Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23258 del 18/09/2019

Cassazione civile sez. II, 18/09/2019, (ud. 01/04/2019, dep. 18/09/2019), n.23258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9266-2015 proposto da:

P.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 103, presso lo studio dell’avvocato ROMANO POMARICI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO

SANGREGORIO;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAZZONI

GIUNIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FEMIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO MULARGIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 258/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/04/2019 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con un contratto del 2.11.1999 il geom. B.A. si impegnava a trasferire a P.M.A. la proprietà di un terreno appartenente a terzi, e di realizzarvi un edificio ad uso abitativo. Nel corso di tali lavori, sorte questioni tra le parti, la P. recedeva dal contratto e proseguiva le opere tramite un’impresa terza.

Quindi, il geom. B. conveniva in giudizio P.M.A., innanzi al Tribunale di Lecco, per sentirla condannare al pagamento dei lavori eseguiti, che quantificava in Euro 62.327,30.

Nel resistere in giudizio la convenuta domandava la risoluzione del contratto per difetti delle opere e il risarcimento del relativo danno.

Con sentenza n. 851/09 il Tribunale, separata la causa di risarcimento dei danni, condannava la P. a corrispondere al B. la somma di Euro 33.860,53, quale residuo credito, e rigettava la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto.

Accolta l’impugnazione principale del B. e respinta quella incidentale della P., la Corte d’appello di Milano riformava parzialmente tale sentenza, condannando quest’ultima al pagamento della maggior somma di Euro 78.057,92.

Quanto all’appello principale, la Corte distrettuale osservava che il giudice di primo grado aveva erroneamente detratto dal totale delle opere eseguite dal B. (Euro 210.943,70) l’importo di quelle (Euro 44.197,39) eseguite da altri su incarico della P., per cui, detratto il totale degli acconti versati dalla P. (Euro 262.000,00) dalla somma del costo del terreno e delle opere eseguite (Euro 210.943,70 + 129.114,22 = 340.057,92), residuava a credito del B. l’importo di Euro 78.057,92.

In ordine all’appello incidentale, la Corte milanese riteneva infondate le doglianze, concernenti la determinazione del prezzo del terreno e del costo delle opere contrattuali ed extracontrattuali eseguite dal B., l’addebito di oneri per errori di progettazione e la quantificazione degli acconti. Osservava la Corte distrettuale che i rilievi operati circa errori di progettazione del geometra B. non potevano costituire oggetto del giudizio, essendo stata separata la causa risarcitoria che la P. aveva proposto in merito all’esistenza e alla responsabilità del B. per erronea progettazione dell’opera. Quindi, rilevava che, quanto alla doglianza per cui la disposta c.t.u. non potesse sollevare l’onere probatorio del B. di dimostrare le opere eseguite prima della revoca dell’incarico, richiamava il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale la consulenza tecnica d’ufficio, pur non costituendo mezzo di prova, poteva assumere il valore di fonte oggettiva di convincimento circa l’esistenza di fatti di stretto ambito tecnico; e che, nella specie, le operazioni peritali si erano svolte nel pieno rispetto del contraddittorio e con puntuale confutazione dei contrari rilievi delle parti. Quanto all’importo dei lavori desumibile dal contratto per differenza dal valore del terreno, osservava la Corte che il valore dichiarato nel rogito appariva poco rilevante, riferendosi ad un atto intercorso tra la P. e i terzi proprietari del terreno, successivo al preliminare stipulato con il B.; che pure il riferimento ai valori del listino immobiliare dei terreni era improprio, atteso che quello venduto alla P. includeva un annesso fabbricato rustico; e che la previsione del pagamento dell’importo di Lire 125.000.000 da eseguire entro la data di sottoscrizione del rogito e del residuo secondo gli stati d’avanzamento dei lavori, deponeva unicamente sulla volontà delle parti di attribuire al terreno ed al rustico sovrastante il valore anzi detto. Ne scaturiva, pertanto, la speculare corretta determinazione del corrispettivo forfettario pattuito per le attività di progettazione e costruzione dell’immobile, stanti le modalità temporali di pagamento e la corrispondenza dell’importo pattuito con quello risultante, secondo quanto appurato dal c.t.u., dal prezziario della provincia di Milano.

