Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23266 del 18/09/2019

Cassazione civile sez. II, 18/09/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 18/09/2019), n.23266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26536-2015 proposto da:

T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30,

presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati ELISABETTA FERRERO e ALBERTO

DELFINO;

– ricorrente –

contro

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PACUVIO N.

34, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato EMILIO VIGNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 463/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 01/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/05/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del primo e del

secondo motivo e per l’accoglimento del terzo e del quarto motivo di

ricorso;

uditi gli avvocati Giammaria Camici ed Emilio Vignolo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.V. conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Savona C.L. perchè fosse dichiarata la risoluzione per inadempimento del contratto di appalto tra loro stipulato, con conseguente condanna del convenuto alla restituzione degli importi percepiti pari ad Euro 93.000 e previa detrazione del valore delle opere effettivamente realizzate, nonchè al risarcimento del danno quantificato in ulteriori Euro 40.000.

L’attore sosteneva che l’appaltatore avesse arbitrariamente abbandonato il cantiere, cagionandogli dei danni e costringendolo a rivolgersi ad altra ditta con aggravio dei costi di ristrutturazione.

L’attore evocava in giudizio anche l’ingegnere P.R. che aveva svolto in suo favore attività professionale di progettista e direttore di lavori, al fine di vederlo condannare al risarcimento del danno cagionatogli, previa dichiarazione di inadempimento per l’esecuzione di opere in difformità di quanto assentito dalla pubblica amministrazione.

1.2 Si costituivano i convenuti, contestando in fatto in diritto le pretese dell’attore e il C. proponeva domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la risoluzione del contratto di appalto per mutuo dissenso.

2. Il Tribunale rigettava le domande formulate dall’attore nei confronti del C. e, per quel che ancora rileva, in accoglimento della domanda riconvenzionale formulata da quest’ultimo, dichiarava la risoluzione del contratto di appalto.

3. T.V. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

4. La Corte d’Appello respingeva il gravame e, in particolare, con riferimento alla posizione di C.L., attribuiva valore di proposta di risoluzione contrattuale alla lettera del 22 settembre 2005 inviata dal T. al C. nella quale si diceva che l’impresa appaltatrice aveva già ricevuto in data 30 luglio 2005 tre assegni postdatati pari all’importo di Euro 25.000 consegnati a saldo di tutti i lavori eseguiti e si invitava l’appaltatore a visionare i lavori ritenuti non idonei e che, in difetto, entro e non oltre cinque giorni dal ricevimento della lettera, il T. si riteneva libero di affidare il completamento dei lavori e il ripristino di quanto necessario ad altra ditta.

Il committente, dunque, aveva palesato la volontà di ritenere risolto il contratto di appalto allo scadere del termine di cinque giorni se l’impresa non avesse ottemperato all’invito. Pertanto, non avendo l’appaltatore proceduto alla verifica delle opere realizzate, il contratto d’appalto si era risolto per mutuo dissenso.

A fronte di tale ricostruzione della volontà delle parti non assumeva rilevanza l’inadempimento del C. del quale nella medesima lettera l’appellante mostrava di essere a conoscenza, in quanto a seguito della risoluzione per mutuo dissenso le parti non possono invocare cause di risoluzione per inadempimento, giacchè ogni pretesa eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto.

5. T.V. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.

6. C.L. ha resistito con controricorso.

7. Con memorie depositate in prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno insistito nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità del procedimento e della sentenza per violazione degli artt. 112,166,167 e 183 c.p.c., nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

A parere del ricorrente la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di extrapetizione. Infatti, la difesa del C. aveva allegato e dedotto che la raccomandata del 22 settembre 2005 avrebbe dovuto essere interpretata come accettazione esplicita di una proposta di risoluzione consensuale effettuata verbalmente in precedenza.

Viceversa, sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno implicitamente respinto tale tesi, sostituendola ex officio con una diversa ricostruzione della vicenda contrattuale in base alla quale la raccomandata del 22 settembre 2005 del signor T. costituiva una proposta di risoluzione consensuale del contratto di appalto, mentre la successiva inerzia mantenuta dal C. nei cinque giorni successivi, doveva intendersi quale accettazione per facta concludentia.

In tal modo sarebbero stati violati sia l’art. 112 c.p.c. che fa divieto al giudice di pronunciare extra o ultra petita che l’art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, in quanto l’intervento officioso del giudice non avrebbe consentito alla parte di svolgere efficacemente il proprio diritto di difesa.

