Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23276 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. III, 09/11/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 09/11/2011), n.23276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente del

Consiglio p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende per legge;

– ricorrente –

contro

M.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato PIPERNO

PAOLO DAVIDE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BIAGIANTI UGO giusto mandato in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4613/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/11/2009 R.G.N. 4229/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato UGO BIAGIANTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con citazione del 2 dicembre 2003 il dott. M.D., adducendo di essere medico specialista e di avere frequentato il relativo corso di specializzazione conclusosi nel 1990, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e ne chiedeva la condanna al pagamento dell’adeguata remunerazione prevista dalle direttive comunitarie 75/363 e 82/76 ed al risarcimento del danno conseguente al tardivo recepimento della direttiva.

1.1.- Si costituiva in primo grado la parte convenuta ed eccepiva la prescrizione del diritto vantato dall’attore sia ai sensi dell’art. 2946 c.c., che ai sensi dell’art. 2948 c.c., n. 4 ed, ancora, ai sensi dell’art. 2947 c.c.; contestava, comunque, nel merito, la fondatezza delle domande.

2.- Con sentenza del 10 dicembre 2004 il Tribunale di Roma riteneva proposta tardivamente l’eccezione di prescrizione, poichè sollevata con la comparsa di costituzione depositata alla seconda udienza, ed accoglieva la domanda dell’attore, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno, liquidato in misura corrispondente alla borsa di studio annuale illegittimamente non corrisposta dallo Stato.

3.- La sentenza veniva appellata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri davanti alla Corte d’Appello di Roma, che, con sentenza depositata il 23 novembre 2009, ha rigettato l’appello e condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado.

4.- Contro questa sentenza la Presidenza del Consiglio dei Ministri propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Si difende l’intimato con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia “violazione degli artt. 2697 e 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Non può trovare accoglimento la censura mossa alla sentenza impugnata nella parte in cui – si sostiene – il giudice del merito avrebbe (del tutto erroneamente) rigettato il motivo di appello col quale era stata censurata la sentenza di primo grado per avere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in assenza di prove, da parte dell’odierno controricorrente, delle modalità di svolgimento dell’attività formativa in ottemperanza ai contenuti minimi self executing (delle direttive, concernenti l’accesso, la durata, il modo il luogo e i controlli della formazione specialistica, alla luce del secondo “considerando” della direttiva 75/363; nonchè in ottemperanza alle condizioni stabilite dall’allegato 1 alla direttiva 82/76.

La corte territoriale, difatti, ha, in proposito, correttamente applicato la giurisprudenza di questa corte regolatrice nella parte in cui osserva (in consonanza con il dictum di cui a Cass. 6427/08) come l’impossibilità di frequentazione di una scuola di specializzazione in conformità della direttiva fosse conseguenza dell’inadempimento del legislatore italiano – non senza considerare, ancora, che la pronuncia poc’anzi ricordata ha già avuto modo di precisare come la circostanza pacifica che i medici avessero, nel periodo di ritardata attuazione della direttiva, frequentato le scuole di specializzazione come allora organizzate lascia presumere, quantomeno in linea teorica, che essi le avrebbero frequentate anche nel diverso regime conforme alle prescrizioni comunitarie. Risulta peraltro corretto il presupposto sul quale ha argomentato la sentenza impugnata (e reso esplicito nella motivazione della sentenza di primo grado), per il quale la produzione del diploma di specializzazione dimostra, in difetto di prova contraria, l’ottemperanza da parte dello specializzando a tutti gli obblighi di frequenza per le attività teoriche e pratiche dello statuto all’epoca vigente, secondo il regolamento didattico predisposto dall’istituto universitario.

1.2.- Inammissibile è, inoltre, la censura dell’Avvocatura laddove, nella parte finale dell’illustrazione del primo motivo, deduce (f. 29- 30) che, pur ammessa la non rilevanza della prova dell’osservanza dei requisiti comunitari del corso di specializzazione (non essendo stata la direttiva comunitaria ancora recepita nell’ordinamento interno), la ragione di danno astrattamente deducibile avrebbe potuto essere, tutt’al più, la perdita di chance per non aver potuto, appunto, frequentare un corso conforme alla normativa comunitaria e conseguire un diploma di specializzazione riconoscibile come tale – cioè il danno per non aver potuto conseguire in eventuali concorsi pubblici il maggior punteggio riconosciuto ai diplomi comunitari e per non aver potuto esercitare la professione in altri Stati membri della comunità in regime di mutuo riconoscimento dei titoli di specializzazione.

La censura è inammissibile, prima ancora che infondata, quanto all’aspetto della chance perduta, a tacer d’altro perchè prospettata per la prima volta in questa sede e comunque eccentrica rispetto alla domanda avanzata dall’attore (riguardante il diverso profilo di danno, costituito dalla mancata percezione di un’adeguata remunerazione).

2.- Colgono invece nel segno il secondo ed il terzo motivo del ricorso, con i quali si deduce, rispettivamente, l’omessa pronuncia sul motivo di appello concernente i criteri di calcolo delle somme dovute allo specializzando, che non avrebbero potuto legittimamente commisurarsi all’importo della borsa di studio così come introdotta e quantificata nel decreto del 1991; nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (oltre che dell’art. 288 del Trattato dell’Unione), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice d’appello comunque ritenuto che la misura del risarcimento debba essere pari alle retribuzioni maturate, così identificando automaticamente l’entità del risarcimento spettante all’appellato con l’importo della remunerazione poi stabilita dal D.Lgs. n. 257 del 1991 a partire dall’anno accademico 1991.

