Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23268 del 05/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 05/10/2017, (ud. 13/06/2017, dep.05/10/2017),  n. 23268

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4618-2016 proposto da:

P.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE XXI APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 5167/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/08/2015 R.G.N. 9317/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CORRADO MORRONE.

Fatto

FATTO E MOTIVI

1. Con sentenza n. 5167 6.8.2015, la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado, che aveva respinto il ricorso proposto da P.P. volto alla declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli da Roma Capitale in data 2 aprile 2007.

2. La Corte territoriale – in sintesi e per quanto qui rileva – ha ritenuto che:

3. l’obbligo del responsabile della struttura di segnalare all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari è ravvisabile soltanto qualora egli sia venuto a conoscenza, in ragione del proprio ufficio, di illeciti disciplinari commessi dai dipendenti e che l’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (U.P.D., di seguito) può procedere ad atti di istruzione e alla contestazione disciplinare anche sulla scorta di segnalazioni di organi ed uffici diversi dal responsabile della struttura;

4. che, poichè il momento dell’acquisizione di notizie disciplinarmente doveva farsi coincidere con il giorno 15.9.2005, data in cui le denunce presentate nei confronti dell’appellante erano state trasmesse dal Segretario Generale all’U.P.D., non era decorso il termine di venti giorni previsto dall’art. 24, comma 2 del CCNL 2002-2005 posto che la contestazione disciplinare era stata effettuata il 30.9.2005 ed era stata ricevuta dal lavoratore il successivo 4 ottobre 2005;

5. il procedimento disciplinare, sospeso in ragione della pendenza del procedimento penale, era stato riattivato con la contestazione del 27.12.2006 (ricevuta il 2.1.2007), nel rispetto del termine di 180 giorni previsto dall’art. 26, comma 4 del CCNL decorrente dal giorno in cui l’Amministrazione aveva avuto conoscenza della sentenza penale irrevocabile (26.9.2006) e si era concluso nel rispetto del termine di centoventi giorni;

6. la lettera di contestazione disciplinare conteneva l’indicazione specifica dei fatti addebitati al P. e del tempo della loro commissione;

7. non erano stati violati i principi di trasparenza, correttezza e buona fede perchè la mancata acquisizione da parte del lavoratore delle denunce-querele trasmesse alla Amministrazione non aveva inciso sui tempi di avvio della procedura disciplinare nè pregiudicato il diritto di difesa;

8. l’Amministrazione aveva valutato le risultanze del processo penale e della sentenza di patteggiamento dalla quale emergevano inequivoci elementi di responsabilità del lavoratore per condotte, che non risultavano da questi contestate, ed aveva formulato un autonomo apprezzamento delle condotte addebitate tenendo conto delle giustificazioni fornite dal lavoratore anche nella fase di riattivazione del procedimento disciplinare;

9. la sospensione del procedimento disciplinare prevista dalla contrattazione collettiva con immediata riattivazione del procedimento non contraddiceva il giudizio di gravità della condotta;

10. i fatti posti in essere dal lavoratore durante la sua posizione di comando preso l’IPAB erano rilevanti per l’Amministrazione Comunale, essendo questa la titolare del rapporto di lavoro;

11. i comportamenti accertati erano particolarmente gravi sia per la rilevanza penale degli illeciti, posti in essere in modo reiterato e per personale profitto con danno dell’Amministrazione datrice di lavoro, ed erano idonei al ledere, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, il vincolo fiduciario.

12. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso P.P. affidato a tre motivi. Roma capitale è rimasta intimata.

Sintesi dei motivi.

13. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 24 bis e 15 del CCNL 2002-2005, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e della L. n. 300 del 1970, art. 18 per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante che la notizia degli illeciti disciplinari fosse stata trasmessa all’Ufficio dei procedimenti disciplinari da soggetti ed organi diversi dal responsabile della struttura nella quale esso ricorrente prestava servizio. Asserisce che l’art. 24, comma 2 del CCNL 2002-2005 e il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis attribuirebbero al solo responsabile della struttura il potere di segnalazione di fatti disciplinarmente rilevanti. Sostiene, inoltre, che sarebbero stati violati il termine di 20 giorni previsto per la contestazione disciplinare (che il ricorrente fa decorrere dal 5 agosto 2005 e scadere il 25 agosto 2005) ed il termine di dieci giorni previsto per la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare (che il ricorrente fa scadere il 15 agosto 2005).

14. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare su tutti i motivi di gravame e per avere adottato una motivazione solo apparente ed elusiva degli specifici motivi di censura (aspecificità della contestazione disciplinare, violazione dei principi di trasparenza, correttezza e buona fede, della L. n. 241 del 1990, dei principi generali in tema di procedimenti disciplinari e del CCNL, difetto di autonomo apprezzamento dei fatti da parte della Amministrazione e di istruttoria in sede disciplinare, sproporzione tra fatti contestati e sanzione risolutiva).

15. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in via subordinata al mancato accoglimento del secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alle medesime questioni denunciate nel secondo motivo.

Esame dei motivi.

16. Il primo motivo è infondato.

17. Occorre precisare che alla fattispecie dedotta in giudizio non trova applicazione, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, introdotto dal D.L.gs. 27 ottobre 2009, art. 69, comma 1 (disposizione richiamata nelle prospettazioni difensive esposte a pg. 13 del ricorso) ma il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal richiamato D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 68, comma 1.

18. L’intera procedura disciplinare, infatti, ha avuto inizio e si è consumata nella vigenza del testo originario dell’art. 55: la trasmissione all’UPD della notizia relativa agli illeciti disciplinari è avvenuta in data 15.9.2005; la contestazione disciplinare e la contemporanea sospensione del procedimento disciplinare in ragione della pendenza del processo penale sono state effettuate il 30.9.2005; il procedimento disciplinare è stato riattivato il 27.12.2006-2.1.2017, all’esito della conoscenza, in data 26.9.2006, da parte della P.A. della irrevocabilità della sentenza ex art. 444 c.p.c. e sgg (Cass., 18517/2016, 11627/2016).

19. Tanto precisato, va osservato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 applicabile “ratione temporis”) prevede che (comma 3) “Salvo quanto previsto dall’art. 21 e art. 53, comma 1, e ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento di cui all’art. 54, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. Dispone, poi, (comma 4) che “Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta l’addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo della struttura in cui il dipendente lavora provvede direttamente”. Statuisce, poi, (comma 5) che ogni provvedimento disciplinare, ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa tempestiva contestazione scritta dell’addebito al dipendente, che viene sentito a sua difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Trascorsi inutilmente quindici giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la sanzione viene applicata nei successivi quindici giorni.

20. Il CCNL Contratto Collettivo Nazionale Del Personale Del Comparto Delle Regioni E Delle Autonomie Locali del 24.1.2004 (Quadriennio Normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003), autorizzato ad integrare la disciplina legale dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 (Cass. 9767/2011), ha regolato in modo dettagliato il procedimento disciplinare.

21. Esso all’art. 24, comma 2, ha previsto, per quanto oggi rileva che “La contestazione deve essere effettuata tempestivamente e comunque nel termine di 20 giorni che decorrono: a) dal momento in cui il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora ha avuto conoscenza del fatto; b) dal momento in cui l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, su segnalazione del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, ha avuto conoscenza del fatto comportante la applicazione di sanzioni più gravi del rimprovero verbale e di quello scritto.” L’art. 24 del richiamato CCNL precisa poi, al comma 4 che “Nel caso in cui, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, la sanzione da comminare non sia di sua competenza, il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, ai fini del comma 2, segnala entro 10 giorni, all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ai sensi dell’art. 55 citato, comma 4 i fatti da contestare al dipendente per l’istruzione del procedimento. In caso di mancata comunicazione nel termine predetto si darà corso all’accertamento della responsabilità del soggetto tenuto alla comunicazione”.

