricorrente ha ribadito la sua intenzione di proseguire nello svolgimento dell’attività lavorativa in Italia, ed ha poi riferito di temere, in caso di rientro, lo zio, appartenente al culto segreto degli (OMISSIS), per i possibili comportamenti pericolosi per la sua incolumità.

2. – Il Tribunale di Bologna, con decreto in data 12 giugno 2019, ha rigettato il ricorso.

Il Tribunale ha rilevato:

– che le dichiarazioni del ricorrente sono apparse generiche e prive di circostanze o elementi di dettaglio idonei a contestualizzare e a dare concretezza ai fatti narrati, avendo fatto riferimento a possibili comportamenti violenti dello zio in suo danno, ma senza spiegare le ragioni per le quali lo zio dovrebbe attuare tali comportamenti;

che i timori paventati non trovano neppure riscontro nelle COI più accreditate;

che il ricorrente, pur mantenendo i riferimenti familiari nel Paese di origine, non ha prodotto alcun documento (neppure relativo alla sua situazione personale e familiare), senza fornire alcuna giustificazione delle ragioni per le quali non sia riuscito a corroborare la sua domanda con elementi oggettivi di prova;

– che dirimente, sotto il profilo della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 1997, art. 14, lett. a) e b), è comunque la circostanza che il ricorrente non ha neppure riferito di avere ricercato effettiva tutela;

– che sotto l’ulteriore profilo dedotto, ossia quello relativo alla sicurezza, il ricorrente non ha addotto nuovi elementi riguardanti la situazione del suo Paese di origine, in relazione alla zona di provenienza; ed in ogni caso dalle fonti più recenti ed accreditate si desume che nella regione di provenienza del ricorrente (Anambra State) non ricorre una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno tale da porre la popolazione civile in pericolo per il solo fatto di essere presente sul territorio; che, con riferimento alla protezione umanitaria, non ricorrono i relativi presupposti, sia in ragione della inattendibilità in generale e nel complesso delle dichiarazioni del ricorrente, sia perchè non appare ravvisabile alcuna condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare, mancando quindi specifici indicatori di necessità di protezione, dal punto di vista soggettivo o oggettivo;

che lo svolgimento dell’attività di lavoro (per periodi limitati nel tempo) e lo studio della lingua italiana, pur certamente meritevoli, non appaiono, da soli, elementi tali da evidenziare un radicamento del ricorrente sul territorio o da integrare fattori ostativi al suo rientro in patria.

3. – Per la cassazione del decreto del Tribunale J.A.C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 12 luglio 2019, sulla base di un motivo.

Il Ministero dell’interno non ha resistito con controricorso, ma ha depositato un atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo (violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3) il ricorrente censura che il decreto impugnato sia privo di riferimenti che descrivano in modo preciso ed aggiornato il fenomeno sociale della setta (OMISSIS), estremamente diffuso in Nigeria, così trascurando di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica di J.A.C. fosse effettivamente sussistente nel Paese di rimpatrio. Ad avviso del ricorrente, il riscontro esterno compiuto dal Tribunale, oltre ad essere risalente ad oltre due anni prima, avrebbe effettuato una fotografia parziale, e pertanto non precisa, dell’organizzazione criminale (OMISSIS). Farebbe inoltre difetto, nel provvedimento impugnato, l’accertamento sulla effettiva capacità delle autorità nigeriane di offrire adeguata protezione al ricorrente in relazione alle minacce paventate. Sarebbe stata valutata in maniera insufficiente ed inidonea la rilevanza, rispetto al riconoscimento della protezione sussidiaria, del pericolo per J.A.C. in caso di rientro nel Paese di origine.

2. – Il motivo è inammissibile.

Nel caso di specie, il ricorrente deduce genericamente la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 – disposizione che, nel dettare i criteri applicabili all’esame delle domande di protezione internazionale, prevede che queste siano esaminate alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo – lamentando che il decreto impugnato sia privo di riferimenti che descrivano in modo preciso ed aggiornato il fenomeno sociale della setta (OMISSIS), estremamente diffuso in Nigeria.

La complessiva doglianza non si confronta adeguatamente con la ratio decidendi che sostiene il decreto impugnato.

Il Tribunale di Bologna, infatti, ha evidenziato che le dichiarazioni rese in proposito dal ricorrente circa il timore di possibili comportamenti pericolosi per la sua incolumità da parte dello zio, appartenente al culto segreto degli (OMISSIS), non appaiono credibili, in considerazione:

della genericità del racconto, privo di circostanze o elementi di dettaglio idonei a contestualizzare e a dare concretezza ai fatti narrati;

della mancata spiegazione delle ragioni per le quali lo zio dovrebbe attuare comportamenti violenti nei suoi confronti;

della mancata produzione, da parte dell’interessato (che pure mantiene i riferimenti familiari nel Paese di origine), di alcun documento, neppure relativo alla sua situazione personale e familiare;

del non avere J.A.C. neppure riferito di avere ricercato effettiva tutela, laddove egli, per il riconoscimento della protezione sussidiaria, avrebbe dovuto dimostrare di avere richiesto la protezione del proprio Stato e che questo non abbia voluto o potuto proteggerlo adeguatamente;

della circostanza che, in ogni caso, i timori paventati dal ricorrente, legati al suo rifiuto di fare parte del medesimo culto segreto dello zio, non trovano riscontro nelle fonti più recenti ed accreditate (citate a pagina 3 del decreto), che non riportano casi di reclutamento forzato, essendo viceversa quella degli (OMISSIS) una setta finalizzata a rafforzare il proprio potere economico e di controllo sociale paragonabile alla massoneria, caratterizzata da estrema segretezza e da difficili ed esclusive modalità di accesso. La valutazione compiuta dal Tribunale è completa e coerente ed è affidata ad una motivazione esente da vizi logici e giuridici.

Il ricorrente non considera che il Tribunale non solo ha ritenuto la vicenda narrata non credibile, tenuto pure conto che le fonti consultate indicano che l’adesione alla setta degli (OMISSIS) è in linea di principio volontaria, ma ha, anche, aggiunto che il ricorrente non si è attivato per chiedere protezione alla polizia del proprio Stato.

Il ricorrente prospetta bensì che il riscontro esterno richiamato dal Tribunale con riguardo al reclutamento all’interno della setta degli (OMISSIS) sarebbe parziale, perchè risalente a due anni prima. Ma la censura è, sotto questo profilo, non dirimente, perchè la fonte successiva evocata dal ricorrente (l’EASO country of origin information – report Nigeria del 2018) non smentisce il dato che l’adesione alla setta avviene, di regola, su base volontaria. Il riferimento, contenuto nella fonte richiamata, a casi nei quali l’adesione deriva da pressioni sociali e intimidazioni – calato nel contesto di una narrazione ritenuta dal Tribunale generica e priva di circostanze e di elementi di dettaglio – appare privo di decisività.

3. – Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, giacchè il Ministero intimato, che non ha depositato controricorso, non ha svolto attività difensiva in questa sede.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

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