Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23261 del 18/09/2019

Cassazione civile sez. II, 18/09/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 18/09/2019), n.23261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25619-2015 proposto da:

TENDER SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. NICOTERA 29, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRO NOBILONI, rappresentate e difeso

dall’avvocato ERCOLE CAVARRETTA;

– ricorrente –

contro

B.E. & FIGLI SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

72, presso lo studio dell’avvocato ALDO SIMONCINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FAUSTO AMADEI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 710/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 10/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2019 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Tender s.a., società anonima di diritto sanmarinese, deducendo di essere stata agente della B.E. e figli s.p.a., ne domandava al Tribunale di Mantova la condanna al pagamento di provvigioni, dirette e indirette, e delle indennità di legge.

Nel resistere in giudizio, la società convenuta contestava che il rapporto contrattuale fosse riconducibile al contratto di agenzia, trattandosi, invece, di un contratto atipico misto di distribuzione commerciale. Proponeva, quindi, domanda riconvenzionale di condanna della società attrice al pagamento di una penale per violazione dell’obbligo di esclusiva.

Il Tribunale con sentenza non definitiva qualificava il rapporto come agenzia, e quindi con sentenza definitiva, accolta in parte la domanda principale e respinta quella riconvenzionale, condannava la società convenuta al pagamento in favore della Tender s.a. della somma di Euro 130.000,00 a titolo di indennità di cessazione del rapporto.

Impugnate entrambe le sentenze in via principale dalla B. Emilio e figli s.p.a. e in via incidentale dalla Tender s.a., la Corte d’appello di Brescia, riformando entrambe le decisioni di primo grado, con sentenza n. 710/15 rigettava la domanda della società attrice.

Rilevava la Corte territoriale che il giudice di primo grado aveva accertato, in particolare, che l’attività di promozione e controllo prevista contrattualmente consisteva in: a) valutazione, sviluppo e perfezionamento dei contratti periferici afferenti alla grande distribuzione o alla distribuzione organizzata; b) visita delle sedi periferiche con cadenza quindicinale per mantenere i rapporti commerciali; c) valutazione, sviluppo e perfezionamento dei rapporti commerciali con i distributori e visita presso magazzini “per controllare la qualità dei prodotti commercializzati” dalla B. s.p.a. (in prevalenza latticini); d) presentazione e sviluppo di “nuovi clienti”; e) presentazione e valutazione di attività “promozionali”; f) allestimento e mantenimento dei rapporti con la clientela secondo “direttive” della B. s.p.a. e con “obbligo” per i cinque capi area Tender (per cinque distinti ambiti del territorio nazionale) di attenersi alla modulistica stampata; e che la Tender era pagata dalla B. in ragione del 2% del fatturato imponibile per tutte e cinque le zone territoriali.

Detta Corte osservava, quindi, che il rilevante compenso riconosciuto alla soc. Tender non era in alcun modo commisurato all’attività che questa doveva svolgere e agli affari andati a buon fine, ma sempre e comunque a detta società era riconosciuto il 2% del fatturato netto imponibile; che l’organizzazione aziendale della Tender era sottoposta a direttive e controlli della B., la quale poteva anche convocarne i capi-area o rifiutare la loro designazione; che la Tender non agiva in maniera autonoma nella ricerca della clientela, ma si limitava a curare quella già in essere, senza poter modificare i listini di vendita concordati dalla mandante; e che, come del resto accertato dallo stesso Tribunale, l’attività di promozione e conclusione di contratti, caratteristica dell’agenzia, era stata oggettivamente e pacificamente solo minimale.

Riteneva, quindi, la Corte distrettuale che quello in oggetto fosse qualificabile come contratto atipico di distribuzione commerciale a causa mista, nel quale confluivano elementi del mandato, dell’agenzia, del procacciamento d’affari, dell’appalto d’opera, della distribuzione commerciale, della consulenza e del c.d. merchandising. Contratto, quest’ultimo, avente ad oggetto prestazioni volte a promuovere la vendita di una data linea di prodotti una volta che questi fossero stati inseriti nell’assortimento di un punto vendita della grande distribuzione, attraverso il controllo degli spazi interni e del posizionamento che il rivenditore assegna al prodotto rispetto ad altri di marche concorrenti. Nello specifico, tale ultima attività riguardava la verifica costante della qualità e della freschezza dei latticini posti in vendita e del buon funzionamento degli impianti di refrigerazione e conservazione, nonchè la costante promozione commerciale nei supermercati. Ciò posto, data la natura mista della funzione negoziale voluta dalle parti, la Corte stimava prevalente la causa del mandato anche rispetto a quella dell’agenzia, atteso che mentre in quest’ultimo contratto prevale l’obbligazione dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente, nel caso in esame era prevalente l’attività di propaganda e di organizzazione di una rete distributiva di supporto.

La cassazione di quest’ultima sentenza è chiesta dalla Tender s.r.l. (nuova denominazione della Tender s.a.), con ricorso affidato a tre motivi.

