Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23276 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/10/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 23/10/2020), n.23276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21090-2016 proposto da:

LEONARDO ENERGIA SCARL in Persona del C.d.A. pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 14, presso lo

studio DI TANNO E ASSOCIATI STUDIO LEGALE TRIBUTARIO, rappresentato

e difeso dagli avvocati ROSAMARIA NICASTRO, ENRICO PAULETTI giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHES 12,

presse l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1780/2016 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 05/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/01/2020 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato NICASTRO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che riportasi agli

atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Leonardo Energia s.c.a r.l. (di seguito, Leonardo), fornitrice di energia elettrica in favore di Aeroporti di Roma s.p.a. (di seguito ADR), gestore dell’Aeroporto di Fiumicino, ricevette da quest’ultima – quale consumatore finale dell’energia (TUA) D.Lgs. n. 504 del 1995, ex art. 55 -, in data 6.12.2012, richiesta di rimborso dell’accisa addebitatale sulle fatture nel periodo dal 1.1.2011 al 31.5.2012, per l’importo di Euro 1.293.327,11, ritenendo applicabile in suo favore la c.d. “esenzione opificio”, prevista dall’art. 52 TUA, comma 3, lett. f), nel caso di consumo mensile superiore a 1,2 min. Kwh. Pertanto, in data 19.12.2012, Leonardo inoltrò all’Agenzia delle Dogane-Ufficio delle Dogane di Roma 2, istanza di rimborso ex art. 56 TUA, comma 6, che però venne respinta dall’Ufficio con provvedimento notificatole il 18.1.2013, e ciò in quanto a) l’Aeroporto di Fiumicino non può considerarsi come una realtà produttiva tecnicamente organizzata e volta alla produzione di beni (non gestisce, cioè, un “opificio industriale”) e b) ADR non è l’unico utente di energia elettrica impiegata nello scalo, rivendendo essa società parte dell’energia stessa a terzi soggetti, operanti quali sub-concessionari nell’ambito aeroportuale.

Leonardo Energia propose quindi ricorso dinanzi alla C.T.P. di Roma con atto del 12.3.2013, chiedendo dichiararsi l’illegittimità del diniego e insistendo per il chiesto rimborso. Costituitosi l’Ufficio, con memoria di replica del 5.1.2015 la società avanzò in subordine domanda per la restituzione dell’importo di Euro 1.076.565,48, pari al 82,21% del valore dell’energia complessiva ceduta ad ADR nel detto periodo, ma certamente fruita dalla stessa ADR per uso proprio (ossia, sicuramente non ceduta a terzi). L’adita C.T.P. accolse la domanda subordinata con sentenza n. 4512/2015, tuttavia integralmente riformata dalla C.T.R. del Lazio con sentenza del 5.4.2016. Accogliendo l’appello dell’Ufficio, il giudice del gravame ha infatti evidenziato che ADR non può godere dell’esenzione in parola in quanto anzitutto non ha rispettato l’obbligo di denuncia ex art. 53 TUA, comma 4, essendo essa ad un tempo consumatore finale e fornitore di energia a terzi; ha poi ritenuto non potersi comunque applicare l’esenzione in discorso in quanto l’aeroporto non può considerarsi “opificio industriale”, perchè diretto alla produzione e allo scambio di servizi, non anche di beni; infine, ha rilevato che chi invoca il beneficio fiscale deve dimostrare compiutamente il particolare uso dell’energia elettrica che giustifica l’esenzione, nonchè la quantità di energia impiegata, onere che Leonardo non aveva adempiuto.