1.2 Il motivo è infondato.

Non concretizza alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato il giudice che, pronunciandosi su una domanda di risoluzione per mutuo dissenso, attribuisca ad una missiva che la parte aveva indicato come accettazione della propria proposta verbale di risoluzione, la diversa natura di proposta di risoluzione.

Questa Corte ha più volte affermato che “La risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto, essendo lo scioglimento per mutuo consenso un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, desumibile dalla volontà in tal senso manifestata, anche tacitamente, dalle parti, che può essere accertato d’ufficio dal giudice anche in sede di legittimità, ove non vi sia necessità di effettuare indagini di fatto” (Sez. L, Sent. n. 23586 del 2018 e Sez. 2, Sent. n. 10201 del 2012).

Infine, giova ribadire che in virtù del principio iura novit curia di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonchè all’azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purchè i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, essendo allo stesso vietato, in forza del principio di cui all’art. 112 c.p.c., porre a base della decisione fatti che, ancorchè rinvenibili all’esito di una ricerca condotta sui documenti prodotti, non siano stati oggetto di puntuale allegazione o contestazione negli scritti difensivi delle parti (Sez. 3, Ord. n. 30607 del 2018).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità del procedimento e della sentenza per violazione, sotto altro profilo, degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè degli artt. 24 e 111 Cost.in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello, pronunciando d’ufficio sulla risoluzione del contratto/abbia conculcato il suo diritto di prova, ponendosi in radicale violazione delle norme citate in rubrica.

Il ricorrente evidenzia che a fronte dell’ammissione solo parziale da parte del Tribunale delle proprie istanze istruttorie le stesse erano state riproposte in appello. In particolare, la Corte d’Appello non aveva ammesso la prova per testi sulla circostanza che circa 40 giorni prima dell’invio della raccomandata del 22 settembre 2005 il signor T. aveva rifiutato la proposta del C. di risolvere il contratto.

Tale circostanza aveva una particolare rilevanza probatoria anche in riferimento all’interpretazione della volontà delle parti del contratto ex art. 1362 c.p.c., comma 2.

2.1 Il secondo motivo è infondato.

Il ricorrente formula la censura sotto il profilo della violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. che tuttavia non sono invocabili in relazione alle richieste istruttorie.

L’art. 115 c.p.c., infatti, che impone al giudice di decidere iuxta alligata et probata, vieta soltanto di attingere fuori dal processo la conoscenza dei fatti da accertare e di prescindere del tutto dalle prove acquisite nel processo medesimo, ma non impone di ammettere prove ritenute dallo stesso superflue in base ad una valutazione insindacabile in sede di legittimità.

Peraltro, nel prosieguo del ricorso, la medesima parte ricorrente evidenzia che la circostanza del suo rifiuto alla proposta di risoluzione della controparte era circostanza pacifica e non contestata. e, dunque, risulta ampiamente giustificata la scelta della Corte d’Appello di non ammettere la prova testimoniale su tale circostanza.

Quanto alla presunta violazione degli art. 24 e 111 Cost. la stessa è del tutto generica e non si concretizza in alcuna censura specifica, e in ogni caso: “La violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata” (Sez. 5. Ord. n. 15879 del 2018).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1324,1326,1362,1363 e 1366 c.c. in relazione all’art. 360 c.c., n. 3.

Il ricorrente lamenta che l’interpretazione della lettera del 22 settembre 2005 sia avvenuta in violazione delle norme di ermeneutica contrattuale. In particolare, dopo aver riportato l’intero contenuto della missiva, ritiene che sia stato violato l’art. 1362 perchè l’interpretazione della Corte d’Appello si fonda solo su una parte del testo. Inoltre, sarebbe violato anche l’art. 1362 c.c., comma 2 in relazione alla ricerca della volontà soggettiva delle parti. Infatti, il T. aveva già fermamente rigettato la proposta di risoluzione consensuale sottopostagli verbalmente da C. il 12 agosto 2005. Ciò risulterebbe anche dalle allegazioni presenti nella comparsa di costituzione e risposta depositata dalla difesa del C. nel giudizio di primo grado. Quanto alla condotta del T. successiva al 22 settembre 2005, egli propose un ricorso per sequestro giudiziario dei tre assegni postdatati e anche in relazione a tali circostanze la Corte d’Appello avrebbe omesso ogni indagine, al fine di ricostruire la condotta del ricorrente sia precedente che successiva all’invio della raccomandata.

Egli, infatti, aveva esplicitamente diffidato il C. dall’incasso degli assegni e lo aveva diffidato a verificare i lavori non idonei entro cinque giorni dal ricevimento per porvi rimedio sotto pena del successivo addebito dei costi.

