Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23272 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. III, 09/11/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 09/11/2011), n.23272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS) in persona del

Ministro p.t., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende per legge;

– ricorrente –

contro

V.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato OLIVETI FRANCESCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PANNOZZO ENRICO giusto mandato

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5107/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/12/2008 R.G.N. 464/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato ETTORE FIGLIOLIA;

udito l’Avvocato ENRICO PANNOZZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- L’Avvocatura dello Stato, in difesa del Ministero dell’istruzione, università e ricerca scientifica, propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 24864/2004 con la quale, accogliendo la domanda del dottor V.A.M., il Ministero era stato condannato al pagamento della somma di Euro 22.207,65 a titolo di giusta remunerazione per la frequenza del corso quadriennale di specializzazione in pediatria presso l’Università dell’Aquila conclusosi in data 16 luglio 1992.

Il gravame venne rigettato dall’adita corte di appello di Roma, che ritenne infondate le eccezioni di difetto di giurisdizione e di difetto di legittimazione passiva sollevate dall’appellante e fondata la pretesa al risarcimento dei danni dell’appellato per la tardiva trasposizione nell’ordinamento interno delle norme comunitarie di cui alle direttive 75/363/CEE e 82/76 CEE, che riconoscevano il diritto dei medici specializzandi ad un’adeguata remunerazione.

La sentenza è impugnata dalla Avvocatura dello Stato con ricorso per cassazione basato su motivo formalmente unico, ma nel quale sono articolate tre distinte censure. Resiste con controricorso l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo profilo di censura si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342, 345 c.p.c. e dell’art. 2043 cod. civ., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4. A tale censura corrisponde il quesito di diritto sub 1) alla pag. 10, che è conforme alla previsione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. applicabile ratione temporis (dato che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 9 dicembre 2008).

Il motivo è tuttavia inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, pure applicabile in considerazione della predetta data di pubblicazione della sentenza impugnata.

1.2.- Sostiene il ricorrente che giammai la controparte avrebbe adito il giudice di merito per conseguire l’accoglimento di istanze risarcitorie; che, pertanto, i presupposti in fatto ed in diritto oggetto della sentenza impugnata non corrisponderebbero alla “realtà del contenzioso”, così come risultante dalle domande introdotte dalla parte attrice; in particolare, la Corte d’Appello avrebbe “d’ufficio” dato ingresso a pretese risarcitorie conseguenti all’omesso tempestivo adempimento da parte dello Stato agli obblighi comunitari, mentre il Tribunale, su conforme domanda dell’interessato, avrebbe riconosciuto a quest’ultimo un credito diverso da quello risarcitorio, tanto è vero che l’appello del Ministero aveva avuto ad oggetto soltanto la giuridica impossibilità di riconoscere all’istante il beneficio dell’adeguata remunerazione.

1.3.- Il ricorso è privo di qualsivoglia indicazione in punto di domande formulate dall’attore con l’atto di citazione e di relative conclusioni, nonchè in punto di conclusioni in appello.

In particolare, avendo il ricorrente dedotto che il V. non avrebbe proposto in primo grado la domanda risarcitoria e che, pertanto, la Corte d’Appello, qualificando la causa petendi ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., sarebbe incorsa in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., avrebbe dovuto riportare in ricorso le deduzioni e le conclusioni contenute nell’atto di citazione in primo grado, riproducendole entrambe ovvero, quanto meno, sintetizzando le prime e trascrivendo le seconde. Il ricorso, invece, riporta, in parte, l’atto di appello dell’amministrazione ma nulla dice riguardo alle ragioni dell’attore, poi appellato. Nè può ritenersi idonea a rendere il ricorso autosufficiente la breve sintesi posta in apertura (“il nominato in epigrafe ha chiesto al Tribunale di Roma il pagamento di talune somme in relazione al diritto vantato per effetto della frequentazione della scuola di specializzazione in pediatria, conseguendo il diploma in data 16. 7.1992”) : oltre al fatto che trattasi di indicazione assolutamente sintetica e priva di significativi riferimenti fattuali e normativi, è palese l’ambiguità delle espressioni adoperate riferite e riferibili a circostanze di fatto che potrebbero essere poste a base sia della domanda di riconoscimento del diritto in forza delle direttive comunitarie sia della domanda di risarcimento del danno per la mancata o tardiva o inesatta trasposizione di queste direttive nell’ordinamento interno; nè può escludersi che l’attore avesse avanzato l’una e l’altra domanda, in via alternativa o subordinata.

L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza; quest’ultimo principio non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, avendo il ricorrente l’onere di indicarli compiutamente e non essendo legittimata questa Corte a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi (cfr.

Cass. n. 20405/06; Cass. n. 6361/07; Cass. n. 21226/10). Pertanto, ove il ricorrente censuri la decisione di appello per violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene nuova e quindi mai proposta in primo grado la domanda sulla quale ha infine pronunciato il giudice di appello, e non può limitarsi a rinviare all’atto di citazione, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziare i fatti e le ragioni di diritto posti a fondamento dell’originaria domanda.

2.- Con altra censura illustrata sotto l’unico formale motivo di ricorso si deduce la violazione di legge con riferimento alle norme delle direttive CEE nn. 363/75, 82/76, 93/116, nonchè del D.Lgs. n. 257 del 1991 e della L. n. 370 del 1999.

Orbene, anche a voler superare il profilo di inammissibilità conseguente alla mancata indicazione degli articoli di dette direttive e di detti atti normativi interni che si assumono violati, il motivo è comunque inammissibile perchè il quesito di diritto formulato alle pagg. 10-11 sub 2) non è conforme alla previsione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., così come interpretata da questa Corte, la cui giurisprudenza qui si intende ribadire.

In particolare, il quesito in parola è assolutamente generico, privo di qualsiasi riferimento al caso concreto, in quanto prospetta una questione di diritto astrattamente meritevole di approfondimento, ma non crea alcun collegamento tra questa e la situazione dedotta in giudizio dal dott. V., sicchè, tradendo la ratio della norma citata, comporta l’inammissibilità del motivo (cfr., tra le tante, Cass. S.U. n. 36/07, Cass. S.U. n. 6420/08, Cass. S.U. n. 11210/08).

3.- Analogamente è a dirsi con riferimento al terzo profilo di censura, col quale è denunciato il vizio di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, nonchè di travisamento assoluto dei fatti oggetto di contenzioso. Non si rinviene, in ricorso, il momento di sintesi che questa Corte ha ripetutamente ritenuto indispensabile per una corretta formulazione del quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nel testo come sopra vigente (cfr., tra le altre, Cass. n. 4556/09); in particolare, per comprendere le circostanze rispetto alle quali sono denunciati il difetto di motivazione ed il travisamento dei fatti è necessario avvalersi della parte illustrativa del motivo, peraltro esposta in modo da tale da ricomprendervi non solo il vizio motivazionale ma anche quello di violazione di legge (cfr. pagg. 7-10). Ne segue l’inammissibilità del motivo.

4.- Avuto riguardo alle ragioni in rito poste a fondamento della ritenuta inammissibilità del ricorso, si ritiene di giustizia la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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