Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2327 del 31/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2018, (ud. 11/07/2017, dep.31/01/2018),  n. 2327

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La società Aeroporti di Roma S.p.a. (d’ora in poi, Aeroporti Roma) ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 5597/14 della Corte di Appello di Roma del 12 settembre 2014, che – rigettando il gravame principale proposto dall’odierna ricorrente contro la sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 1056/08 del 7 novembre 2008, ed accogliendo parzialmente, invece, quello incidentale della società Air Columbia S.r.l. (d’ora in poi, Columbia) – ne ha confermato la condanna a risarcire a Columbia, ex art. 2051 c.c., i danni subiti da un velivolo (OMISSIS) di proprietà della stessa, in ragione di sinistro occorso presso l'(OMISSIS), liquidandone l’entità (stimata, dal primo giudice, in soli Euro 66.969,43) in ulteriori Euro 200.000,000 oltre interessi “come da parte motiva”, a titolo di fermo tecnico dell’aeromobile, condannando, altresì, Aeroporti Roma a rifondere le spese di entrambi i gradi di giudizio sia a Columbia sia alla società EAS European Avia Service S.p.a. (divenuta in corso di causa Compagnia Aerea Italiana S.p.a.), convenuta anch’essa in giudizio da Columbia, nonchè costituitasi pure nel giudizio di appello, con distrazione in favore dell’Avv. Francesco Terzi, dichiaratosi antistatario.

2. Riferisce, in particolare, Aeroporti Roma di essere stata convenuta in giudizio – unitamente alla società EAS European Avia Service S.p.a. (d’ora in poi, EAS), società gestrice delle operazioni di handling aeroportuali – dalla Columbia, al fine di conseguire il risarcimento dei danni indiretti subiti da un proprio aeromobile (quelli diretti essendo stati indennizzati dalla società assicuratrice dello stesso), stimati da parte attrice nella misura di Euro 594.107,19, danni cagionati dalla collisione dell’elica del motore sinistro del velivolo contro un “tacco di parcheggio”, ovvero il dispositivo utilizzato per bloccare le ruote degli aeromobili in sosta.

Accolta dall’adito Tribunale di Civitavecchia la domanda attorea – ma nella misura, come detto, i soli Euro 66.969,43 – esclusivamente nei confronti dell’odierna ricorrente (e ciò sul presupposto che l’impatto sarebbe avvenuto “non già nella piazzola di sosta”, ovvero “nell’area di competenza dell’operatore handling EAS, bensì in prossimità della via di rullaggio ove transitano i veicoli provenienti dalle piazzole”, cd. “taxi way”, con conseguente responsabilità, unicamente, a carico di Aeroporti Roma, “in quanto titolare della gestione dell’aeroporto di (OMISSIS) per concessione pubblica”), la stessa proponeva appello, essenzialmente teso a dimostrare una diversa dinamica dell’incidente ed in particolare la sua verificazione all’interno dell’area, contrassegnata come “E 22”, nella quale il predetto handler svolgeva il proprio servizio, donde la pretesa, esclusiva, responsabilità dello stesso.

roposto – come rammentato in premessa – appello incidentale dalla Columbia (per una diversa quantificazione del danno subito), la Corte capitolina, nella resistenza in giudizio di EAS, confermava la condanna risarcitoria comminata a carico della sola odierna ricorrente, liquidando, tuttavia, l’importo del pregiudizio patito dalla danneggiata in misura superiore rispetto al giudice di prime cure, riconoscendole, infatti, ulteriori Euro 200.000,000 a titolo di “fermo tecnico” del velivolo, oltre interessi “come da parte motiva” (ovvero, secondo il sistema previsto per i danni da illecito aquiliano da Cass. Sez. Un., sent. 17 febbraio 1995, n. 1712).

A fondamento della propria decisione la Corte di Appello di Roma ha ritenuto applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio la previsione di cui all’art. 2051 c.c., non solo affermando – in rigetto dei motivi del gravame principale – non esservi “prova circa l’esatta ubicazione del “tacco””, ma ritenendo tale circostanza irrilevante, non avendo la società Aeroporti di Roma s.p.a. “fornito la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare l’incidente”, ovunque esso si fosse verificato, prova dalla quale era onerata, nella sua qualità di “custode dell’intera struttura aeroportuale”.

Il secondo giudice provvedeva, infine, sulle spese di ambo i gradi di giudizio come sopra illustrato.

3. Avverso tale sentenza Aeroporti Roma propone ricorso per cassazione, articolato sulla base di otto motivi.

3.1. Con i primi due motivi essa deduce, rispettivamente, violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nel primo caso dell’art. 2697 c.c., commi 1 e 2, in tema di assolvimento dell’onere probatorio, nel secondo dell’art. 115 c.c., comma 1, e art. 116 c.c., comma 1, in tema di disponibilità e valutazione delle prove, corredando tale seconda censura anche con quella di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, che identifica nell’esatta ubicazione del “tacco” di gomma.

