Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23257 del 05/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 05/10/2017, (ud. 28/06/2017, dep.05/10/2017),  n. 23257

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22498-2014 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCUMVALLAZIONE

CLODIO 167, presso lo studio dell’avvocato CARMEN GUERRIERO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CECERE;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, V. MONTELLO

10, presso lo studio dell’avvocato GERMANO GIANNELLA, rappresentato

e difeso dagli avvocati SERGIO PAPA, GIUSEPPE VETRANO;

– controricorrente –

e contro

B.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4111/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

R.S. propone ricorso per cassazione articolato in due motivi avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 4111/2013, depositata il 22/11/2013, la quale, in riforma della pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Avellino, aveva respinto la domanda del R. verso il Condominio (OMISSIS), volta alla condanna di questo al pagamento del corrispettivo d’appalto per la ricostruzione dell’edificio, in misura dell’importo inizialmente richiesto mediante successivi e distinti decreti ingiuntivi, il primo pari a Lire 256.356.660, oltre interessi, il secondo pari a Lire 391.701.258. Il Tribunale, riuniti i giudizi di opposizione, aveva revocato i due decreti ma comunque condannato il Condominio (OMISSIS) al pagamento della somma di Lire 373.755.702, ripartita pro quota tra i diversi condomini. Proposti appelli in via principale dal R. ed in via incidentale dal Condominio, la Corte di Napoli decideva su entrambi i gravami richiamandosi alla CTU da ultimo espletata in secondo grado. Questa CTU, alla luce della contabilità redatta dall’appaltatrice e dalla Direzione Lavori (corretti “evidenti errori contabili per errata applicazione del prezzo, per duplicazione di contabilizzazione della medesima partita e per verifiche metriche effettuate nel corso delle operazioni peritali”), aveva stimato in Lire 2.259.920.943 l’importo definitivo totale dei lavori di ricostruzione di (OMISSIS) eseguiti dall’Impresa geometra R.S.; aveva quantificato in Lire 2.093.850.964 i pagamenti effettuati all’appaltatrice dall’amministratore o dai singoli condomini; aveva, quindi, indicato in Lire 166.069.979 il saldo dovuto all’impresa R.. Poichè a tale somma finale dovevano detrarsi la penale di Lire 78.900.000 (Lire 300.000 per ogni giorno di ritardo, come da art. 8 del contratto di appalto) e l’importo di Lire 160.000.000, incassato per errore dall’appaltatore al momento della stipula dell’atto aggiuntivo, R.S. risultava debitore, piuttosto che creditore, del committente Condominio.

Il Condominio (OMISSIS) resiste con controricorso.

Il primo motivo di ricorso di R.S. denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte d’Appello di Napoli formato il suo convincimento esclusivamente sulla CTU del secondo ausiliare, ingegnere S., nominato nel giudizio di gravame (il quale aveva quantificato in Lire 2.259.920.943 l’importo totale dei lavori appaltati all’Impresa geometra R.S.), senza tener conto della Relazione del Direttore Lavori, della CTU espletata in primo grado e di una prima CTU iniziata in secondo grado dall’ingegnere G., poi sostituito in quanto deceduto, visto che le stesse pervenivano a diversi importi dei lavori e comunque escludevano ritardi imputabili all’impresa nell’esecuzione delle opere.

Anche il secondo motivo di ricorso di R.S. denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insieme alla violazione degli artt. 115 e 195 c.p.c. Si richiamano le note critiche alla CTU S., depositate il 19 febbraio 2012, e si sintetizzano le erronee valutazioni dei comportamenti delle parti del rapporto d’appalto e gli errori di calcolo contenuti nell’elaborato peritale. Si ricorda dal ricorrente di aver altresì ricusato il CTU S. e di aver reiteratamente richiesto alla Corte di Napoli di sostituire il consulente.

I due motivi, giacchè connessi tra loro, vanno congiuntamente esaminati e si rivelano infondati.

