Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23268 del 15/11/2016

Cassazione civile sez. I, 15/11/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 15/11/2016), n.23268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16682-2011 proposto da:

I.C., (c.f. (OMISSIS)), vedova M., domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO IANES, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CASSA RURALE DI TUENNO VAL DI NON BANCA DI CREDITO COOPERATIVO SOC.

COOP., P.I. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. DI RIENZO 180,

presso l’avvocato IGNAZIO CASTELLUCCI, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 330/2010 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 15/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato B. MASERI, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato I. CASTELLUCCI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – I.C. ha convenuto in giudizio la Cassa Rurale di Tuenno – Val di Non Banca di Credito Cooperativo Soc. coop. dinanzi al Tribunale di Trento e, dopo aver riferito di avere acquistato per il tramite della società convenuta obbligazioni della società anonima lussemburghese Finmek Internationale per complessivi Euro 38.392,73, aggiungendo che il prestito obbligazionario non era stato restituito, ha chiesto dichiararsi nullo o annullabile il contratto intercorso tra le parti, con condanna della convenuta alla restituzione della somma menzionata ovvero, in ogni caso, al risarcimento del danno nella stessa misura.

Ha lamentato l’attrice che la società convenuta, nella sua veste di intermediario finanziario, avesse violato il divieto di eseguire operazioni inadeguate ed in conflitto di interessi nonchè quello di consegnare il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di informare adeguatamente l’investitore.

p. 2. – Nel contraddittorio della società convenuta, che ha resistito alla domanda, il Tribunale di Trento l’ha respinta.

p. 3. – Interposto appello, che la stessa convenuta ha chiesto respingersi, la Corte d’appello di Trento, con sentenza del 15 dicembre 2010, l’ha rigettato, osservando, in risposta ai motivi di impugnazione, per quanto ancora rileva, quanto segue:

1) il documento sui rischi generali risultava consegnato e, a tal riguardo, il Tribunale non aveva affatto affermato, come sostenuto dalla I., che detta consegna esaurisse gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario, ma si era semplicemente limitato a constatare che l’obbligo concernente la consegna del menzionato documento era stato osservato;

2) parimenti, il Tribunale aveva affermato che l’intermediario aveva regolarmente acquisito il profilo di rischio della cliente (media esperienza in strumenti finanziari e media propensione al rischio), ma non aveva affatto desunto da tale circostanza, come sostenuto invece dalla I., che ella aveva in tal modo inteso dare corso all’operazione;

3) l’intermediario aveva osservato il precetto normativo fissato in tema di operazioni non adeguate, dovendosi considerare che la dichiarazione in ordina alle informazioni ricevute circa la non adeguatezza dell’operazione, con il successivo ordine di eseguirla, era stata regolarmente sottoscritta dalla I. e non poteva essere considerata mera clausola di stile;

4) l’intermediario aveva provato di avere adeguatamente informato la cliente riguardo alla rischiosità dell’investimento, come poteva desumersi dalla già ricordata dichiarazione della I. di dar seguito all’ordine nonostante la sua motivata inadeguatezza.

p. 3. – Contro la sentenza la I. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La Cassa Rurale di Tuenno – Val di Non Banca di Credito Cooperativo Soc. coop. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 4. – Il ricorso contiene due motivi.

p. 4.1. – Il primo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 3, del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e dell’art. 29, comma 1-2-3 Reg. Consob 11522/1998”.

Denunciata l’erroneità dell’interpretazione che la Corte territoriale aveva dato della dichiarazione concernente le informazioni ricevute circa l’inadeguatezza dell’operazione, la I. afferma che: “La questione di diritto si potrebbe formulare nei seguenti termini: in tema di servizi di investimento, per considerare la banca adempiente agli obblighi all’art. 29, commi 2 e 3 Reg. Consob 11522/98 e dell’art. 21 Tuf, è sufficiente che la banca faccia sottoscrivere al cliente una avvertenza prestampata apposta in un modulo predefinito dalla banca stessa privo di data e contenente una generica dichiarazione del cliente di essere stata informata, in modo compiuto, dell’inadeguatezza “rispetto alle informazioni sul cliente e agli investimenti precedentemente effettuati””, nonchè “sulla base delle informazioni sul conto in possesso della banca e con riferimento agli investimenti precedentemente effettuati dalla cliente”.