Leonardo Energia s.c.a r.l. ricorre ora per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La ricorrente lamenta il fatto che la C.T.R. non abbia considerato come non contestato dall’Agenzia (essendo stato addirittura suggerito dalla stessa) il criterio per l’accertamento dei consumi “uso proprio” da parte di ADR; infatti, a p. 21 della memoria difensiva di primo grado, prodotta il 24.12.2014, l’Agenzia aveva osservato che “La società avrebbe dovuto fornire elementi idonei a ricostruire, sia pure ex post, un’esatta imputazione e discriminazione tra consumi esentabili e consumi assoggettati a tassazione, quali le fatture emesse da ADR ai soggetti terzi, sicuri riscontri materiali su cui risulta fondato l’accertamento svolto dall’ufficio” relativamente agli anni 2007-2010. Ha dunque errato la C.T.R. nel ritenere che, nonostante la prova “per differenza” offerta da essa ricorrente, Leonardo Energia non avesse fornito compiutamente la prova della quantità di energia consumata in proprio, il cui criterio di computo era da considerarsi oramai pacifico.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi generali in tema di onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. avrebbe ritenuto necessaria, ai fini dell’esenzione in discorso, dapprima la denuncia di ADR quale soggetto passivo d’imposta (e quindi quale officina elettrica), e poi la dotazione di contatori elettrici, quali unici strumenti idonei a determinare l’effettivo consumo di energia elettrica per uso proprio. Al contrario, secondo la ricorrente, la giurisprudenza di legittimità ha ormai da tempo escluso che la mancanza della denuncia di officina elettrica, o di applicazione di appositi misuratori dell’energia, escluda la fruibilità delle esenzioni in discorso, i cui presupposti possono essere liberamente provati con gli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento.

1.3 – Con il terzo motivo, infine, si denuncia violazione dell’art. 52 TUA, comma 3, lett. f), vigente ratione temporis, c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ha errato la C.T.R., ad avviso della ricorrente, nell’escludere comunque la fruibilità, nella specie, dell’esenzione, per non essere l’Aeroporto di Fiumicino un “opificio industriale”, descrizione che (secondo il giudice d’appello) può essere attribuita alle sole realtà destinate all’esercizio di attività di produzione di beni, non anche di servizi. Tale impostazione, basata sulla pronuncia di Cass. n. 21730/2004, deve oggi ritenersi superata da successivi arresti, tra cui Cass. n. 27670/2013, che – contrariamente a quanto opinato dall’Agenzia delle Dogane nella circolare n. 214/1999 – ha affermato che “deve reputarsi impresa industriale anche quella di produzione di servizi, purchè… finalizzata alla costituzione di una nuova utilità…”.

2.1 – Il primo motivo è infondato.

L’art. 115 c.p.c., e quindi il principio di non contestazione, attengono alla prova (o meglio, alla non necessità della prova) dei fatti pacifici, non contestati, ossia dei fatti sostanziali, principali o secondari, su cui si fondano le domande e le eccezioni delle parti. Il principio, quindi, non può certamente applicarsi ad un criterio di valutazione dei fatti, ciò che costituisce un elemento logicamente anteriore e che è certamente indisponibile per le parti del processo, rientrando nel potere di libero apprezzamento delle prove spettante al giudice, ex art. 116 c.p.c..

3.1 – Il secondo e il terzo motivo possono esaminarsi congiuntamente, perchè connessi. Essi sono fondati, nei termini che seguono.

Premesso, anzitutto, che nella specie non può riscontrarsi alcuna violazione del principio dell’onere della prova, giacchè la C.T.R. non ha addossato l’onere stesso alla parte diversa da quella tenutavi per legge, in realtà con i motivi in esame la ricorrente si duole complessivamente della violazione dell’art. 52 TUA, laddove il giudice d’appello ha ritenuto non potersi riconoscere l’esenzione ad ADR (e di riflesso, al fornitore Leonardo Energia), non avendo la stessa ADR presentato la denuncia come officina elettrica, nè reso possibile la applicazione dei contatori, e comunque per non essere l’Aeroporto di Fiumicino inquadrabile nel concetto di “opificio industriale”.

Ciò chiarito, per quanto qui interessa, l’art. 52 TUA, nel testo vigente al 31.5.2012, così recita: “1. L’energia elettrica (codice NC 2716) è sottoposta ad accisa, con l’applicazione delle aliquote di cui all’allegato I, al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per l’energia elettrica prodotta per uso proprio…. 3. E’ esente dall’accisa l’energia elettrica:

f) utilizzata in opifici industriali aventi un consumo mensile superiore a 1.200.000 kWh, per i mesi nei quali tale consumo si è verificato. Ai fini della fruizione dell’agevolazione gli autoproduttori dovranno trasmettere, al competente Ufficio dell’Agenzia delle dogane, entro il giorno 20 di ogni mese, i dati relativi al consumo del mese precedente”.