Mediante il primo di tali motivi, in sostanza, essa lamenta “una distorta e sovvertita applicazione delle norme dettate dal nostro ordinamento – sostanziale e processuale – in tema di ripartizione dell’onere probatorio”, dolendosi del fatto che era “onere di parte attrice provare esattamente non solo cosa è avvenuto, ma quando è avvenuto e, soprattutto, dove” (e segnatamente, con riguardo alla presente fattispecie, dimostrare “che il “tacco”, al momento in cui fu urato dall’aeromobile, si trovava sulla taxi way), prova che, nel caso in esame, non sarebbe stata fornita dalla Columbia, la quale, anzi, avrebbe addirittura prodotto documenti dai quali risulterebbe che il cd. “tacco” si “trovava invece sulla piazzola (OMISSIS)”. In queste condizioni, dunque, la domanda attorea avrebbe dovuto essere rigettata dalla Corte di Appello, la quale, invece, ha addirittura affermato l’irrilevanza di detta circostanza, sul presupposto che Aeroporti Roma risponderebbe del danno, ex art. 2051 c.c., “in quanto custode dell’intera struttura aeroportuale”. La scelta di “disinteressarsi” di tale circostanza integrerebbe – come ipotizzato con il secondo motivo di ricorso, da intendere, dunque, in stretta connessione con il primo – il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, così come sostanzierebbe violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c., comma 1, la scelta di disattendere le risultanze di prove documentali (un “report” reso nell’immediatezza dei fatti dal comandante del velivolo, nonchè una “relazione stilata e sottoscritta dal rampista da EAS”) prodotte dalla stessa Columbia, dalle quali emergerebbe la presenza del “tacco” nell’aera di sosta rientrante nella disponibilità dell’handler.

3.2. Attraverso il terzo ed il quarto motivo – entrambi proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – Aeroporti Roma lamenta “violazione e falsa applicazione di norme”, per un verso “in relazione al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato” (richiamando, così, l’art. 112 c.p.c.), per altro verso in ordine all’art. 2051 c.c., e ciò con riferimento “alla qualifica di “custode”” che ad essa ricorrente è stata attribuita “relativamente all’area in cui si è verificato il sinistro”.

Più esattamente, con la prima di tali censure, la ricorrente si duole del fatto che la condanna pronunciata a suo carico dalla Corte capitolina sarebbe stata comminata “sulla base di una disposizione di legge e, più in generale, di una complessiva struttura dell’azione” che non sarebbero “mai state nè invocate nè prospettate” da parte attrice, avendo essa configurato, in atto di citazione, una responsabilità extracontrattuale di essa Aeroporti Roma, ma senza “aver mai espressamente dedotto la sussistenza a suo carico di una responsabilità di natura oggettiva” quale quella prevista dall’art. 2051 c.c..

Con l’altra censura, invece, tende a dimostrare l’erroneità in iure dell’affermazione secondo cui Aeroporti Roma dovrebbe intendersi custode “dell’intera struttura aeroportuale di cui ha l’intera gestione” in quanto concessionario, atteso che, nella specie, ricorrerebbe una “sub-concessione” delle singole aree di sosta in favore di ciascun handler operante all’interno dell’Aeroporto di (OMISSIS), come sarebbe reso evidente, tra l’altro, dall’art. 5 del “Regolamento di scalo”, laddove prevede che “il prestatore/autoproduttore “(i servizi di handling) “dovrà accertarsi che la piazzuola stessa, nella aree delimitate di manovra dell’aeromobile (…), sia completamente sgombra da automezzi e materiali di qualsiasi genere”. D’altra parte, dovrebbe escludersi che il gestore aeroportuale mantenga su di sè oneri ed obblighi di custodia di un’area – nella quale non opera, ed anzi assegnata a terzi (nella specie, EAS) per lo svolgimento di attività “in regime di libera prestazione”, di talchè l’affermazione della responsabilità dell’odierna ricorrente, ai sensi dell’art. 2051 c.c., contravverrebbe al principio secondo cui essa “postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa.

3.3. Mercè il quinto motivo la ricorrente ipotizza, nuovamente, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.”, e ciò in relazione tanto “alla omessa valutazione del fatto del terzo quale prova liberatoria incombente sul custode”, quanto “alle delimitazione dei rischi imputabili” al medesimo.