Vi resiste con controricorso la B. Emilio e figli s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1362,1366,1367 e 1742 c.c. e dei principi giurisprudenziali in tema d’interpretazione e qualificazione contrattuale, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Nella ricerca della comune volontà delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, la Corte d’appello, sostiene parte ricorrente, non ha tenuto conto dell’art. 4 del contratto del 1998 (col quale iniziò il rapporto), che prevedeva la clausola dello star del credere; dell’art. 2, punti E ed F del contratto del 2001 sull’acquisizione di nuovi clienti; dell’art. 3 sullo svolgimento di un’attività promozionale; dell’art. 4, che prevedeva che gli emolumenti sarebbero stati corrisposti in misura percentuale sul fatturato netto imponibile andato a buon fine; dell’art. (o punto) 6, in base al quale per l’ipotesi di recesso dell’una o dell’altra parte era dovuta un’indennità di clientela parametrata al “contratto Enasarco” (ente previdenziale degli agenti di commercio); e, in generale, della stabilità del rapporto contrattuale e della precisa individuazione di una zona; elementi tutti che dimostrano l’esistenza di un contratto di agenzia, rispetto al quale sarebbero marginali gli altri aspetti valorizzati dalla sentenza impugnata.

Richiama, inoltre, passi delle deposizioni raccolte che dimostrerebbero il medesimo assunto, ossia la notevole acquisizione di clientela nuova che la Tender avrebbe procurato alla B..

2. – Il secondo mezzo denuncia la violazione dell’art. 1322 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Anche ove si volesse ritenere che quello in questione sia un contratto a causa mista, sostiene parte ricorrente, la Corte d’appello avrebbe comunque errato nel qualificarlo come contratto di distribuzione commerciale e nel non ritenere applicabili, quanto meno in via analogica le norme sul contratto di agenzia, essendo quello di distribuzione più un genere che una specie contrattuale.

3. – Il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 1742 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nel senso che la sentenza impugnata avrebbe dato rilievo ad elementi marginali – quali il fatto che il compenso pattuito fosse del 2% sul fatturato netto imponibile, le modalità esecutive di tipo standardizzato che escludevano la modifica dei listini e la preminte attività di propaganda rispetto a quella di conclusione dei contratti – del tutto compatibili con il contratto di agenzia. Affinchè quest’ultimo possa configurarsi, infatti, non occorre che l’agente abbia facoltà di fissare i prezzi o di modulare le condizioni di servizio secondo le esigenze della clientela. Inoltre, l’attività di propaganda è una componente di quella di promozione, che opera all’interno del ruolo tipico dell’agente quale intermediario tra l’impresa produttrice e i suoi clienti, sicchè particolari modalità di acquisizione della clientela non incidono sulla riconduzione del contratto allo schema legale di cui all’art. 1742 c.c.

4. – Tutti e tre i motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, sono infondati.

Secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte Suprema, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (così Cass. n. 28319/17 e le tantissime altre conformi).

Inoltre, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la qualificazione attribuita dal giudice di merito al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. o dell’insufficienza o contraddittorietà della motivazione, e, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, debbono essere accompagnate dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti (la cui ricerca, che integra un accertamento di fatto, è preliminare alla qualificazione del contratto), al fine di consentire, in sede di legittimità, la verifica dell’erronea applicazione della disciplina normativa (Cass. n. 13587/10).

4.1. – Nella specie manca l’una e l’altra attività dimostrativa, essendosi limitata la ricorrente a riportare la parte saliente della motivazione della sentenza impugnata, per poi dapprima concludere apoditticamente nel senso della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, e dopo supportare il giudizio di fondatezza della propria opposta tesi attraverso il richiamo al contenuto di alcune deposizioni sull’acquisizione di clientela nuova da parte della Tender.

Ma poichè tale acquisizione di clientela non è negata dalla sentenza, ma semplicemente valutata come recessiva rispetto alle altre attività svolte e non sufficiente a far prevalere la causa dell’agenzia, la censura non eccede la mera allegazione d’un diverso approdo ermeneutico, che non compete a questa Corte apprezzare come preferibile.

4.2. – Esclusa la possibilità di aggredire efficacemente l’interpretazione del contratto così come operata dalla Corte distrettuale, resta altresì esclusa, ad un tempo, la doglianza di parte ricorrente sulla mancata applicazione, quanto meno in via analogica, delle norme dettate in materia di agenzia.

La Corte territoriale, infatti, ha operato una coerente applicazione dei principi espressi da Cass. n. 13399/05 e S.U. n. 11656/08, richiamate nella stessa sentenza impugnata, sull’applicazione delle norme proprie della prevalente causa contrattuale, quelle del tipo recessivo implicitamente giudicate incompatibili.

Nè residuerebbe spazio all’analogia legis, il ricorso alla quale è lecito solo in presenza di un vuoto normativo (v. Cass. nn. 2656/15 e 9852/02). Nel caso di contratto misto il problema applicativo è esattamente inverso, trattandosi di selezionare, a fronte di un eccesso di disposizioni potenzialmente applicabili, solo quelle riconducibili alla causa prevalente e, eventualmente, a quelle minusvalenti non incompatibili.

5. – Il ricorso va pertanto respinto, ponendo le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente.

6. – Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 5.500,00, oltre accessori di legge e spese generali forfettarie nella misura del 15%.

Dichiara la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, a carico della ricorrente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2019

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