22. L’art. 24, comma 4 bis dispone che “Qualora, anche nel corso del procedimento, già avviato con la contestazione, emerga che la sanzione da applicare non sia di spettanza del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, questi, entro 5 giorni, trasmette tutti gli atti all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, dandone contestuale comunicazione all’interessato. Il procedimento prosegue senza soluzione di continuità presso quest’ultimo ufficio, senza ripetere la contestazione scritta dell’addebito.” Infine il comma 9 bis stabilisce che “Con riferimento al presente articolo sono da intendersi perentori il termine iniziale e quello finale del procedimento disciplinare. Nelle fasi intermedie i termini ivi previsti saranno comunque applicati nel rispetto dei principi di tempestività ed immediatezza, che consentano la certezza delle situazioni giuridiche”.

23. Il dato testuale della norma pattizia, chiaro ed inequivoco, consente di affermare che l’art. 24, comma 2 del richiamato CCNL fa decorrere il termine per la contestazione disciplinare o dal momento della conoscenza dei fatti da parte del responsabile della struttura, o capo struttura, per le sanzioni meno gravi, ovvero dal momento in cui l’U.P.D., su segnalazione del responsabile del responsabile della struttura, ha avuto conoscenza del fatto comportante l’applicazione di sanzioni più gravi.

24. In continuità con l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (cfr. le recenti sentenze nn. 12108/2016 e 12109/2016) deve ritenersi che la “segnalazione”, che il capo della struttura invia all’ I’ U.P.D, non costituisce ancora avvio del procedimento, ben potendo l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari ritenere, in propria competenza, di non avviarlo con la notifica della contestazione, come è confermato dalla distinzione della “segnalazione” rispetto alla “contestazione”, costituente primo atto del procedimento disciplinare.

25. D’altra parte, l’istruttoria, che inerisce al procedimento è quella cui provvede l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari; essa, infatti, fa seguito alla contestazione disciplinare e non la precede, come si desume dall’ordine delle fasi riportate dall’art. 55 citato (“contesta l’addebito…, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione”), oggetto di espresso richiamo da parte dell’art. 24, comma 4 del citato CCNL, mentre le informazioni raccolte dal capo struttura costituiscono una fase prodromica, funzionale ad una verifica di non manifesta infondatezza mediante un esame preliminare della notizia dell’infrazione. L’espressione “su segnalazione dei capo struttura in cui il dipendente lavora” individua soltanto un compito istituzionale, che fa capo al dirigente che, in ragione della posizione organizzativa e funzionale ricoperta, sia in grado di acquisire la conoscenza dei fatti di potenziale rilievo disciplinare commessi dai dipendenti. A tale fase preprocedimentale resta estranea la posizione del lavoratore, che viene in rilievo solo con la contestazione dell’addebito, ossia con l’avvio dei procedimento disciplinare in senso proprio, da cui scaturiscono anche le garanzie difensive per l’incolpato.

26. Va rilevato che la norma legale (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55) e quella di derivazione pattizia (art. 24 CCNL citato) non individuano affatto nella, doverosa, segnalazione del responsabile della struttura un requisito di validità del procedimento, e non vietano all’U.P.D di avviare l’iniziativa disciplinare allorquando la notizia sia stata acquisita in modo diverso dalla segnalazione del responsabile dell’Ufficio.

27. In realtà il legislatore ha solo voluto rimarcare un compito istituzionale che fa capo al dirigente il quale, in ragione della posizione organizzativa e funzionale ricoperta, è di norma il soggetto che può acquisire la conoscenza dei fatti di potenziale rilievo disciplinare, fermo restando che l’U.P.D deve attivare il procedimento, obbligatorio nel pubblico impiego contrattualizzato, anche qualora altri procedano alla segnalazione e può acquisire la notizia autonomamente dal responsabile della struttura, come avvenuto nella fattispecie (in tal senso cfr. Cass. 5317/2017, 2829/2017, pronunciate in relazione a fattispecie regolate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, norma che è sostanzialmente sovrapponibile, in parte qua, alle richiamate disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 e all’ art. 24 del CCNL).