Anche a voler ritenere sussistenti le condizioni per configurare la responsabilità da cose in custodia a carico di essa Aeroporti di Roma, la sentenza impugnata avrebbe errato per aver “omesso di considerare l’incidenza del ruolo” assunto dall’handler “ai fini della configurabilità dell’esimente del caso fortuito (rectius: fatto del terzo) quale prova liberatoria incombente sul gestore aeroportuale”. In particolare, “omettendo di valutare la posizione, gli obblighi e la condotta del terzo EAS”, il secondo giudice avrebbe “a piè pari saltato ogni giudizio sull’autonoma efficienza causale della condotta di tale terzo nella genesi del fatto produttivo del danno”; valutazione, oltretutto, che “avrebbe dovuto involgere anche una attenta valutazione circa la natura e pericolosità della cosa”.

D’altra parte, poi, la sentenza impugnata – secondo la ricorrente – ha “completamente omesso di considerare che il gestore aeroportuale non sarebbe potuto in nessun caso essere a conoscenza della situazione di pericolo”, donde il denunciato errore di sussunzione “in relazione al concetto di “delimitazione dei rischi” in capo all’asserito custode”. E ciò sia perchè Aeroporti Roma, “non svolgendo attività di assistenza a terra agli aeromobili (cd. handling aeroportuale) non possiede tacchi di gomma” (la cui dotazione, secondo quanto nuovamente previsto dal già citato “Regolamento di scalo”, è posta, difatti, a carico di “prestatori/auto produttori/vettori”), sia perchè, se neppure il comandante dell’aeromobile incidentato ed il rampista delle EAS – secondo quanto emergerebbe dalle loro dichiarazioni scritte – “hanno visto il tacco, proprio non si vede come avrebbe potuto rendersene conto il personale di Aeroporti di Roma”.

3.4. Il sesto e l’ottavo motivo di ricorso vertono su aspetti suscettibili di trattazione congiunta, giacchè l’uno prospetta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e ciò “in relazione alla responsabilità esclusiva del pilota del velivolo”, mentre l’altro ipotizza – accanto ad un’analoga omissione con riferimento, quantomeno, all’ipotesi di un concorso di colpa sia del comandante dell’aeromobile che dell’handler aeroportuale (per le ragioni, con riferimento a quest’ultimo, già illustrate nella prospettazione degli altri motivi di ricorso) – pure la violazione dell’art. 2055 c.c., in tema di responsabilità solidale di entrambi tali soggetti, evocando, così, anche il vizio di cui al n. 3) sempre del comma 1 medesimo art. 360 codice di rito civile.

3.5. Il settimo motivo di ricorso censura, invece, la sentenza impugnata – ai sensi della norma da ultimo menzionata – per “violazione e falsa applicazione di norme” in tema di “assolvimento dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.), di valutazione del danno (art. 2056 c.c.) e di pronuncia secondo diritto (art. 113 c.p.c.)”, e ciò “con riferimento al quantum” della domanda risarcitoria di Columbia.

Contesta la decisione della Corte di Appello di riconoscere – diversamente dal primo giudice – anche il danno “da fermo tecnico”, liquidandolo, in via equitativa, nell’importo di “ulteriori Euro 200.00,00” (oltre interessi), giacchè la sentenza impugnata non direbbe, neppure indirettamente, “quale sia l’elemento probatorio che l’avrebbe condotta a ritenere errata la sentenza del Tribunale di Civitavecchia nella parte in cui aveva respinto tali pretese economiche” di parte attrice.

4. Ha resistito con controricorso Compagnia Aerea Italiana S.p.a. (già Alitalia-Compagnia Aerea Italia S.p.a., derivante dalla scissione parziale di Air One S.p.a., società nella quale è stata fusa per incorporazione EAS European Avia Service S.p.a), deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza dei singoli motivi di ricorso.

