Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23274 del 18/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/09/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 18/09/2019), n.23274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTO Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21154/2017 R.G. proposto da:

B.M.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro

Liberatori, con domicilio eletto in Roma, piazzale Clodio, n. 18,

presso lo studio dell’Avv. Danilo Lusso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei

curatori p.t. Dott. R.F. e B.F. e Avv.

Francesca Tiradritti, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof.

Giustino Di Cecco, con domicilio eletto in Roma, via del Banco di S.

Spirito, n. 42;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Arezzo depositato il 26 luglio

2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

Fatto

RILEVATO

che la Dott. B.M.C. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso il decreto emesso il 26 luglio 2017, con cui il Tribunale di Arezzo ha rigettato l’opposizione da lei proposta avverso lo stato passivo del fallimento della (OMISSIS) S.p.a. in liquidazione, negando la collocazione in prededuzione di un credito di 7.696,00, già ammesso al passivo in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751-bis c.c., n. 2, e fatto valere dalla ricorrente a titolo di compenso per la redazione di perizie di stima ai sensi dell’art. 2465 c.c., comma 1, predisposte ai fini della presentazione di una domanda di concordato preventivo;

che i curatori del fallimento hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 2697 c.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto non provata l’inerenza della prestazione professionale ad una procedura di concordato preventivo, implicitamente riconosciuta dal provvedimento di ammissione al passivo;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 111, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso la collocazione del credito in prededuzione a causa dell’intervenuta dichiarazione d’inammissibilità del concordato, dovuta al difetto di fattibilità giuridica della proposta, e non ha considerato che la predetta disposizione si limita a richiedere che il credito sia sorto in funzione di una procedura concorsuale, senza porre alcuna restrizione, in modo da favorire il ricorso alle procedure concorsuali diverse dal fallimento;

che, ai fini del rigetto dell’opposizione, il decreto impugnato ha fatto ricorso a quattro distinti ordini di considerazioni, configurabili come autonome rationes decidendi, e costituiti rispettivamente a) dalla mancata dimostrazione dell’inerenza dell’attività professionale alla presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo, b) dal difetto di funzionalità della prestazione ad una procedura concorsuale, dovuto alla revoca della ammissione al concordato preventivo, c) dall’esclusione del rapporto di consecuzione tra le due procedure, in ragione del tempo trascorso tra la presentazione della domanda di ammissione al concordato e la dichiarazione di fallimento, d) dalla mancata indicazione dei profili di utilità concretamente arrecati alla massa dei creditori;

che, a sostegno dell’impugnazione, la ricorrente si è limitata a contestare le prime due affermazioni, senza fare alcun cenno alle altre due, in ordine alle quali si è astenuta dal proporre qualsiasi censura;

che qualora, come nella specie, il provvedimento impugnato sia sorretto da una pluralità di ragioni distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di alcune di esse ne comporta il passaggio in giudicato, rendendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle altre, il cui accoglimento non potrebbe in alcun caso condurre all’annullamento della sentenza (cfr. Cass., Sez. I, 27/07/2017, n. 18641; Cass., Sez. VI, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. lav., 4/03/2016, n. 4293);

che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 18 settembre 2019

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