Si domanda ancora la ricorrente se “la banca deve indicare, nell’ordine di acquisto, le avvertenze date allo specifico cliente con riferimento ad ogni aspetto di cui all’art. 29, comma 1 Reg. Consob 11522/98 ovvero tipologia, oggetto, frequenza o dimensione dell’operazione”. A tal riguardo la ricorrente soggiunge che la Corte d’appello si sarebbe discostata dalla giurisprudenza di questa Corte (la I. richiama in particolare Cass. 3773/2009 e Cass. 17340/2008, oltre a decisioni di merito), chiedendo cassarsi la sentenza per non avere “la banca convenuta riportato, su supporto duraturo, le specifiche informazioni fornite alla I.”.

p. 4.2. Il secondo motivo denuncia:

“Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 23 onere della prova”.

Sostiene la I. di non aver ricevuto alcuna informazione sull’investimento, tanto più che il funzionario che aveva curato l’operazione nulla sapeva dei titoli (OMISSIS), sicchè aveva dovuto informarsi presso un collega, invitando pertanto essa I. a soprassedere temporaneamente ed a presentarsi una seconda volta. Secondo la ricorrente, inoltre, la Corte d’appello, nel desumere la somministrazione di adeguate informazioni sull’investimento dalla dichiarazione di non adeguatezza, aveva comportato violazione del riparto degli oneri probatori previsto dall’art. 23 citato.

p. 5. – Il ricorso va respinto.

p. 5.1. – Il primo composito motivo va disatteso.

Nella sua prima parte esso è inammissibile.

Vale infatti osservare che, nel formulare una doglianza di violazione di legge, la ricorrente, in effetti, lungi dal sindacare le norme indicate in rubrica (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 29, commi 1, 2 e 3 del Regolamento Consob n. 11522/1998), ha anzitutto attaccato l’analisi svolta in fatto dalla Corte d’appello, laddove aveva ritenuto che la Cassa Rurale avesse compiutamente informato la I. dell’inadeguatezza dell’operazione, giacchè la dichiarazione sottoscritta dalla cliente (e la cui data non poteva che essere quella dell’ordine di acquisto, pure apposta sul documento, dei bond (OMISSIS)) faceva riferimento ad una informazione compiuta di detta inadeguatezza, inadeguatezza che era stata desunta dal raffronto tra le caratteristiche dell’operazione e la tipologia dei precedenti investimenti in strumenti finanziari della I., che quest’ultima non poteva evidentemente ignorare.

Non v’è dubbio, dunque, che la I. abbia avanzato – nella parte ora in esame – una doglianza mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, doglianza che si colloca come tale al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass., n. 195/2016; Cass., n. 26110/2015; Cass., n.8315/2013; Cass., n. 16698/2010; Cass., n. 7394/2010; Cass. S.U., n. 10313/2006).

Nè, d’altro canto, il motivo può essere accolto sotto il profilo del vizio motivazionale, giacchè la doglianza per tale aspetto non soddisfa la previsione dettata dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo applicabile ratione temporis. Ed infatti, manca in questo caso una censura rivolta ad uno specifico “fatto”, ossia un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014). Tantomeno risulta che il punto in questione sia decisivo, giacchè per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avesse condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013).

E’ viceversa inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice – quale quella in buona sostanza sollecitata in questa sede -, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009). E, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).

Passando alla seconda parte del motivo, sembra di comprendere che la ricorrente abbia ulteriormente inteso lamentare, con riguardo alla dichiarazione resa nei riguardi delle informazioni ricevute circa l’inadeguatezza dell’operazione, non tanto l’insufficienza delle informazioni somministrate, quanto la mancata trascrizione di esse nella dichiarazione in questione, resa ai sensi dell’art. 29 del citato Regolamento Consob: deducendo così la violazione di una pretesa regola di forma desunta dalla norma invocata.

La questione, tuttavia, sotto lo specifico profilo indicato, non appare affatto essere stata sollevata nelle pregresse fasi del giudizio, ove la I. risulta invece aver denunciato la sostanziale inesistenza-insufficienza delle informazioni concernenti l’inadeguatezza dell’operazione, non già che tali informazioni non siano state, per così dire, verbalizzate per intero nel documento in questione.

Sono però inammissibili i motivi di ricorso che deducono temi nuovi non trattati nelle precedenti fasi del giudizio Cass. 18891/2007; Cass. 10560/2008). Ove pertanto una determinata questione non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto (Cass. 1435/2013; C. 14947/2012).

Sotto questo aspetto il menzionato segmento del primo motivo è inammissibile.

D’altronde, non può ritenersi, come vorrebbero i ricorrenti, che i motivi dell’inadeguatezza dovessero essere integralmente indicati per iscritto.

