Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23258 del 08/11/2011

Cassazione civile sez. I, 08/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 08/11/2011), n.23258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17967/2010 proposto da:

D.A. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA SARDEGNA 50, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE

MERILLI, rappresentata e difesa dall’avvocato TURRA’ Sergio giusta

procura alle liti a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto N. 1970/08 V.G. della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositato il 16/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato Sergio Turrà (delega avvocato Emanuele Merilli),

difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che

ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che D.A., con ricorso del 29 giugno 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Napoli depositato in data 16 giugno 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della D. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi, ha chiesto la dichiarazione di improponibilità o di inammissibilità del ricorso – ha rigettato la domanda;

che il Ministro dell’economia e delle finanze, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 26.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 28 marzo 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) la D., asseritamente titolare del diritto all’inquadramento in una qualifica funzionale superiore a quella attribuitale, aveva promosso la relativa causa dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania con ricorso del 6 ottobre 1992; b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso la causa;

che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda affermando che la D. era ben consapevole fin dall’inizio della infondatezza della pretesa avanzata dinanzi al Tribunale amministrativo, essendo ciò dimostrato dalla circostanza che la stessa D. non aveva presentato l’istanza di prelievo di cui alla L. n. 205 del 2000, art. 9.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati congiuntamente -, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, l’affermata ricorrenza, nella specie, di un’ipotesi di originaria consapevolezza della infondatezza della pretesa avanzata nel giudizio presupposto e, conseguentemente, l’insussistenza del diritto ad equa riparazione;

che il ricorso merita accoglimento;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dall’importanza sociale della vicenda, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell’infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità, con la conseguenza che di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato danno, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa, e che non abbisogna di essere provato neppure a mezzo di elementi presuntivi (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 21088 del 2005, 9938 e 18780 del 2010, 2385 e 10500 del 2011);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia) la quale, con due recentissime decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia; 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14753 del 2010 cit.);

che, inoltre ed in particolare, questa Corte ha affermato il principio per il quale, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi, introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9 – nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, convertito in legge dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 – non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo, con la conseguenza che la mancata presentazione dell’istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come base per una decrescente valutazione del danno e del relativo risarcimento (cfr.

la sentenza n. 6619 del 2010);

che, nella specie, i Giudici a quibus hanno respinto la domanda di indennizzo in palese violazione di tali principi, in quanto hanno desunto l’originaria consapevolezza della domanda oggetto del giudizio presupposto esclusivamente dall’eventuale esito negativo, per l’odierna ricorrente, del giudizio promosso dinanzi al T.a.r. per la Campania;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato per i riscontrati vizi, restando assorbita ogni altra censura;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che il processo presupposto de quo è pacificamente iniziato in data 6 ottobre 1992 e non si era ancora concluso alla data del 28 marzo 2008, di deposito del ricorso per equa riparazione, durando complessivamente quindici anni e sei mesi circa, con la conseguenza che – detratto il periodo di tre anni di ragionevole durata – la eccedenza irragionevole va determinata in dodici anni e sei mesi circa;

che la fattispecie è inoltre caratterizzata dalla incontestata circostanza della ritardata presentazione, da parte del ricorrente, della cosiddetta “istanza di prelievo” nel corso del giudizio presupposto;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che, nella specie, tuttavia – caratterizzata anche dalla ritardata presentazione dell’istanza di prelievo -, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati, nonchè dei recepiti correttivi consentiti dalla giurisprudenza della Corte EDU, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va equitativamente determinato, per il ricorrente, in Euro 7.750,00 per i quindici anni e sei mesi circa di irragionevole ritardo (Euro 500,00 annui), oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, previa compensazione per la metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso -, per l’intero, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio compensate per la metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento al ricorrente della somma di Euro 7.750,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorar, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Roberto De Masi, Alberto Saggiorno e Roberto Buonfantino, dichiaratisene antistatario, e, per il giudizio di legittimità, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Sergio Turrà, dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2011

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