3.2.1 – Ora, partendo dalla nozione di “opificio industriale” e premesso che non risulta alcun precedente specifico, è dato però rinvenire una pronuncia (Cass. n. 21730/2004), dettata in tema di determinazione di rendita catastale, nella cui motivazione si afferma tra l’atro che “…, secondo i migliori vocabolari della lingua italiana (Treccani, Devoto-Oli, Zingarelli), il sostantivo “opificio” ha il significato (e ne costituisce espressione di sintesi) di “stabilimento industriale, il quale è definito come quell”edificio (o complesso di edifici) dotato di particolari impianti, attrezzature e servizi per rispondere a determinate utilizzazioni e attività’ di carattere industriale (ossia finalizzate alla fabbricazione o lavorazione di determinati prodotti)”.

Tale accezione, sostanzialmente fatta propria dalla C.T.R., sembra dunque escludere la possibilità di considerare “opificio industriale” uno stabilimento destinato alla produzione o scambio di servizi. La citata pronuncia, in sostanza (ai fini che interessano), enfatizza la necessaria compresenza, all’interno dell’immobile, di macchinari e attrezzature destinate al ciclo produttivo; ciò ben si evince da questo ulteriore passaggio della stessa sentenza, ove si richiama un risalente precedente in tema di pertinenze, in cui la Corte “ha avuto modo di rilevare che qualora avvenga che ‘macchine e immobile si presentino collegati fra loro, ma senza alcun vincolo di subordinazione le une rispetto all’altro, bensì tutti sullo stesso piano, tutti esercitanti una funzione di pari importanza rispetto alla destinazione unitaria e allo scopo produttivo perseguito dall’imprenditore, in questo caso, ‘escluso il vincolo pertinenziale, si ha la nozione di opificio industriale, rientrante nella categoria delle universalità irregolarì (Cass. n. 1197/1956)”.

Tuttavia, volgendo l’indagine sul piano soggettivo, può riscontrarsi un orientamento consolidato, che indubbiamente individua l’imprenditore “industriale” in colui che, ai sensi dell’art. 2195, n. 1, c.c., esercita l’impresa destinata alla produzione, indifferentemente, di beni o servizi (v. Cass. Sez. Un. 197/1992; v. anche Cass. n. 27670/2013, secondo cui “per stabilire se un’impresa abbia o meno carattere “industriale” le volte in cui tale elemento venga assunto dalla legge a presupposto per l’applicazione di una disciplina normativa… occorre far riferimento ai criteri generali contenuti nell’art. 2195 c.c., salvo che la disciplina normativa speciale detti al riguardo un proprio criterio, ovvero rinvii ad altre specifiche disposizioni, dovendo in conseguenza, in applicazione della indicata norma del codice civile, essere ricomprese nel ‘settore industrialè tutte le attività dirette alla produzione di beni o servizi, mediante realizzazione di un risultato economico nuovo, ottenuto utilizzando, elaborando e trasformando i fattori predisposti dall’imprenditore…: in particolare deve reputarsi impresa industriale anche quella di produzione di servizi, purchè l’attività medesima sia finalizzata alla costituzione di una nuova utilità, rimanendo pertanto esclusa dalla predetta nozione l’attività commerciale, che ha ad oggetto la mera intermediazione e distribuzione dei prodotti”).

3.2.2 – Chiarito dunque che imprenditore “industriale” è non solo chi produce beni, ma anche chi fornisce servizi, purchè caratterizzati dal quid pluris della “nuova utilità” (il che consente di distinguerlo dall’imprenditore “commerciale”, che si occupa, cioè, soltanto dell’intermediazione e distribuzione dei prodotti, ex art. 2195 c.c., n. 2), resta da comprendere se – ai fini che qui interessano – il descritto piano soggettivo finisca col refluire su quello oggettivo, così permeandolo. In altre parole, occorre accertare se, su base semantica, si possa ritenere che “opificio” sia sinonimo di stabilimento, complesso, capannone, ecc., in cui l’imprenditore “industriale” si trovi ad operare (sia che produca beni, sia che produca o scambi servizi, ut supra connotati); oppure se, al contrario – attenendosi più rigidamente all’etimologia del termine “opificio” (da opus facere) – non se ne debba dedurre che effettivamente detta nozione attenga ad un complesso costituito dall’immobile e dai macchinari destinati alla sola produzione di beni, come propugnato dall’Agenzia controricorrente.