In particolare, la controricorrente assume che il primo motivo, contrariamente alla sua intestazione, “nella sua esposizione non enuncia alcuna violazione di legge”, risolvendosi in un inammissibile tentativo di rivisitazione del materiale probatorio scrutinato dalla Corte di Appello. Del pari inammissibile, oltre che infondato, sarebbe anche il secondo motivo di ricorso, visto che ai fini della sussistenza del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), si richiede una omissione di pronuncia, ipotizzabile solo in carenza di totale considerazione della domanda sottoposta all’esame del giudicante, mentre il cattivo esercizio, da parte del giudice, del potere di prudente apprezzamento della prova, sarebbe censurabile proprio ai sensi della norma testè richiamata e non, come fatto invece dalla ricorrente, sub specie di violazione e falsa applicazione di norme di diritto. In ogni caso, poi, con il suddetto motivo, la ricorrente tenderebbe a sovrapporre la propria interpretazione delle prove a quella effettuata dal giudice di merito. Analogo rilievo dovrebbe compiersi anche con riferimento al terzo motivo di impugnazione, in ogni caso inammissibile, giacchè la violazione dell’art. 112 c.p.c. sarebbe da ricondurre al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Il quarto motivo, al pari degli altri, sarebbe inammissibile, perchè attraverso di esso si compirebbe, ancora una volta, una rivisitazione del materiale istruttorio acquisito in corso di causa, mentre il quinto motivo – in ogni caso inammissibile, secondo la controricorrente, perchè la valutazione dei documenti esibiti involge apprezzamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità – avrebbe dovuto essere proposto ai sensi del già citato art. 360 codice di rito civile, comma 1, n. 5. Infondati, se non inammissibili, sarebbero i motivi sesto, settimo e ottavo, giacchè la sentenza impugnata non avrebbe affatto omesso di pronunciarsi sulla pretesa responsabilità esclusiva del pilota del velivolo, ma l’avrebbe esclusa, mentre non avrebbe potuto nè dovuto pronunciarsi su alcuna responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., avendo ritenuto applicabile nei confronti di Aeroporti di Roma (e di essa soltanto) l’art. 2051 c.c.; esente da mende, infine, sarebbe anche la liquidazione del danno da fermo tecnico, visto che la Corte capitolina avrebbe solo “valutato, e non accertato”, il danno de quo, “in stretto ossequio all’art. 2056 c.c.”, fermo restando che nessuna violazione dell’art. 2697 c.c. ricorrerebbe nel caso di specie (essendo essa ipotizzabile solo quanto la decisione attribuisca l’onere probatorio ad una parte diversa da quella tenuta, invece, a sopportarlo), mirando l’iniziativa della ricorrente, anche in questo caso, ad un inammissibile rivisitazione delle risultanze istruttorie.

5. E’ intervenuto in giudizio il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte per chiedere l’accoglimento dei motivi di ricorso primo, secondo, terzo, quarto, quinto ed ottavo.

In particolare, l’interveniente assume che “la sub-concessione di un’area allo scopo della effettuazione dei servizi di handling comporta il trasferimento dei poteri custodiali dal gestore dell’aeroporto al sub-concessionario” (è citata Cass. Sez. Un., sent. 4 novembre 2011, n. 23322, relativa alla gestione di un’area, frontistante ad un’aerostazione, adibita a servizio di car-valeting in favore della clientela, servizio consistente in rimessaggio, custodia, e servizi accessori in favore delle vetture della clientela, nei limiti dei posti assegnati), dando vita, comunque, ad una relazione assimilabile a quella tra locatore e conduttore, ovvero tra committente ed appaltatore, ciò che rendeva necessario accertare – a dispetto di quanto affermato nella sentenza impugnata – quale sia stato il luogo “teatro” del sinistro, ovvero la “taxi way” o l’area nella disponibilità dell’handler.

6. Entrambi le parti private hanno presentato memorie, insistendo nelle rispettive conclusioni.

In particolare, Aeroporti Roma ha sottolineato come la denunciata violazione e falsa applicazione in cui sarebbe incorsa la decisione qui impugnata troverebbe conferma nella sentenza n. 333/15 con cui la Corte di Appello di L’Aquila, per il medesimo fatto oggetto del presente giudizio, ha condannato l’odierna controricorrente a corrispondere all’assicuratore di Columbia la somma di Euro 357.377,28, dal primo versato alla seconda a titolo di indennizzo per i danni diretti conseguenti al sinistro del (OMISSIS). Per l’esattezza, la Corte abruzzese non solo non sarebbe incorsa nell’errore commesso da quella capitolina, ma avrebbe evidenziato come la circostanza relativa all’identificazione del luogo dell’incidente nella piazzola “(OMISSIS)” emergesse proprio dai documenti trascurati dalla Corte di Appello di Roma. Si confermerebbe, in questo modo, la bontà del secondo motivo di ricorso, e ciò in relazione a ciascuno dei profili evocati, con riferimento ai quali, peraltro, la ricorrente precisa, in memoria, di non aver dedotto – segnatamente, sub specie di violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 1, – un cattivo esercizio del potere di apprezzamento della prova (come assume, invece, la controricorrente), bensì “una totale omessa considerazione delle prove precostituite”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso è fondato, ma limitatamente al suo settimo motivo, essendo, invece, i motivi primo, secondo, quinto, sesto ed ottavo inammissibili, mentre il terzo ed il quarto non sono fondati.

8. Carattere pregiudiziale presentano i motivi terzo e quarto, attraverso i quali la ricorrente tende a mettere in discussione – sotto due diversi angoli visuali – l’applicabilità alla presente fattispecie dell’art. 2051 c.c..