28. Sulla scorta delle considerazioni svolte deve concludersi che, diversamente da quanto opina il ricorrente, la “competenza” del trasmittente o segnalante la notizia all’U.P.D non ha alcuna efficacia incidente sulla correttezza del procedimento disciplinare, perchè non v’e alcuna previsione di nullità che possa inficiare il successivo – e solo eventuale – procedimento disciplinare nella ipotesi in cui la notizia degli illeciti sia stata acquisita da organi diversi dal responsabile della struttura alla quale appartiene il lavoratore.

29. Sulla scorta delle considerazioni svolte va disattesa la censura, consequenziale a quella appena esaminata, che fa derivare dalla mancata trasmissione da parte del responsabile della struttura all’UPD della notizia relativa agli illeciti disciplinari, la violazione del termine per la contestazione disciplinare, termine che decorre, come innanzi evidenziato (cfr. punto 21 di questa sentenza), ai sensi dell’art. 24, comma 2 del richiamato CCNL, dalla data di conoscenza effettiva delle condotte disciplinarmente rilevanti da parte dell’UPD.

30. Il secondo ed il terzo motivo devono essere trattati congiuntamente, avuto riguardo alla sostanziale sovrapponibilità delle censure, che risultano formulate con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (secondo motivo) e all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (terzo motivo).

31. Il secondo motivo è infondato nella parte in cui denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.

32. Va al riguardo osservato che le Sezioni Unite di questa Corte con le decisioni nn. 8053 e 8054 del 2014 hanno affermato che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un “error in procedendo” che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Questa Corte ha anche precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè si compendia in argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016).

33. Deve escludersi che vizi di tal fatta siano rinvenibili nella sentenza impugnata perchè, diversamente da quanto prospetta il ricorrente, la Corte territoriale (cfr. punti da 3 a 11 di questa sentenza) ha esaminato tutte le questioni dedotte con l’atto di appello ed ha spiegato, con argomentazioni per nulla perplesse e contraddittorie, e dunque non apparenti, le ragioni per le quali ha rigettato i singoli motivi di censura, tra queste quelle concernenti la gravità della condotta e la proporzionalità della sanzione espulsiva.

34. La Corte territoriale, inoltre, non si è affatto sostituita all’Amministrazione integrando la motivazione del licenziamento, ma ha, doverosamente, esaminato la censura formulata dal P. nei confronti della sentenza di primo grado (cfr ricorso pg. 8 p.6) in punto di affermata gravità della condotta e di proporzionalità della sanzione risolutiva, e l’ha ritenuta infondata sulla scorta di argomentazioni motivazionali tutt’altro che perplesse, apparenti ed illogiche quanto dell’apprezzamento fattuale ed al giudizio valoriale di gravità degli addebiti e di proporzionalità della sanzione espulsiva. La Corte territoriale ha, infatti, fatto puntuale riferimento alla rilevanza penale degli illeciti disciplinari, alla reiterazione della condotta e alla sua preordinazione, al conseguimento di personale profitto con danno della Amministrazione.

35. Il terzo motivo è inammissibile.

36. Come evidenziato (cfr. punto 30 di questa sentenza), il ricorrente si limita a riproporre le doglianze formulate nel secondo motivo, prospettandole sotto il profilo del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ma omette di indicare quali siano i fatti storici in relazione ai quali si sarebbe consumato l’omesso esame (Cass. SSUU n. 8053 e n. 8054 del 2014).

37. Sulla scorta delle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.

38. Non v’è spazio per pronuncia sulle spese perchè Roma Capitale non ha svolto alcuna attività difensiva.

39. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2017

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