Ritiene la Corte come sia preferibile la prima opzione ermeneutica. Infatti, per quanto si tratti di norma (quella dettata dall’art. 52 TUA, comma 3, lett,. f)) di carattere agevolativo, e quindi di stretta interpretazione, è proprio dal connubio tra il sostantivo “opificio” e l’aggettivo “industriale” che si trae la soluzione prescelta, e già sul piano del “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” (art. 12 preleggi): l’aggettivazione, infatti, non può che ridondare sul sostantivo (specificamente caratterizzandolo), richiedendo la legge, in buona sostanza, che in detto manufatto – ai fini della fruizione dell’esenzione in discorso – debba eseguirsi una attività industriale. Il che, in un sistema codicistico soggettivamente improntato (noto essendo che il codice civile non fornisce la definizione di impresa, bensì quella di imprenditore), non può che significare che il carattere industriale dell’attività debba definirsi in tutta la sua ampiezza, avuto riguardo al disposto dell’art. 2195 c.c., n. 1, a mente del quale è imprenditore industriale chi esercita “un’attività diretta alla produzione di beni o servizi”, come s’è visto (v. par. precedente). Conseguentemente, è “opificio industriale” non solo lo stabilimento che l’imprenditore destina alla produzione di beni, ma anche quello che egli destina allo scambio di servizi, purchè determinanti una nova utilitas (v. la già citata Cass. n. 27670/2013).

D’altra parte, se il legislatore avesse davvero inteso limitare il beneficio in discorso alla sola attività produttiva di beni, non avrebbe avuto ragione, a ben vedere, di declinare le caratteristiche del manufatto con l’aggettivo “industriale”, sufficiente essendo – nella suddetta ipotesi – affidarsi alla radice etimologica del sostantivo “opificio”, di cui s’è ampiamente detto supra (v. par. precedente).

3.2.3 – Chiarito, dunque, che ai fini che qui interessano deve ritenersi preferibile un’accezione più lata del concetto di “opificio industriale”, ne discende che il beneficio in discorso è senz’altro riconoscibile al gestore di un aeroporto.

Infatti, la predisposizione, l’organizzazione e l’utilizzo dei fattori produttivi in un determinato luogo fisico, da parte del gestore aeroportuale, conducono ad un risultato finale indubbiamente diverso dal dato di partenza, che si traduce nella predisposizione e l’offerta di servizi indispensabili alle compagnie aeree e agli utenti (in essi ricompresi le dotazioni fisiche aeroportuali, la sicurezza dei voli, l’handling, ecc.) per la fruizione del trasporto aereo, e quindi in una nova utilitas.

Ha dunque errato la C.T.R. nel negare, in ogni caso, la fruibilità dell’esenzione in discorso da parte di ADR (e quindi di Leonardo Energia, quale soggetto passivo dell’imposta – v. Cass. n. 21816/2017), attribuendo al concetto di “opificio industriale” una nozione restrittiva, non consentita già sul piano della mera interpretazione letterale della norma.