La condotta del C., inoltre, non poteva essere in alcun modo interpretata come implicita accettazione della proposta di risoluzione per mutuo dissenso, come dimostra la lettera del suo avvocato del 27 ottobre 2005 nella quale si legge testualmente la sua disponibilità di proseguire i lavori previo pagamento delle fatture. Infine, risulterebbe violato anche l’art. 1363 c.c. dovendosi interpretare le clausole del contratto o dell’atto unilaterale, le une per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto. In base a una lettura complessiva della missiva risulterebbe chiaro che si trattava di un’intimazione all’adempimento se non una vera e propria diffida ad adempiere ex art. 1464 c.c. L’interpretazione della Corte d’Appello sarebbe incompatibile anche con il criterio generale dell’interpretazione secondo buona fede di cui all’art. 1366 c.c.

3.1 Il terzo motivo di ricorso è fondato.

Le censure poste dal ricorrente hanno ad oggetto l’interpretazione della missiva del 22 settembre 2005, alla quale la Corte d’Appello ha attribuito valore negoziale di proposta di risoluzione consensuale del contratto.

In primo luogo, deve precisarsi, che le norme in tema di interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., in ragione del rinvio ad esse operato dall’art. 1324 c.c., si applicano anche ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi, sicchè, mentre non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti ma solo all’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, resta fermo il criterio dell’interpretazione complessiva dell’atto (Sez. 1, Sent. n. 9127 del 2015).

3.2 Ciò premesso, osserva questa Corte che il giudice del gravame, nell’indagare la reale volontà delle parti, avrebbe dovuto tener conto, ai sensi degli artt. 1362 c.c. e ss., del tenore letterale della suddetta lettera e del senso complessivo dell’atto.

La Corte d’appello ha violato entrambi i criteri interpretativi, sia quello letterale ex art. 1363 c.c. che quello del senso complessivo dell’atto ex art. 1363 c.c..

Nella lettera inviata dal T. al C. non si rinviene alcuna espressione volta a manifestare la volontà di risolvere consensualmente il contratto d’appalto, ed al contrario emerge una chiara volontà di procedere mediante diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. anche al fine di ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento.

In tale lettera, infatti, il T. esprime il suo disappunto nel veder persistere il comportamento non professionale del C. e, in particolare, gli contesta l’abbandono del cantiere senza giusta causa e il continuo deterioramento dello stesso dato dallo stato di non avanzamento dei lavori. Sulla base di tale premessa e considerata la grave situazione il T. diffida il C. dal porre all’incasso gli assegni postdatati, pari all’importo di Euro 25.000 che gli aveva in precedenza consegnato e conclude con un invito a visionare, anche col supporto di un tecnico di fiducia, i lavori non idonei entro cinque giorni dal ricevimento della diffida, ritenendosi libero di affidare il completamento dei lavori e il ripristino di quanto necessario ad altra ditta allo scadere del termine.

Da quanto sopra riportato risulta evidente che il T. non aveva alcuna intenzione di formulare una proposta diretta al concorde scioglimento del vincolo contrattuale dando vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, che gli avrebbe poi impedito di invocare cause di risoluzione per inadempimento relative al contratto risolto, come, invece, ha ritenuto la Corte d’Appello nel rigettare la sua domanda di risoluzione per inadempimento.

Peraltro, il giudice del gravame, ha operato un’interpretazione parcellizzata della lettera, dando rilievo esclusivo alla parte finale della stessa. senza tener conto del senso risultante dal complesso dell’atto, in violazione anche dell’art. 1363 c.c.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa fatti decisivi il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente ripropone le medesime censure circa la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale di cui al terzo motivo anche con riferimento all’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

In particolare l’omesso esame sarebbe relativo alle seguenti circostanze: il 12 agosto 2005 il T. aveva respinto una proposta verbale di risolvere il contratto del C.; la lettera del 27 ottobre 2005 dell’avvocato del C. con la quale questi si dichiarava disponibile a riprendere i lavori a condizione che gli venissero versate ulteriori somme; la proposizione del ricorso conservativo al fine di evitare l’incasso dei tre assegni postdatati; il fatto che la raccomandata contenesse esplicita diffida del C. a non porre all’incasso gli assegni e a prendere visione delle opere viziata non completamente eseguite.

4.1 Il quarto motivo di ricorso è assorbito dall’accoglimento del terzo.

5. La Corte accoglie, il terzo motivo, rigetta il primo e il secondo, dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie, il terzo motivo, rigetta il primo e il secondo, dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2019

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