8.1. Non fondato è, innanzitutto, il terzo motivo di ricorso, che evoca – come visto – la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si consideri, infatti, che “in tema di qualificazione giuridica dei fatti oggetto di controversia, quando la parte agisce prospettando condotte astrattamente compatibili con la fattispecie prevista dall’art. 2051 c.c.” (come è accaduto certamente nel caso di specie), neppure “la loro riconduzione, operata dal giudice di primo grado, all’art. 2043 c.c.” – evenienza, nella specie, peraltro neppure sussistente – “vincola il giudice d’appello nel potere di riqualificazione giuridica dei fatti costitutivi della pretesa azionata” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 9 giugno 2016, n. 11805, Rv. 640195-01). A maggior ragione, dunque, non può ritenersi precluso al giudice di seconde cure, a fronte della già avvenuta riconduzione del thema decidendum – da parte del primo giudice – entro l’ambito di operatività della responsabilità da cosa in custodia, di ribadire tale qualificazione giuridica, a fronte di una domanda giudiziale che, come detto, prospettava la ricorrenza di un illecito aquiliano.

8.2. Non fondato risulta pure il quarto motivo di ricorso, che assume come giuridicamente errata l’affermazione secondo cui Aeroporti Roma dovrebbe intendersi custode “dell’intera struttura aeroportuale di cui ha l’intera gestione”, in quanto concessionario della stessa, posto che l’handler dovrebbe considerarsi titolare di una “sub-concessione” della singola area di sosta presso cui opera.

8.2.1. Il punto richiede una precisazione preliminare, in ordine ai rapporti tra il cd. “ente di gestione” (ovvero, “il soggetto cui è affidato, insieme ad altre attività o in via esclusiva, il compito di amministrare e di gestire le infrastrutture aeroportuali e di coordinare e controllare le attività dei vari operatori presenti nell’aeroporto o nel sistema aeroportuale considerato” (secondo la definizione datane dal D.Lgs. 13 gennaio 1999, n. 18, art. 2, comma 1, lett. c,) e, per l’appunto, l’handler aeroportuale.

Al riguardo, giova premettere che il termine handling indica il complesso di servizi di assistenza a terra prestati in aeroporto all’aeromobile, ai passeggeri e alle cose, ovvero quell’insieme di attività, necessarie ai fini dell’esercizio della navigazione aerea e dell’esecuzione del contratto di trasporto aereo di persone e cose, che possono essere svolte dal vettore in autonomia (c.d. self-handling o autoproduzione), oppure possono essere fornite, su richiesta del vettore, dalla società di gestione aeroportuale o da un’impresa avente specificamente ad oggetto la prestazione dei servizi di handling. Tale triplice modalità di svolgimento si pone come l’esito di un processo di “liberalizzazione” dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti dell’Unione europea, che ha tratto origine dalla Direttiva 96/67/CE del Consiglio del 15 ottobre 1996 (relativa all’accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti dell’allora Comunità europea), attuata in Italia con il già segnalato D.Lgs. n. 18 del 1999, adottato in esecuzione della delega contenuta nella L. 24 aprile 1998, n. 128 (cd. Legge comunitaria 1995-1997).

Si è superato, in questo modo, il monopolio che caratterizzava il regime organizzativo degli aeroporti italiani, giacchè essi, in passato, attraverso lo strumento della “concessione di servizio”, erano interamente affidati in gestione a società (caratterizzate, originariamente, dalla prevalenza – se non addirittura dall’esclusività – del capitale pubblico, per essere successivamente sottoposte ad un processo di graduale privatizzazione), le quali provvedevano, oltre che alla gestione delle infrastrutture aeroportuali e al coordinamento e controllo delle attività degli operatori privati presenti nell’aeroporto, anche all’espletamento dei servizi di assistenza a terra. In particolare, per il sistema aeroportuale di (OMISSIS) (costituito dai due aeroporti di (OMISSIS) e di (OMISSIS)), le modalità di gestione dei servizi aeroportuali in concessione erano previste dalla L. 10 novembre 1973, n. 755, salvo poi essere il fondamento legislativo del regime concessorio generalizzato con la L. 24 dicembre 1993, n. 537, il cui art. 10 ha previsto (comma 13) la costituzione di specifiche società di capitali per la gestione dei servizi e per la realizzazione delle infrastrutture degli aeroporti gestiti anche in parte dallo Stato.

Tornando, specificamente, all’attività di handling, la stessa – prima dell’avvento della normativa comunitaria (e di quella nazionale che vi ha dato attuazione)- non era, pertanto, prestata sulla base di un contratto liberamente stipulato dal vettore con un’impresa operante in regime di concorrenza, essendo, invece, necessariamente espletata dal soggetto cui tale possibilità era attribuita in via esclusiva dalla legge. Il vettore era così privo non soltanto della facoltà di scegliere tra una pluralità di operatori indipendenti, ma anche della possibilità di svolgere la predetta attività con il proprio personale di terra, in regime di autoproduzione.

