Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2326 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. II, 01/02/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 01/02/2010), n.2326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto il 7 giugno 2005 da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze – in persona del Ministro in

carica – rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso la quale è domiciliato ex lege in Roma, alla Via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

M.K. e Banca Popolare dell’Alto Adige S.c.a.r.l. – in

persona del presidente del consiglio di amministratore Dott.

G.Z. – rappresentati e difesi in virtù di procura

speciali del 15 luglio 2005 dall’avv. POTOTSCHNIG Paolo del Foro di

Milano e dall’avv. Paolo Quattrocchi, presso il quale sono

elettivamente domiciliati in Roma, alla Via Santa Maria in Via, n.

12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza del Tribunale di Bolzano n. 64 del 22 giugno

2004.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22

dicembre 2009 dal Consigliere Dott. Massimo Oddo;

udito per i controricorrenti l’avv. Paolo Quattrocchi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 22 giugno 2004, il Tribunale di Bolzano accolse l’opposizione proposta il 27 marzo 2002 dalla Banca Popolare dell’Alto Adige S.c.a.r.l. e da K.M., titolare della sua filiale di (OMISSIS), e dichiarò la nullità dell’ordinanza n. (OMISSIS) del 13 dicembre 2001, con la quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze, – Dipartimento del Tesoro – Direzione 5^ – aveva loro ingiunto il pagamento, in solido, della sanzione amministrativa di L. 288.000.000 per la violazione del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, comma 1, conv. Con L. n. 197 del 1991, avendo omesso di segnalare l’acquisto da parte di S.G. e S.W., tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), di CCT per l’ammontare complessivo di L. 960.000.000.

Osservò il giudice che il Ministero, essendosi limitato a richiamare a fondamento dell’ordinanza le valutazioni e le considerazioni della Procura della Repubblica e del G.I.P. presso il Tribunale di Bolzano in ordine alla condotta contestata all’opponente, non aveva soddisfatto l’onere su di lui gravante di dimostrare compiutamente l’esistenza dei fatti costitutivi dell’illecito.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è ricorso con un motivo per la cassazione della sentenza ed il M. e la Banca Popolare hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, il ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, comma 1, e per avere escluso la sussistenza della prova dei fatti costitutivi dell’illecito contestato, benchè dal verbale dell’U.I.C. dell’11 febbraio 1998 e dal verbale dell’11 maggio 1998, ai quali aveva fatto riferimento l’ordinanza-ingiunzione, risultassero sia la movimentazione da parte dei S. per l’acquisto di CCT di somme in contanti superiori ai venti milioni e sia l’omessa registrazione e segnalazione delle operazioni, alla quale era tenuto il direttore della filiale della Banca.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha ripetutamente sottolineato che l’abrogato D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, commi 1 e 2 (Provvedimenti urgenti per … prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio), nel testo risultante dalla conv. in L. n. 197 del 1991, e dalla mod. con D.Lgs. n. 153 del 1997 (Integrazione dell’attuazione della dir. n. 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita), poneva a carico degli operatori degli intermediari bancari e finanziari, anche anteriormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 56 del 2004, l’obbligo di segnalare ai titolari delle attività (e questi ultimi di trasmettere le segnalazioni ritenute fondate all’Ufficio italiano dei cambi) ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività del soggetto cui era riferita, inducesse a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possa provenire dal reato indicato nell’art. 648 bis c.p..

Sottolineava, poi, la disposizione che tra dette caratteristiche era “compresa, in particolare l’effettuazione di una pluralità di operazioni non giustificata dall’attività svolta da parte della medesima persona, ovvero, ove se ne abbia conoscenza, da parte di persone appartenenti allo stesso nucleo familiare o dipendenti o collaboratori di una stessa impresa o comunque da parte di interposta persona”.