Parimenti infondato appariva l’appello incidentale relativamente all’ammontare degli acconti versati, che la committente aveva indicato, senza tuttavia provare, essere superiore a quello riconosciuto nella sentenza di primo grado ed ammessi dal B., ossia 262.000,00 Euro. Infine, quanto all’asserita duplicazione di voci di compenso per fornitura e posa in opera di serramenti, i rilievi operati dalla ricorrente incidentale erano stati confutati dal secondo elaborato peritale, così come la voce relativa alla preparazione del fondo dei cortili, attività che il c.t.u. aveva spiegato essere stata necessaria anche per la posa in opera del pavimento in calcestruzzo in sostituzione di quello con autobloccanti, originariamente stabilito.

Per la cassazione di detta sentenza P.M.A. propone ricorso, affidato a sette motivi.

Resiste con controricorso B.A..

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., comma 1. Pacifico che solo una parte delle opere complessivamente compiute erano state eseguite dal B., questi aveva l’onere di provare i lavori che aveva effettivamente realizzato. Per contro, utilizzando le risultanze dell’accertamento tecnico d’ufficio espletato in primo grado sui meri assunti dell’attore, la Corte territoriale ha finito per sollevare detta parte dal suddetto onere probatorio.

2. – Il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame d’un fatto decisivo e discusso dalle parti, avente ad oggetto la mancata autorizzazione scritta delle dedotte varianti, nonchè la previsione di un corrispettivo a forfait, nella forma prevista dall’art. 1659 c.c., u.c., sicchè le variante seppure autorizzate, non davano diritto a compenso aggiuntivo.

3. – Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 111 Cost., deducendo sotto tale diverso profilo quanto già sopra esposto in relazione al secondo mezzo d’annullamento.

4. – Il quarto motivo allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 1659 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3. Nonostante l’espressa censura mossa alla sentenza di primo grado riguardo al fatto che le varianti avrebbero dovuto essere espressamente autorizzate per iscritto, la sentenza impugnata non ha considerato il rilievo in questione ed ha accettato la contabilizzazione delle opere fatta dal c.t.u. benchè mancasse la preventiva autorizzazione, violando in tal modo tutti e tre i commi dell’art. 1659 c.c.

5. – Il quinto motivo allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3. La premessa giuridica per riconoscere al geom. B. somme aggiuntive per le varianti sarebbe stata la prova del relativo accordo, prova che, però, non è stata nè fornita nè dedotta, di talchè la Corte distrettuale avrebbe dovuto applicare la regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c.

6. – Col sesto motivo parte ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 dell’omesso esame del fatto consistente nella discrepanza tra il progetto allegato al contratto preliminare e quello utilizzato dal c.t.u. per il raffronto finalizzato all’individuazione delle varianti. Al fine di determinare le opere extracontrattuali, aveva dedotto la P. con la propria impugnazione incidentale, si sarebbe dovuto operare un raffronto soltanto tra il progetto allegato al contratto (come prescritto nel quesito posto dal giudice) e quanto effettivamente realizzato. Il c.t.u., invece, sarebbe caduto in errore poichè avrebbe effettuato un raffronto tra il costruito e il progetto depositato presso il comune ai fini della DIA (denuncia inizio di attività) Progetto, quest’ultimo, che era stato redatto perchè quello iniziale non avrebbe potuto essere approvato in quanto difforme dagli strumenti urbanistici, e quindi ciò che potevano apparire come delle varianti erano in realtà solo degli escamotage, per ottenere l’autorizzazione, per poi procedere con la presentazione di successive varianti grazie al mutare degli strumenti urbanistici al fine di ottenere la realizzazione del progetto iniziale.