La materia, come detto, è stata innovata dal citato D.Lgs. n. 18 del 1999, il quale – premesse le definizioni di “ente di gestione”, di “utente di aeroporto o vettore” e “di prestatore di servizi di assistenza a terra” – ha raggruppato tutti i possibili servizi di handling in un apposito allegato (A), definendo l’attività di assistenza a terra come “il servizio, tra quelli indicati nell’Allegato A, reso in un aeroporto a un utente” (art. 2, comma 1, lett. e).

I servizi di handling possono, dunque, essere forniti – in regime di concorrenza – dall’ente di gestione (art. 3), dal vettore in autoassistenza (art. 5) o da singoli prestatori di servizi (art. 4), previa separazione contabile tra le attività legate alla fornitura di questi servizi e le altre attività da loro esercitate (art. 7). Peraltro, l’ENAC può disporre limitazioni con riguardo a specifiche categorie di servizi (assistenza bagagli, assistenza operazioni in pista, assistenza carburante e olio, assistenza merci e posta), per ragioni inerenti alla sicurezza, alla capacità e allo spazio disponibile nell’aeroporto. Anche in questi casi, tuttavia, il numero dei prestatori non può essere inferiore a due per ciascuna categoria di servizi sottoposta a limitazione (art. 4, comma 2). Identiche limitazioni possono riguardare lo svolgimento dei predetti servizi in autoassistenza da parte dei vettori (art. 5, comma 2).

La concreta possibilità, per i singoli prestatori, di fornire servizi di handling è subordinata al rilascio di un certificato di idoneità da parte dell’ENAC, che presuppone la positiva verifica di specifici requisiti, attinenti alle dimensioni del capitale sociale (che deve essere almeno pari ad un quarto del presumibile giro di affari derivante dalle attività da svolgere), alla disponibilità di risorse strumentali e di capacità organizzative idonee in relazione alle categorie di servizio richieste, all’attestazione del rispetto degli obblighi derivanti dalla legislazione sociale e sulla sicurezza del lavoro, e alla sussistenza di adeguata copertura assicurativa (art. 13).

Nell’ipotesi in cui il numero di prestatori sia limitato, l’accesso al mercato dei servizi a terra è poi subordinato all’esito di una gara d’appalto indetta dall’ente di gestione e aperta a tutti gli operatori interessati che siano in possesso dei predetti requisiti di idoneità (art. 11).

In coerenzà con tale disciplina, il codice della navigazione, nel testo modificato dai D.Lgs. 9 maggio 2005, n. 96 e D.Lgs. 15 marzo 2006, n. 151, contempla l’attività di handling nel Capo 2^ del Titolo 3^ del Libro 1^ della Parte seconda. Questo Capo (intitolato “Delle gestioni aeroportuali e dei servizi di assistenza a terra”), dopo aver previsto della disciplina del rilascio della concessione di gestione aeroportuale (art. 704) e dell’individuazione dei compiti del gestore aeroportuale (art. 705), prevede che “i servizi di assistenza a terra negli aeroporti aperti al traffico commerciale, espletati sia dal gestore aeroportuale che dagli operatori terzi o dagli utenti in autoassistenza ritenuti idonei dall’ENAC, sono regolati dalle norme speciali in materia” (art. 706), così rinviando al predetto D.Lgs. n. 18 del 1999.

Da quanto precede emerge, dunque, che l’attività di handling non solo non viene più espletata in situazione di monopolio ma, diversamente dal passato, viene resa in esecuzione di un contratto liberamente stipulato con il prestatore del servizio dal vettore aereo (sempre che esso non ricorra, come detto, al self-handling), contratto che, dal punto di vista strutturale, rientra nello schema del “contratto per adesione”, mentre dal punto di vista del contenuto si pone “contratto ad oggetto determinabile”, potendo, infine, essere classificato – quanto alla sua natura giuridica – “sia come contratto misto (in quanto fonte di obbligazioni che hanno per oggetto prestazioni riconducibili a diversi contratti tipici, quali, di volta in volta, l’appalto, il mandato, il deposito, la somministrazione), sia come autonomo contratto atipico” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 20 settembre 2017, n. 21850).

8.2.2. Orbene, tanto premesso, ed in particolare considerato che – ai sensi del già richiamato D.Lgs. n. 18 del 1999, art. 2, comma 1, lett. c), – per “ente di gestione” (nel presente caso, Aeroporti Roma) si intende il soggetto “cui è affidato, insieme ad altre attività o in via esclusiva, il compito di amministrare e di gestire le infrastrutture aeroportuali” (ma anche “di coordinare e controllare le attività dei vari operatori presenti nell’aeroporto o nel sistema aeroportuale considerato”), deve concludersi per la correttezza della tesi che ravvisa, in capo allo stesso, la persistente custodia dell’intera struttura, neppure escluse le “aree di competenza dell’handler”. D’altra parte, l’assunto relativo all’esistenza, in capo a quest’ultimo, di quel “potere di governo della cosa” in cui si identifica l’essenza del rapporto di custodia, rilevante ai fini ed agli effetti dell’applicazione dell’art. 2051 c.c. (cfr., da ultimo, Cass. Sez. Un. 10 maggio 2016, n. 9449, in motivazione), è rimasta priva di dimostrazione.

