Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23269 del 15/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 15/11/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 15/11/2016), n.23269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20767-2011 proposto da:

DEUSCHE BANK S.P.A., (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MONTE ZEBIO 30, presso l’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE MAGNANI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G., D.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA G. A. SARTORIO 60, presso l’avvocato MARCO CAMARDA,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALBERTO LORENZI, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 775/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato G. CAMICI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. – D.G. e D.M., già soci di Italfil S.n.c., società scioltasi senza liquidazione con atto del (OMISSIS), con conseguente cancellazione hanno convenuto in giudizio Deutsche Bank S.p.A. dinanzi al Tribunale di Pescara e, dopo aver premesso che la società aveva intrattenuto con la convenuta un rapporto di conto corrente di corrispondenza stipulato in data (OMISSIS), hanno chiesto dichiararsi la nullità della clausola concernente la determinazione degli interessi in base agli usi su piazza, la nullità della clausola concernente la capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri, la nullità dell’addebito della commissione di massimo scoperto, la nullità dell’addebito di interessi ultralegali applicati sulla differenza in giorni-banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta, verificare l’osservanza del tasso soglia, il tutto con condanna della banca convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate ovvero riscosse, con i danni e le spese.

Deutsche Bank S.p.A. ha formulato eccezione di incompetenza territoriale, difetto di legittimazione attiva, nullità della citazione, prescrizione, contestando il merito dell’avversa pretesa.

2. – Il Tribunale di Pescara, con sentenza non definitiva del 18 maggio 2005, disattese pregiudiziali e preliminari, ha dichiarato la nullità delle pattuizioni di capitalizzazione trimestrale degli interessi e di determinazione dei medesimi in base agli usi su piazza, provvedendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.

3. – Contro la sentenza ha proposto appello Deutsche Bank S.p.A., che, nel contraddittorio con D.G. e D.M., è stato respinto dalla Corte d’appello dell’Aquila, la quale ha in breve osservato:

-) era infondata l’eccezione di carenza di legittimazione attiva dal momento che D. e D. erano gli unici soci della disciolta società, i quali avevano precisato che la fase di liquidazione era stata omessa per essere stati già onorati tutti i debiti sociali ed avevano delegato la D. a riscuotere le sopravvenienze attive, ed a pagare eventuali debiti ulteriori, di guisa che la delega sottintendeva l’avvenuto trasferimento dalla società ai due soci di tutti i residui crediti e debiti dell’ente, non potendo evidentemente il D. delegare alla D. l’esercizio di un diritto del quale non potesse a propria volta disporre;

-) era infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, dal momento che il diritto fatto valere in giudizio traeva origine dal contratto di conto corrente, che era stato stipulato a Pescara, essendo d’altronde gli attori subentrati, secondo quanto già indicato, nella posizione della società;

-) era infondata l’eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza, dal momento che la valutazione complessiva consentiva l’identificazione della causa petendi e del petitum, ponendo così la controparte in condizioni di difendersi;

-) era infondata l’eccezione di prescrizione, trovando applicazione il termine decennale a far data dalla chiusura del conto risalente al (OMISSIS), essendo stata notificata la citazione introduttiva il 10 dicembre 2003;

-) sussisteva effettivamente la nullità della clausola contrattuale concernente la determinazione degli interessi in base agli usi su piazza, dal momento che il tasso non risultava determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati;

-) sussisteva effettivamente la nullità della clausola concernente la capitalizzazione degli interessi;

-) correttamente il tribunale aveva escluso l’applicazione della commissione di massimo scoperto della quale non esisteva traccia in contratto.

4. – Contro la sentenza Deutsche Bank S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi illustrati da memoria.

D.G. e D.M. hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. – Il ricorso contiene cinque motivi con i quali la società ricorrente denuncia:

1) da pagina 19 pagina 34: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2312, 2324, 2193 e 2495 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; il motivo concerne la statuizione della Corte territoriale in ordine alla legittimazione attiva di D. e D.;

2) da pagina 34 a pagina 38: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19 e 20 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; il motivo concerne la statuizione della Corte territoriale in ordine alla sussistenza della competenza territoriale del Tribunale di Pescara;

3) da pagina 38 a pagina 45: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”; il motivo concerne la statuizione della Corte territoriale in ordine alla validità dell’originario atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado;

4) da pagina 45 a pagina 72: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., art. 2948 c.c., n. 4, artt. 1422, 1823, 1842, 1843, 1845 e 1852 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”; il motivo concerne la statuizione della Corte territoriale in ordine al rigetto dell’eccezione di prescrizione fatta valere dalla società;

5) da pagina 72 a pagina 98: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1283, 1284, 1422, 1823, 1843, 1845, 1852 e 2034 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”; il motivo concerne la statuizione della Corte territoriale in ordine alla nullità della clausola di anatocismo.

6. – Il ricorso va accolto.

6.1. – Il primo motivo è fondato. Scioltasi Italfil S.n.c. senza liquidazione con atto del (OMISSIS) – atto con il quale i due soci avevano delegato la D. a riscuotere le sopravvenienze attive ed a pagare eventuali debiti ulteriori, con conseguente cancellazione dal registro delle imprese, i due ex soci, D.G. e D.M., hanno convenuto in giudizio Deutsche Bank S.p.A. spiegando la domanda di cui si è detto in precedenza.

Su tale base la società convenuta ha formulato eccezione di difetto di legittimazione attiva di D. e D., non essendo essi subentrati nella mera pretesa, neppure qualificabile come sopravvenienza, facente ipoteticamente capo alla società disciolta.

