Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2326 del 03/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 03/02/2020), n.2326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22366-2016 proposto da:

M.A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

MIRABELID 14, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO KUSTURIN,

rappresentato e difeso dall’avvocato ORTANA OTTANELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 1308/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 12/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI

MARZIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – M.A.S., cittadino del Ghana, ricorre per due motivi nei confronti del Ministero dell’Interno contro la sentenza del 12 agosto 2016 con cui la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello da lui proposto avverso ordinanza del locale Tribunale di rigetto dell’impugnazione della decisione della competente Commissione territoriale di diniego della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.

2. – L’amministrazione intimata resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,5,7,8 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Vi si sostiene che nella cultura africana in generale e del Ghana in particolare i contrasti familiari e le credenze culturali hanno un peso un valore che influenza la vita sociale in modo totalizzante, sicchè una minaccia di morte o una maledizione lanciata da un gruppo familiare non può essere sottovalutato. D’altro canto lo Stato non appresta alcuna protezione, come attestato dai rapporti annuali di organizzazioni umanitarie in cui viene denunciata l’inadeguatezza del sistema giudiziario e carcerario. In caso di rimpatrio, dunque, il ricorrente si troverebbe esposto ad un grave danno rappresentato da atti di violenza nonchè di persecuzione religiosa.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver confermato il diniego della protezione umanitaria, essendosi il richiedente perfettamente integrato nella realtà nazionale, mentre, in caso di rimpatrio, verrebbe a trovarsi in situazione di isolamento privo di ogni riferimento parentale con conseguente estrema difficoltà esistenziale.

Ritenuto che:

4. – Il Collegio ha disposto la redazione del provvedimento in forma semplificata.

5. – Il ricorso va accolto.

5.1. – E’ fondato il primo motivo.

L’originario richiedente ha fatto richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria riferita al complesso delle ipotesi disciplinate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nonchè della protezione umanitaria.

A fondamento della domanda di protezione internazionale egli ha esposto un duplice ordine di ragioni:

-) per un verso ha narrato di essere stato privato di tutti i suoi beni dai parenti dopo la morte del padre e poi della madre, essendo stato perciò costretto a vivere di elemosina, il che aveva fatto sì che i suoi familiari, in ciò spinti da tutto il villaggio, avessero lanciato una maledizione contro di lui per effetto della quale nessun membro della comunità poteva avvicinarlo;

-) per altro verso ha sostenuto di essere musulmano, ed ha riferito di aggressioni ai musulmani da parte di cristiani nella sua zona di provenienza.

A fondamento della domanda di protezione umanitaria il richiedente ha svolto una pluralità di argomenti: ed ha cioè posto l’accento sia sui rischi connessi al suo rientro in patria, sia sul suo grado di integrazione in Italia, sia sulle sue condizioni di salute.

A tal riguardo la Corte territoriale ha osservato “che in quanto disposto dall’appellante non si ravvisa alcun elemento tale da poter fare neanche ipotizzare che egli sia nelle condizioni che legittimano il riconoscimento dello status di rifugiato”. Dopodichè la sentenza impugnata ha affermato come non risultasse neppure allegata, con riguardo al Ghana, “una situazione di conflitto armato (interno)”. Il giudice di merito, infine, ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, evidenziando che il richiedente risultava affetto da una infezione latente da tubercolosi, ma che la terapia si era ormai conclusa.

Ora, pur intestato come violazione di legge, il ricorso mette evidentemente in discussione il provvedimento impugnato anche sotto il profilo dell’adeguatezza motivazionale: e, per tale aspetto, è evidente la collocazione della sentenza in esame al di sotto della soglia del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053), trattandosi di motivazione apparente, con la connessa violazione della disciplina applicabile alla materia.

La sentenza, difatti, si riferisce comprensibilmente soltanto alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè all’ipotesi contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ma non prende in considerazione le ipotesi di cui alle lettere a) e b), omettendo dunque di verificare, in ossequio ai criteri dettati dallo stesso D.Lgs., art. 3, se, ove ritenuto credibile il racconto del richiedente, ciò comportasse o meno, e per quale ragione, l’esposizione ad un rischio di condanna-esecuzione della pena di morte ovvero di tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, tenuto altresì conto del precetto dettato dal medesimo D.Lgs., art. 5.

5.1. – Il secondo motivo è assorbito.

6. – La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto e rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, che si atterrà a quanto dianzi indicato e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020

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