7. – Col settimo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame delle ricevute che dimostrerebbero gli importi tutti versati dalla P.. La Corte d’appello avrebbe ritenuto che gli acconti versati al momento della stipula del preliminare, contestualmente al definitivo e nel corso dello svolgimento del rapporto, secondo gli stati d’avanzamento, avrebbero dovuto essere considerati solo se ed in quanto riconosciuti dallo stesso B., mentre non avrebbe tenuto conto del versamento di acconti per complessivi Euro 274.234,49, come risultante dalle quietanze in calce al preliminare, e dunque in misura superiore ai 262.000,00 Euro considerati nella sentenza impugnata come ammessi dal B..

8. – Il primo motivo è infondato.

E’ nota e costante la giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perchè volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (così e per tutte, Cass. n. 3717/19).

Ne deriva che al di fuori di una non consentita attività di consulenza tecnica disposta con finalità puramente esplorative alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (cfr. Cass. nn. 30218/17 e 10373/19), è esclusa tanto l’elusione degli oneri probatori quanto la violazione dell’art. 115 c.p.c., ove il giudice di merito ponga a base della decisione fatti il cui tasso tecnico abbia richiesto l’accertamento tramite l’opera di un c.t.u.

E’ quanto avvenuto nella specie. Pacifica, perchè inerente alla cornice di riferimento comune alle parti, l’esecuzione di opere da parte del B. fino alla recesso della committente, solo l’esame diretto e tecnico dell’opus avrebbe consentito di valutare e quantificare i lavori per il cui pagamento è causa.

9. – Per il suo effetto rescindente, nonchè assorbente i restanti motivi (eccetto l’ultimo), è prioritario l’esame del sesto mezzo, che è ammissibile e fondato.

9.1. – Ammissibile, perchè il ricorso si sottrae ratione temporis all’art. 348-ter c.c., comma 5, che non si applica, in base al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 134 del 2012, nel caso di giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012 (v. Cass. nn. 11439/18 e 26860/14). E nella specie l’appello è stato introdotto nel 2009.

9.2. – Fondato, in quanto il fatto dedotto e discusso – disformità tra il progetto allegato al contratto preliminare e quello, allegato alla DIA e utilizzato dal c.t.u., ai fini del raffronto finalizzato all’individuazione delle varianti – non risulta esaminato nella sentenza impugnata. La quale ultima, al riguardo, si limita ad una criptica adesione alla metodica seguita nel constatare le opere eseguite sul cantiere a cura della stessa committente (intendi, tramite altra impresa), “unita alla puntuale e motivata confutazione dei rilievi delle parti”, che non consentiva “sulla base delle generiche allegazioni della committente, di censurare la decisione impugnata nella parte in cui ha fondato il proprio convincimento sull’esito della esperita consulenza” (così, l’ultimo capoverso di pag. 5).

Tale fatto, a sua volta, è da giudicarsi decisivo. In ipotesi mutato uno dei due termini, l’esito del raffronto non può che essere diverso e condurre ad una differente valutazione dell’an e del quantum delle varianti su cui le parti tuttora discutono.

10. – L’accoglimento del sesto motivo determina l’assorbimento dei mezzi secondo, terzo, quarto e quinto, per la loro inerenza al medesimo tema.

11. – Infine, è inammissibile la censura di cui al settimo motivo di ricorso.

La Corte d’appello non ha nè omesso la quantificazione degli acconti nè ha ritenuto che se ne potesse dare conto solo se ed in quanto riconosciuti dal B., ma si è limitata a constatare che le prove dedotte dall’odierna ricorrente non valevano a dimostrarne una corresponsione eccedente quanto ammesso dallo stesso B..

12. – Per quanto fin qui considerato il ricorso va accolto nei limiti anzi detti e la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, respinti il primo ed il settimo ed assorbiti i restanti, e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2019

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