3.2.4 – Può dunque affermarsi, al riguardo, il seguente principio di diritto: “In tema di accise sull’energia elettrica, l’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA), art. 52, comma 3, lett. f), nel testo applicabile ratione temporis, per l’energia utilizzata in opifici industriali aventi un consumo mensile superiore a 1.200.000 kWh, spetta non solo all’imprenditore che ivi produce beni, ma anche a quello che vi produce o scambia servizi, purchè diretti a determinare una nuova utilità, giacchè il concetto di “opificio industriale” – in assenza di specifiche disposizioni limitative della legislazione speciale – non può prescindere dalla definizione di imprenditore industriale desumibile dall’art. 2195 c.c., n. 1, secondo cui tale è chi esercita un’attività diretta alla produzione di beni o servizi, occorrendo dunque far riferimento al luogo fisico (stabilimento, capannone, complesso, ecc.) in cui il predetto imprenditore esercita la propria attività. Ne consegue che anche il gestore di un aeroporto può godere – concorrendone gli ulteriori presupposti – della suddetta esenzione, in quanto la predisposizione, l’organizzazione e l’utilizzo dei fattori produttivi in un determinato luogo fisico da parte del predetto imprenditore si traducono nella predisposizione e nell’offerta di servizi indispensabili alle compagnie aeree e agli utenti per la fruizione del trasporto aereo, e quindi in una nuova utilità”.

4.1 – Anche le censure più specificamente attinenti al tema della prova sul quantum di energia consumata per uso proprio da ADR sono fondate.

Nella sostanza, la C.T.R. ha ritenuto decisiva la circostanza che ADR, in quanto officina elettrica, abbia omesso di presentare la prescritta denuncia, così mancando di apporre i contatori per i necessari conteggi.

Al contrario, è invece consolidato l’orientamento secondo cui ciò non è indispensabile ai fini dell’esenzione: “In tema di imposta erariale di consumo sull’energia elettrica, regolata dal D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, la mancata ottemperanza alle prescrizioni di cui agli artt. 53 e 55, comma 8, riguardanti, rispettivamente, la preventiva denuncia di officina elettrica e l’applicazione degli speciali congegni di sicurezza o di apparecchi atti ad impedire l’impiego di energia elettrica a scopo diverso da quello dichiarato, non produce effetti preclusivi del diritto alle esenzioni o alle agevolazioni, dallo stesso t. u. previste, da parte del contribuente, atteso che tali adempimenti non costituiscono il presupposto indefettibile per il sorgere delle relative posizioni giuridiche soggettive. Tali adempimenti, infatti, o sono funzionali al rilascio della licenza d’esercizio o costituiscono prescrizioni meramente eventuali, disposte dall’Amministrazione nell’esercizio del potere riconosciuto dalla legge per rendere più agevoli accertamenti e controlli contabili-amministrativi, di guisa che essi non si atteggiano come condizioni ‘sine qua non’ per il sorgere del diritto, che può comunque essere utilmente esercitato ove si dia la dimostrazione, con gli altri mezzi istruttori predisposti dalla legge – diversi, quindi, dagli accorgimenti tecnici previsti dal detto art. 55, comma 8 -, delle quantità di energia impiegata, rispettivamente, per usi soggetti ad imposta e per usi esenti” (Cass. n. 12431/2007; Cass. n. 19321/2011; Cass. n. 22007/2013).

A ciò può anche aggiungersi che, assai di recente (Cass. n. 1985/2019), non è stato ritenuto ostativo ai fini del riconoscimento dell’esenzione in parola neanche il mancato invio dei dati di consumo del mese precedente, la decadenza non essendo espressamente stabilita dalla legge.

Pertanto, la C.T.R. ha mancato di valutare, su detti errati presupposti, le prove offerte in concreto da Leonardo Energia (ossia, le fatture della propria fornitura di energia elettrica ad ADR, nonchè quelle emesse da ADR verso i sub-concessionari o conduttori degli spazi aeroportuali, al fine di stabilire se il calcolo “per differenza” comunque effettuato sia idoneo ad assurgere a vera e propria prova del consumo di energia per uso proprio della stessa ADR, che costituisce il fatto da provare, con gli ordinari mezzi offerti dall’ordinamento), così incorrendo nella violazione dell’art. 52 TUA. Si impone, dunque, la cassazione della sentenza impugnata anche per tal verso, occorrendo che il giudice del rinvio proceda all’esame della documentazione offerta, in proposito, dalla società.

5.1 – In definitiva, il primo motivo è rigettato, mentre sono accolti il secondo e il terzo. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che si atterrà ai superiori principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e il terzo. Cassa in relazione e rinvia alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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