Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23257 del 08/11/2011

Cassazione civile sez. I, 08/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 08/11/2011), n.23257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6704/2010 proposto da:

M.F. ((OMISSIS)) elettivamente domiciliato

in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avv. ZAMPIERI Nicola, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 2171/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del

16.12.08, depositato il 19/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. LIBERTINO

ALBERTO RUSSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che M.F., con ricorso del 5 marzo 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo nove motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Venezia depositato in data 19 gennaio 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del M. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contumacia del Ministro dell’economia e delle finanze, ha rigettato il ricorso;

che il Ministro dell’economia e delle finanze ha depositato atto di costituzione;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 19 giugno 2007, era fondata sui seguenti fatti: a) il M., asseritamente titolare del diritto alla riliquidazione della pensione aveva promosso la relativa causa dinanzi alla Corte dei conti con ricorso del 22 giugno 2000; b) la Corte adita aveva deciso la causa con sentenza del 29 dicembre 2005;

che la Corte d’Appello di Venezia, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda affermando che il M., con la promozione del giudizio presupposto, ha realizzato un abuso del processo, in quanto – come risulta dalla motivazione della sentenza della Corte dei conti, che viene riprodotta per ampio stralcio -, “la pretesa del ricorrente non trovava alcun supporto normativo nella disciplina di settore e … la cennata disciplina si sottraeva a dubbi sulla legittimità costituzionale della stessa inserendosi nel cennato contesto un consolidato indirizzo dell’adita Corte dei conti”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati congiuntamente -, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, l’affermata ricorrenza, nella specie, di un’ipotesi di abuso del processo;

che il ricorso merita accoglimento;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dall’importanza sociale della vicenda, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell’infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità, con la conseguenza che di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato danno, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa, e che non abbisogna di essere provato neppure a mezzo di elementi presuntivi (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 21088 del 2005, 9938 e 18780 del 2010, 2385 e 10500 del 2011);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia) la quale, con due recentissime decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia; 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14753 del 2010 cit.);

che, inoltre ed in particolare, questa Corte ha affermato il principio per il quale, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi, introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9 – nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, convertito in legge dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 – non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo, con la conseguenza che la mancata presentazione dell’istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come base per una decrescente valutazione del danno e del relativo risarcimento (cfr.

la sentenza n. 6619 del 2010);

che, nella specie, i Giudici a quibus hanno respinto la domanda di indennizzo in palese violazione di tali principi, in quanto hanno desunto l’abuso del processo presupposto – peraltro rilevandolo illegittimamente ex officio – esclusivamente dall’esito negativo, per l’odierno ricorrente, del giudizio promosso dinanzi alla Corte dei conti;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato per i riscontrati vizi, restando assorbita ogni altra censura;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che sulla base dei medesimi principi il ricorso merita accoglimento, nei limiti di sèguito indicati;

che il processo presupposto de quo è pacificamente iniziato in data 22 giugno 2000 e si è concluso in data 29 dicembre 2005, durando complessivamente circa cinque anni e sei mesi, con la conseguenza che – detratto il periodo di tre anni di ragionevole durata – la eccedenza irragionevole va determinata in due anni e sei mesi circa;

che la fattispecie è inoltre caratterizzata dalla incontestata circostanza della ritardata presentazione, da parte del ricorrente, della cosiddetta “istanza di prelievo” nel corso del giudizio presupposto;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 ciascuno dei successivi anni;

che nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va equitativamente determinato, per il ricorrente, in Euro 1.900,00 per i due anni e sei mesi circa di irragionevole ritardo, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 310,00 per diritti ed Euro 640,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento al ricorrente della somma di Euro 1.900,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 310,00 per diritti ed Euro 640,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Nicola Zampieri e Flavio Pana, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Nicola Zampieri, dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2011

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