Difatti, l’invocata previsione di cui all’art. 5 del “Regolamento di scalo” dell’Aeroporto di (OMISSIS), sebbene ponga a carico dell’handler un obbligo – quello di “accertarsi che la piazzuola stessa, nella aree delimitate di manovra dell’aeromobile”, sia “completamente sgombra da automezzi e materiali di qualsiasi genere” – idoneo a fondare una sua responsabilità verso “l’ente di gestione” (ma tale da farsi valere, eventualmente, in via di rivalsa), non può certo comportare una “traslazione” di quella “disponibilità giuridica e materiale” della res (sulla quale, da ultimo, ex multis, Cass. Sez. 3., sent. 29 settembre 2017, n. 22839, Rv. 645510-01) che è necessaria ai fini della ricorrenza del responsabilità per danni da cose in custodia.

Al descritto ordine di idee, ovvero della configurabilità di una responsabilità dell’handler per inadempimento degli obblighi, nascenti dal suddetto regolamento, di fornire i servizi di rampa, ha mostrato di aderire la Corte di Appello di Ancona nella sentenza prodotta dall’odierna ricorrente nella memoria depositata ex art. 380-bis c.p.c., decisione che ha confermato l’accoglimento – disposto dal Tribunale di Chieti – dell’azione di rivalsa esercitata nei confronti di EAS dal proprio assicuratore, per avere esso provveduto a risarcire a Columbia i danni dalla stessa subiti.

Nè, in senso contrario alle conclusioni raggiunte, potrebbe utilmente richiamarsi la pronuncia di questa Corte (Cass. Sez. Un., sent. 4 novembre 2011, n. 23322), relativa alla gestione di un’area, frontistante ad un’aerostazione, adibita a servizio di car valeting in favore della clientela, e ciò non solo per la carenza di omogeneità tra le due fattispecie (trattandosi, in quel caso, di servizio consistente in rimessaggio, custodia, e servizi accessori in favore delle vetture della clientela dell’aeroporto, nei limiti dei posti assegnati), ma soprattutto perchè la citata decisione non concerne specificamente il tema della responsabilità da cose in custodia. Altrettanto, del resto, è a dirsi per il richiamo ai casi di traslazione della custodia che si determina in presenza della, stipulazione di un contratto di appalto o di locazione. E ciò attesa l’esistenza di ipotesi nelle quali l’applicazione dell’art. 2051 c.c. non è stata del tutto esclusa nè in capo alla stazione appaltante, allorchè “in possesso di specifici poteri di controllo ed ingerenza nella esecuzione dell’opus” (Cass. Sez. 3, sent. 18 settembre 2015, n. 18317, Rv. 636858-01), nè in capo al locatore, in relazione a quelle parti dell’immobile locato delle quali conservi la disponibilità giuridica e materiale (Cass. Sez. 3, sent. 27 ottobre 2015, n. 21788, Rv. 637554-01).

9. Esclusa la fondatezza dei motivi terzo e quarto, tutti i restanti sono, invece, inammissibili, ad eccezione del settimo.

9.1. Per primo ed il secondo motivo, in particolare, la declaratoria di inammissibilità si pone, innanzitutto, come conseguenza della riconosciuta correttezza della valutazione, operata dalla Corte di Appello di Roma, in ordine alla persistenza – in capo ad Aeroporti Roma – della custodia dell’intera struttura aeroportuale; donde, allora, l’irrilevanza dell’accertamento circa la presenza del “tacco” sulla taxi way piuttosto che sull’area di sosta del velivolo.

Senza, poi, tacere del fatto che il primo motivo deduce solo in apparenza la violazione di norme di diritto, “mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6-3, ord. 4 aprile 2017, n. 8758, Rv. 643690-01), giacchè la ricorrente, sebbene faccia mostra di denunciare un supposto sovvertimento dei principi in tema di ripartizione dell’onere della prova, tende a dimostrare la circostanza – per giunta irrilevante, come sopra chiarito, ai fini dell’applicazione o meno dell’art. 2051 c.c.al caso di specie – della presenza del “tacco” in luogo piuttosto che in altro, tra quelli sui quali si esplicava, comunque, la propria custodia.

L’inammissibilità del secondo motivo è, inoltre, conseguenza del fatto che una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. si può porre solo allorchè si alleghi che il giudice “abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass. Sez. 6-Lav., ord. 27 dicembre 2016, n. 27000, Rv. 642299-01; in senso analogo pure Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01).