E’ fondata, in sostanza, la censura con la quale si assume che la Corte territoriale ha finito per attribuire effetto retroattivo alla normativa introdotta col decreto legislativo citato, che invece riguardava i nuovi iscritti ai corsi di specializzazione regolati dalle diverse disposizioni introdotte a partire dall’anno accademico 1991/1992. Ancora, è corretto il rilievo per il quale, se la Corte d’Appello avesse inteso effettuare una liquidazione equitativa, avrebbe dovuto altrimenti giustificare l’entità del risarcimento ritenuta congrua, e non avvalersi dell’automatica trasposizione ad anni anteriori di un dato legislativo legittimamente non retroattivo;

ciò che, invece, ha comportato che la liquidazione effettuata sia risultata indimostrata ed eccessiva.

2.1.- Va in premessa richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 9147 del 2009, secondo cui fa in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno.

Orbene, va rilevato che la qualificazione dell’obbligazione come “indennitaria” consegue alla considerazione che la giurisprudenza della Corte di Giustizia (richiamata sia nella stessa sentenza che nelle sentenze di questa Corte nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011) esige che l’obbligazione risarcitoria dello Stato non sia condizionata al requisito della colpa; quindi, consegue all’operazione di sistemazione che le Sezioni Unite hanno fatto, collocando la responsabilità dello Stato nell’ambito della norma generale dell’art. 1176 cod. civ. e svincolandola dai presupposti soggettivi dell’art. 2043 cod. civ. Tuttavia, l’obbligazione in parola si distingue da quella risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. per la peculiarità della sua fonte, al di là del suo contenuto; il contenuto è, infatti, lato sensu risarcitorio, dato che – come affermato anche dalla Corte di Giustizia – l’inadempimento dello Stato ne comporta l’obbligazione di riparare il danno, ma a condizioni non meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna e comunque non tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento; inoltre, il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento ed, in ogni caso, non può essere escluso in via generale il risarcimento di componenti del danno, quale il lucro cessante; ancora, il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l’inadempimento. Le Sezioni Unite, richiamati tali principi, hanno affermato che il credito del danneggiato ha natura di credito di valore e che deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile.

2.2.- Il dictum delle sezioni unite comporta che l’idonea compensazione debba rispondere, da un canto, al requisito della serietà, congruità e non irrisorietà, dovendosi ristorare un danno alla luce della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile; dall’altro, in assenza di alcuni degli elementi strutturali dell’illecito aquiliano, all’esigenza di non trasmutare in diritto al risarcimento tout court sì come predicato dall’art. 2043 c.c.; dall’altro ancora, all’inammissibilità di un’identificazione con il corrispettivo di una prestazione eseguita e non retribuita, secondo una concezione strettamente giuslavoristica e non, come nella specie, “paracontrattuale” da responsabilità statuale per atto privo, sul piano interno, del carattere della illiceità.

La remunerazione da ritenersi adeguata per la frequenza della scuola di specializzazione in epoca anteriore al 1991 (e la cui perdita lo specializzando odierno controricorrente lamenta sub specie di danno risarcibile) non può essere equiparata alla remunerazione corrisposta per la frequenza dei corsi istituiti a far data dall’anno 1991/1992, poichè, come rilevato col terzo motivo di ricorso, ma anche in altri precedenti di questa Corte, un’operazione in tal guisa concepita finirebbe per comportare l’applicazione retroattiva del decreto 257/91 e la trasformazione, in altri termini, di una disciplina comunque discrezionale quanto all’individuazione della misura della retribuzione (e pacificamente rimessa al legislatore statuale) e comunque irretroattiva sul piano della sua decorrenza, in una disposizione normativa sostanzialmente retroattiva. Pertanto, il collegio ritiene di dare seguito, più analiticamente specificandone i contenuti, alla giurisprudenza di questa stessa corte regolatrice che, con la pronuncia n. 5842 del 2010, ha affermato, in argomento, che la mancata trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE – non autoesecutive in quanto, pur prevedendo lo specifico obbligo di retribuire adeguatamente la formazione del medico specializzando, non consentivano l’identificazione del debitore e la quantificazione del compenso dovuto – fa sorgere il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, tra i quali devono comprendersi non solo quelli conseguenti all’inidoneità del diploma di specializzazione (conseguito secondo la previgente normativa) al riconoscimento negli altri Stati membri e al suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l’accesso ai profili professionali, ma anche quelli connessi alla mancata percezione della remunerazione adeguata da parte del medico specializzando.

2.3.- Al giudice del rinvio è demandato il compito di quantificare tale, peculiare diritto (para)risarcitorio spettante al medico specializzando, quantificazione che non potrà che avvenire sul piano equitativo, secondo canoni di parità di trattamento per situazioni analoghe (cfr. Cass. n. 12408 del 2011).

Parametro di riferimento per il giudice territoriale sarà costituito dalle indicazioni contenute nella legge 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, e che non risultavano considerate dal D.Lgs. del 1991.

P.Q.M.

La corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, ne rigetta il primo, cassa e rinvia, anche per le spese, alla corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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