Viceversa, la Corte d’appello ha ritenuto che la dicitura contenuta nell’atto di scioglimento, con il quale i soci avevano delegato la D. a riscuotere le sopravvenienze attive, sottintendesse l’avvenuto trasferimento dalla società ai due soci di tutti i residui crediti e debiti dell’ente, con conseguente loro legittimazione attiva.

La soluzione data alla questione dalla Corte d’appello, come dedotto dalla ricorrente nel ricorso, ove si fa leva soprattutto sull’estinzione della società derivante dalla cancellazione e sulla conseguente dismissione dei diritti e delle pretese non azionate, è tuttavia errata.

Già nel 2010, questa Corte ha pronunciato tre sentenze, rese a Sezioni Unite, con le quali ha chiarito che, anche nelle società di persone, la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, determina il venir meno della loro capacità e soggettività, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali (Cass. 22 febbraio 2010, n. 4060, n. 4061 e 4062). In tale quadro, una decisione in materia di cancellazione in presenza di diritti litigiosi, ha affermato che “in caso di cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, i singoli soci non sono legittimati all’esercizio di azioni giudiziarie la cui titolarità sarebbe spettata alla società prima della cancellazione ma che essa ha scelto di non esperire, sciogliendosi e facendosi cancellare dal registro, atteso che, in tal modo, la società ha posto in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quelle azioni, facendo così venir meno l’oggetto stesso di una trasmissione successoria (Cass. 16 luglio 2010, n. 16758). Alla luce di quest’ultima pronuncia, dunque, se la società è titolare di una situazione giuridica che si esaurisce in una pretesa di carattere contensioso, questa si deve intendere abbandonata con la cancellazione dal registro delle imprese.

Successive decisioni di questa Corte (Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070, n. 6071 e n. 6072), rifacendosi ai precedenti del 2010 e partendo dal dato, ormai acquisito; che la cancellazione ha effetto estintivo, si sono soffermate sulla sorte dei rapporti, sostanziali e processuali, di cui fosse parte la società al momento della cancellazione ed hanno ricondotto la vicenda estintiva a un fenomeno di tipo successorio, con conseguente subentro dei soci nelle posizioni attive e passive della società, con applicabilità, dal punto di vista processuale, del meccanismo interruzione-riassunzione, e con esclusione, anche nel caso di sopravvenienze attive, della cancellazione d’ufficio della società, se non in caso di svolgimento dinamico di attività d’impresa da parte della società, pur cancellata.

In particolare, nella sentenza n. 6072 del 2013, la Corte ha deciso sul ricorso presentato proprio da una S.n.c. e dai suoi soci avverso la decisione con cui la Corte d’appello aveva rigettato una domanda di risarcimento del danno basata sulla c.d. “legge Pinto”, chiarendo che la domanda di risarcimento del danno per eccessiva durata del processo non è una “mera pretesa”, ma un vero e proprio diritto di credito, ancorchè illiquido; diritto di credito da ritenersi dismesso con la cancellazione: “la scelta del liquidatore di procedere… alla cancellazione della società dal registro, senza prima svolgere alcuna attività volta a far accertare il credito o farlo liquidare, può ragionevolmente essere interpretata come un’univoca manifestazione di volontà di rinunciare a quel credito (incerto o comunque illiquido) privilegiando una più rapida conclusione del procedimento estintivo”.

La cancellazione diviene così espressione di una volontà di rinuncia tacita ai diritti litigiosi o illiquidi.

Anche da ultimo è stato ribadito che l’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina il trasferimento della corrispondente azione in capo ai soci, atteso che dal fenomeno di tipo successorio derivante dalla suddetta vicenda, riguardante esclusivamente gli eventuali rapporti giuridici (afferenti le obbligazioni ancora inadempiute, oppure i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione) non venuti meno a causa di quest’ultima, esulano le mere pretese, benchè azionate in giudizio, ed i diritti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell’accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente, quindi, di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato con conseguente cessazione della materia del contendere (Cass. 24 dicembre 2015, n. 25974; analogamente in precedenza v. Cass. 12 ottobre 2012, n. 17500; Cass. 17 settembre 2012, n. 15525; Cass. 10 giugno 2014, n. 13017).

Sicchè, versandosi nel caso di specie in ipotesi di diritti ancora incerti o illiquidi, in quanto successivamente fatti valere in giudizio e tuttora sub iudice, il fenomeno successorio di regola generato dallo scioglimento della società non può dirsi verificato, mentre è da ritenere che la società abbia implicitamente rinunciato a detti diritti poi fatti valere in giudizio dagli ex soci.

Nè diverse conclusioni si giustificano per il fatto che l’atto di scioglimento della società contenesse la delega alla D. a riscuotere le sopravvenienze attive, giacchè l’espressione – indipendentemente dal suo rilievo – è riferibile ad attività non compiutamente venute ad esistenza al momento della redazione del bilancio conclusivo, così da rappresentare nuovi elementi patrimoniali attivi, mentre, nella specie, il preteso credito reclamato discendeva dalla verifica della validità delle clausole del contratto di conto corrente in precedenza menzionate: ipotetica invalidità che, al momento dello scioglimento, la società bene avrebbe potuto far valere, e invece non ha inteso azionare, così tacitamente ma inequivocamente rinunciandovi.

La sentenza impugnata è cassata e, decidendo nel merito, l’originaria domanda è respinta.

6.2. – Gli altri motivi sono assorbiti.

7. – Le spese dell’intero giudizio possono compensarsi integralmente, essendo stata cassata la decisione.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda, compensando le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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