Entrambe le censure vengono riferite al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile nella specie, ratione temporis, per come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012), il quale però contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che tale vizio va denunciato nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le considerazioni svolte nei due motivi del ricorso, che si limitano a contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti, ovvero una diversa valenza delle risultanze documentali, invitando la Corte di legittimità a svolgere un nuovo giudizio sul merito della causa. Il mancato esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

La Corte d’appello di Napoli, nell’esercizio dell’apprezzamento di fatto delle difese e delle risultanze probatorie, che costituisce prerogativa del giudice di merito, ha accertato, utilizzando le conclusioni dell’ultimo CTU all’uopo nominato, e condividendo la necessità di correggere errori rinvenuti nella contabilità redatta dall’appaltatrice e dalla Direzione Lavori, che l’importo finale delle opere eseguite ammontava a Lire 2.259.920.943, sicchè il saldo dovuto dal Condominio committente era di Lire 166.069.979, da cui detrarre la somma Lire 160.000.000, incassata per errore dall’appaltatore al momento della stipula dell’atto aggiuntivo, nonchè l’importo della penale per il ritardo, così negando ogni residuo credito dell’impresa. I giudici dell’appello, avendo dichiaratamente radicato il loro convincimento sulle conclusioni del CTU S., hanno operato una valutazione globale delle risultanze di causa, dovendosi perciò ritenere disattesi per implicito i rilievi e le circostanze incompatibili con l’elaborato peritale prescelto.

Il ricorso, nel denunciare vizi di motivazione della sentenza della Corte di Napoli, sotto il profilo dell’omesso esame di circostanze e di rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento tecnico seguito dal c.t.u., si limita a censure di erroneità e/o di inadeguatezza delle stime peritali, e si risolve, dunque, nel far valere la non rispondenza della ricostruzione delle vicende di lite operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo del ricorrente, proponendosi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, ovvero una nuova pronuncia sulle vicende di lite volta a sovvertire aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, che attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’ “iter” formativo di tale convincimento. Il ricorrente contesta le conclusioni dell’ultima consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice di secondo grado mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal Direttore dei Lavori o dai precedenti consulenti d’ufficio nominati nei giudizi di primo grado e d’appello (quanto, ad esempio, alle ragioni del ritardo nell’esecuzione delle opere, ritardo posto a fondamento della penale, o alle negligenze attribuite all’impresa con riferimento alla pratica di conseguimento del contributo ex L. n. 219 del 1981), ma tali contestazioni si rivelano dirette, come detto, ad una diversa valutazione delle risultanze processuali e non contengono la denuncia di una documentata e decisiva devianza dai canoni fondamentali della tecnica in materia di misura e contabilità dei lavori nel rapporto d’appalto.

L’omesso esame, da parte della Corte d’Appello, dei rilievi critici del R. alla CTU S., oltre a non connotarsi come omesso esame di “fatti storici” (intesi come dati materiali o fenomenici), ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è comunque sprovvisto del necessario carattere di decisività, inerente l’incidenza di tali omissioni sulla valutazione della sussistenza o meno di determinate partite della contabilità delle opere, essendo decisivo, in tal senso, il solo mancato esame di emergenze fattuali tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento del giudice di merito si è fondato.

I riferimenti in ricorso al contratto d’appalto stipulato tra le parti o al cosiddetto “atto aggiuntivo” sono, inoltre, privi della specifica indicazione del contenuto dei documenti, e perciò non rispettano nemmeno il requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Quanto alla doglianza contenuta, in particolare, nel secondo motivo, dove si afferma che il R. avesse ricusato il CTU e poi ne avesse reiteratamente richiesto la sostituzione, basta qui ricordare che l’art. 192 c.p.c., comma 2, prevede che l’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio dev’essere presentata con apposito ricorso depositato in cancelleria almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione, rimanendo altrimenti la consulenza ritualmente acquisita al processo, nè la causa di ricusazione può essere fatta valere in sede di giudizio di legittimità se non sia stata ab origine tempestivamente denunciata. Più in generale, ogni vizio di nullità della consulenza non è deducibile in cassazione ove lo stesso non sia stato dall’interessato dedotto nel primo atto difensivo, ed ancora ribadito in sede di precisazione delle conclusioni, e non abbia poi costituito oggetto di motivo di appello, indicazioni che il ricorso deve specificare agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Diversa invece dalla revocazione è la situazione in cui la parte, durante o dopo lo svolgimento delle operazioni peritali, intenda prospettare ragioni che giustificano un provvedimento di rinnovazione o sostituzione dell’ausiliare, affinchè il giudice, se lo ritenga, si avvalga dei poteri che gli conferisce in tal senso l’art. 196 c.c., ma l’esercizio di tali poteri (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità.

Quanto, infine, alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., essa può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).

Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2017

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