Onde ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali ed evitare forme di “arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge”, e per assicurare la “omogeneità di comportamento del personale degli intermediari”, la Banca d’Italia, in applicazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 4, comma 3, lett. c), aveva emanato nel successivo febbraio 1993 delle “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio (c.d. decalogo), aggiornate nel novembre 1994 e rinnovate il 12 gennaio 2001, ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, art. 3 bis, comma 4 (aggiunto dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153), dirette a superare la genericità della disciplina applicativa della dir. n. 91/208/CEE. Con tali istruzioni l’Istituto di vigilanza aveva introdotto, tra l’altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma og-gettiva delle operazioni bancarie, in esse ricomprendendo anche l’insieme di movimentazioni tra loro funzionalmente ed economicamente collegate, in presenza delle quali delle operazioni pur di per sè neutre, potendo dissimulare una attività di riciclaggio, andavano rapportate alla capacità economica od all’attività del cliente, ed imponevano all’operatore dell’intermediario l’effettuazione di specifiche indagini per valutare, in base alle altre notizie di cui disponeva in virtù delle propria attività, la loro effettiva natura sostanziale. Detta valutazione, anche se costituente il risultato di un apprezzamento soggettivo, doveva avere natura impersonale, come evidenziato dalla necessità e sufficienza che essa “induca a ritenere … che il denaro, i beni o le utilità … possano provenire” da delitto e, conseguentemente, la nozione di sospetto, nel quale essa si doveva concretizzare per imporre l’adempimento all’obbligo di segnalazione dell’operazione, andava individuata tenendo conto che la segnalazione aveva la funzione di mero filtro, attraverso il quale l’Ufficio italiano dei cambi esercita sul fatto un’ulteriore attività di approfondimento, che poteva concludersi, a norma del D.L. n. 143 del 1991, art. 3, comma 4, lett. f), anche con una archiviazione in via amministrativa che precede qualsiasi indagine di polizia giudiziaria.

La segnalazione delle operazioni recanti anomalie formali non era subordinata, dunque, all’evidenziazione dalle indagini dell’operatore degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio e neppure all’esclusioni in base ad un personale convincimento dello stesso dell’estraneità dell’operazione ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio puramente tecnico sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggetti vi e soggettivi che le caratterizzavano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire la conversione, il trasferimento, l’occultamento, la dissimulazione, l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazioni di beni provenienti da una attività criminosa o da una partecipazione a tale attività (cfr. da ultimo: Cass. civ., sez. 2^, sent. 10 aprile 2007, n. 8699).

A tale principio non si è attenuto la sentenza impugnata che ha escluso l’esistenza dell’obbligo di segnalazioni di operazioni formalmente anomale, secondo gli indici di anomalia ricavabili dalla casistica delle istruzioni operative della Banca d’Italia, consistite in molteplici operazioni di importo inferiore a L. venti milioni convergenti nell’acquisto tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) da parte di S.G. e S.W. di CCT per l’ammontare complessivo di L. 960.000.000, sul solo rilievo che non risultava provato che le somme utilizzate per l’acquisto provenissero da evasione fiscale, anzichè valutare se le operazioni compiute, in base agli elementi soggettivi ed oggettivi che le caratterizzavano, ed in particolare il rilevante importo di esse, ed alla luce anche delle istruzioni già ricordate, potessero costituire strumento di elusione della normativa dettata per prevenire il riciclaggio e redessero necessario che la loro natura fosse vagliata non soltanto dall’istituto bancario che ne era conoscenza e l’aveva consentito, ma anche dall’Autorità amministrativa a ciò preposta.

Analogamente la decisione non resiste alla censura di vizio di motivazione, atteso che l’affermazione che l’opposto non aveva fornito e provato dettagliatamente tutti gli elementi che erano alla base delle valutazioni e considerazioni contenute nel verbale di contestazione dell’11 maggio 1998 e nel verbale di accertamento dell’U.I.C. dell’11 febbraio 1998, in quanto facenti riferimento unicamente agli accertamenti ed alle valutazioni della Procura della Repubblica, non tiene adeguato conto della circostanza che il principio dell’onere della prova costituisce una regola residuale di determinazione della soccombenza e non comporta alcuna deroga ai concorrenti principi della disponibilità e valutazione della prove, dettati dagli artt. 115 e 116, c.p.c., in virtù dei quali il giudice deve valutare secondo il suo prudente apprezzamento tutti gli elementi comunque acquisiti al processo.

In particolare, il richiamo al disposto della L. n. 689 del 1981, art. 23, non consentiva di eludere ai fini del giudizio l’esame dei numerosi documenti prodotti dall’opponente, tra i quali il prospetto di acquisto dei titoli e gli estratti dei conti di deposito dei titoli, che davano conto delle operazioni effettuate, e la sentenza con il quale il G.I.P. aveva ritenuto provato che “un’unica operazione, facente capo ai signori S., era stata fittiziamente frazionata in capo a nr. 15 soggetti diversi, mai presentatisi allo sportello”.

Alla fondatezza dell’unico motivo seguono l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Milano.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese al Tribunale di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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