In proposito vale osservare che l’art. 29 del Regolamento Consob numero 11522/98, che pone la c.d. suitability rule, ossia la regola che impedisce agli intermediari di porre in essere operazioni inadeguate al profilo di rischio dell’investitore, si pone in collegamento con la c.d. know your customer rule, dal momento che l’intermediario in tanto può verificare l’adeguatezza dell’operazione, in quanto abbia precedentemente acquisito le informazioni concernenti il cliente.

Ciascuna operazione di negoziazione, secondo la disposizione menzionata, può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, ed ognuno di tali eventuali profili di inadeguatezza, ove sussistente, deve essere – con diverso approfondimento in dipendenza dell’attività prestata dall’intermediario, secondo si tratti di attività di gestione, ovvero di mera negoziazione o ricezione-trasmissione di ordini indicato e spiegato all’investitore al fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole: tant’è che la norma regolamentare prevede, in caso di conferma dell’ordine di esecuzione dell’operazione, quantunque inadeguata, un ordine scritto (o registrato su nastro magnetico o supporto equivalente), contenente il riferimento alle avvertenze ricevute, avvertenze che, pertanto, devono essere state senz’altro in precedenza somministrate.

In particolare, l’inadeguatezza per tipologia ed oggetto va verificata in relazione alle caratteristiche proprie dello strumento finanziario, le quali si riflettono sul coefficiente di rischio dell’operazione: e, nel caso in esame, l’intermediario ha per l’appunto ritenuto inadeguata l’operazione in considerazione della rischiosità dell’investimento, evidentemente parametrato al profilo dell’investitore. Il profilo dell’adeguatezza per dimensione o frequenza riguarda invece il rapporto tra l’entità dell’investimento e del portafoglio del cliente, profilo al quale la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento.

Ciò detto, nessun rilievo riveste la mancanza di indicazione per iscritto, nella conferma d’ordine impartita dalla I., delle motivazioni dell’inadeguatezza dell’investimento, motivazioni invece fornite verbalmente secondo quanto ritenuto dal giudice di merito, dal momento che l’art. 29 poc’anzi trascritto richiede la forma scritta per l’ordine da parte del cliente, ma non con riguardo alla motivazione dell’inadeguatezza, la quale, avuto riguardo al principio generale della libertà di forme, ben può essere fornita verbalmente: ed anzi non potrà di regola discendere se non da un individualizzato colloquio verbale, indispensabile alla realizzazione di un’effettiva spiegazione e di una reale comprensione dei termini e delle ragioni dell’inadeguatezza rilevata dall’intermediario.

La disposizione dunque non reca alcuna previsione formale, salvo per quanto concerne la conferma dell’ordine da parte dell’investitore (non per l’indicazione delle ragioni di inadeguatezza), la quale deve essere data per iscritto ovvero risultare da registrazione magnetica o analogo supporto.

Sotto questo aspetto lo stesso segmento del primo motivo è infondato.

p. 5.2. – Il secondo motivo va parimenti disatteso.

Esso, infatti, è palesemente insostenibile laddove si duole che il funzionario della banca, non avendo cognizione delle caratteristiche dell’investimento in bond (OMISSIS) abbia omesso di dare alla I. informazioni che non erano in suo possesso, invitando la cliente a presentarsi in un’occasione successiva dopo che egli si fosse a propria volta informato in proposito: non è difatti plausibile che un funzionario bancario sia pronto a tambur battente a fornire informazioni dettagliate ed attendibili in ordine all’universo mondo degli investimenti finanziari, sicchè corrisponde ad un parametro di adeguata diligenza acquisire le informazioni presso organi tecnici in proposito preparati, per informare solo successivamente l’investitore.

Per il resto, nel sostenere che la Corte d’appello avrebbe errato nel ripartire l’onere probatorio tra le parti, il motivo è inammissibile, giacchè non coglie la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata, ratio decidendi del tutto diversa e, anzi, opposta, dal momento che la sentenza impugnata, dopo aver dato atto che incombe sull’intermediario la prova di aver fornito le informazioni del caso, ha affermato che quest’ultimo aveva provato di avere adeguatamente informato la cliente riguardo alla rischiosità dell’investimento, come poteva desumersi dalla menzionata dichiarazione della I. di dar corso all’ordine nonostante la sua motivata inadeguatezza.

p. 6. – Le Spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate in complessivi 5200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali e quant’altro dovuto per legge.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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