9.2. Inammissibili sono, del pari, anche il quinto, il sesto e l’ottavo motivo di ricorso.

In ordine, segnatamente, al quinto motivo, nella misura in cui la (presunta) violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. si traduce nella censura – rivolta al secondo giudice – di avere “omesso di considerare” tanto “l’incidenza del ruolo” assunto dall’handler “ai fini della configurabilità dell’esimente del caso fortuito (rectius: fatto del terzo), quale prova liberatoria incombente sul gestore aeroportuale”, quanto la circostanza che esso ricorrente non avrebbe potuto “in nessun caso essere a conoscenza della situazione di pericolo”, si è in presenza, nuovamente, di una surrettizia richiesta di rivalutazione di circostanze di fatto, già oggetto di apprezzamento da parte del giudice di merito.

Si aggiunga, poi, che la Corte di Appello capitolina ha ritenuto – sulla base, come detto, di una valutazione delle risultanze istruttorie non sindacabile in questa sede – non esservi “neppure prova dell’esatta ubicazione del “tacco””. Essa ha pertanto escluso la circostanza che, nella stessa prospettiva seguita dall’odierna ricorrente, rileverebbe astrattamente come fatto del terzo, idoneo ad integrare (cfr. ex multis, Cass. Sez. 3, sent. 18 settembre 2015, n. 18317, Rv. 636857-01) la circostanza – il “caso fortuito” – rilevante ai fini dell’esonero responsabilità del custode dell’intero spazio areoportuale, circostanza la cui prova grava, appunto, sul custode, essendo quella prevista dall’art. 2051 c.c. una fattispecie di “responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 16 maggio 2017, n. 12027, Rv. 644285-01).

Con riferimento, poi, al sesto motivo di ricorso, deve osservarsi che l’esame del contributo asseritamente recato dalla condotta del pilota nella dinamica del sinistro – ipotizzandosi, da parte del ricorrente, che essa si sia posta quale causa (esclusiva) dello stesso – non è stato affatto omesso, avendo la sentenza di appello motivato sul punto, sicchè trova applicazione, nella specie, il principio che esclude la ricorrenza del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “qualora il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione da parte del giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie” (Cass. Sez. 6-Lav., ord. 10 febbraio 2015, n. 2498, Rv. 63453101 e ord. 1 luglio 2015, n. 13448, Rv. 635853-01).

Analoga conclusione de proporsi quanto all’ottavo motivo, nella parte in cui esso – nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – ipotizza un omesso esame del concorso di colpa sia del comandante dell’aeromobile che dell’handler aeroportuale, mentre, quanto alla pretesa violazione dell’art. 2055 c.c. in tema di responsabilità solidale di entrambi tali soggetti, deve osservarsi che, ancora una volta, attraverso la prospettazione di un supposto error in iure si intende surrettiziamente sollecitare una rinnovata (e non consentita) valutazione di circostanze di fatto.

10. E’ invece fondato il settimo motivo di ricorso.

Giova, infatti, rammentare che, in materia di liquidazione equitativa del danno, il giudice è “tenuto a dare conto dell’esercizio dei propri poteri discrezionali, e, perchè la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che spieghi le ragioni del processo logico sul quale essa è fondata, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato”, e ciò al fine “di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2015, n. 14645, Rv. 636090-01).

Tali condizioni non risultano soddisfatte nel caso di specie, non avendo la sentenza impugnata chiarito quali siano stati i criteri utilizzati per pervenire – in via equitativa – alla liquidazione di Euro 200.000,00 a titolo di “fermo tecnico” del velivolo.

11. Di qui, pertanto, la necessità dell’annullamento – in parte qua – della sentenza impugnata, con rinvio a diversa sezione della Corte di Appello di Roma, affinchè proceda ad una rinnovata valutazione e liquidazione del danno da fermo tecnico, oltre che alla liquidazione delle spese di lite intercorse tra Aeroporti di Roma S.p.a e Air Columbia S.r.l.

Le stesse, invece, quanto al rapporto processuale intercorso tra Aeroporti di Roma S.p.a. ed European Avia Service S.p.a., seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, in favore dei difensori, Fabrizio Criscuolo, Francesco Terzi e Francesca Terzi, dichiaratisi antistatari.

PQM

La Corte rigetta i motivi di ricorso terzo e quarto, dichiara inammissibili i motivi primo, secondo, quinto, sesto ed ottavo, accoglie il settimo motivo, e per l’effetto cassa parzialmente la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche perchè provveda alla liquidazione delle spese di lite tra Aeroporti di Roma S.p.a e Air Columbia S.r.l.

Condanna, invece, tra Aeroporti di Roma S.p.a a rifondere a Compagnia Aerea Italiana S.p.a. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge, in favore dei difensori, Fabrizio Criscuolo, Francesco Terzi e Francesca Terzi, dichiaratisi antistatari.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018

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