Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23254 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/10/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 23/10/2020), n.23254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14132/2015 proposto da:

E.M.R., rappresentata e difesa dall’avv. Bonadeo

Roberta, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Luigi Calamatta

n. 16, presso l’avv. Paparo Roberta;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

cui è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

e

Agenzia delle entrate, direzione provinciale di Vicenza, in persona

del direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1922/24/14 della Commissione tributaria

regionale del Veneto, pronunciata in data 12 novembre 2014,

depositata in data 24 novembre 2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 17 luglio

2020 dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

E.M.R. ricorre con un unico motivo avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 1922/24/14 della Commissione tributaria regionale del Veneto (di seguito C.t.r), pronunciata in data 12 novembre 2014, depositata in data 24 novembre 2014 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’Ufficio, in controversia concernente l’impugnazione della cartella di pagamento notificata a seguito della sentenza della C.t.p. di Vicenza, che aveva parzialmente annullato gli avvisi di accertamento, con i quali l’amministrazione finanziaria, ai fini Irpef, aveva determinato sinteticamente, per gli anni di imposta 2003 e 2004, il maggior reddito della contribuente, a seguito dei finanziamenti effettuati da quest’ultima in favore delle società Vesuvio s.a.s. e Nuova Expopell s.a.s.;

con la sentenza impugnata, la C.t.r riteneva che la cartella di pagamento fosse stata legittimamente emessa, a seguito della riduzione dell’importo dovuto, e che fosse adeguatamente motivata, con riferimento agli originari avvisi di accertamento ed alla sentenza che disponeva il ricalcolo dell’imposta accertata;

a seguito del ricorso l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 17 luglio 2020;

la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con l’unico motivo, la ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, per omessa o apparente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè l’omesso esame di fatti controversi e decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe erroneamente ritenuto che la cartella oggetto di impugnazione era adeguatamente motivata, con il semplice riferimento ai 2/3 dell’accertato, a seguito della sentenza della C.t.p. di Vicenza, che aveva parzialmente annullato gli originari avvisi di accertamento, nonostante non vi fosse certezza sull’entità delle somme dovute, nè la cartella precisasse i criteri di calcolo adottati;

il motivo è infondato e va rigettato;

nel caso di specie, la cartella reca il ruolo esecutivo del 9/11/2011, indicando, quale fonte della pretesa tributaria, la sentenza n. 106/02/2009 della C.t.p. di Vicenza, che aveva parzialmente annullato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della contribuente;

la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8537, depositata il 31 marzo 2017, intervenendo in tema di motivazione dell’atto di intimazione, ha affermato che è sufficiente e valida l’intimazione di pagamento che richiama sinteticamente, “la sentenza non definitiva della Commissione tributaria” e “l’avviso di accertamento impugnato in quel giudizio”;

tale criterio può essere invocato anche per la motivazione della cartella di pagamento, che reca le somme dovute in pendenza di giudizio, con la decurtazione di legge, nei limiti di quanto riconosciuto come dovuto dal giudice di primo grado;

la funzione dell’obbligo motivazionale, alla preservazione in capo al contribuente del diritto di difesa e di contraddittorio sul fondamento della pretesa fiscale, è assolta dalla motivazione della cartella, che contenga la determinazione del quantum dovuto ed il riferimento alla sentenza, non definitiva, resa inter partes dalla Commissione tributaria provinciale ed all’avviso di accertamento in quel giudizio impugnato, nel quale il contribuente ha potuto contestare i presupposti della riscossione e, nel merito, la stessa debenza delle imposte e delle sanzioni;

come rilevato dal giudice di appello, l’iscrizione a ruolo di cui alla cartella impugnata, stante il richiamo espresso ad un previo accertamento impugnato ed alla pronuncia giudiziale, non ancora definitiva, che lo ha parzialmente confermato, costituisce un semplice atto di riscossione (Cass. ord. 7666/2015), cosicchè la stessa cartella di pagamento deve considerarsi adeguatamente motivata a mezzo dell’indicazione del titolo da cui la pretesa si origina, titolo che è appunto l’atto impositivo originario, come parzialmente annullato dal giudice tributario;

solo “nel caso in cui la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 28276 del 18/12/2013);

l’indicazione nella cartella di pagamento degli estremi degli atti costituenti il presupposto della stessa, ossia dell’avviso di accertamento notificato alla contribuente e della sentenza di secondo grado, passata in giudicato, emessa all’esito dell’impugnazione dell’avviso medesimo, consentendo di individuare agevolmente e senza possibilità di errore tali atti, soddisfa l’esigenza del contribuente di controllare la legittimità della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti (cfr. Cass. 18 gennaio 2018, n. 1111, e Cass. 25 maggio 2011, n. 11466, secondo cui, al fine del soddisfacimento di tale esigenza, non è indispensabile neanche l’indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica degli atti su cui la riscossione si fonda laddove siano indicate circostanze univoche ai fini dell’individuazione di tali atti);

come questa Corte ha avuto modo di chiarire, “la cartella esattoriale fondata su una sentenza passata in giudicato deve essere motivata nella parte in cui mediante la stessa venga anche richiesto per la prima volta il pagamento di crediti diversi da quelli oggetto dell’atto impositivo oggetto del giudizio, come quelli afferenti gli interessi per i quali deve essere indicato, pertanto, il criterio di calcolo seguito” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 21851 del 07/09/2018; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8651 del 09/04/2009; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15554 del 22/06/2017);

nel caso di specie, il ricorso si palesa infondato, in quanto la ricorrente si duole della mancata motivazione, nella cartella di pagamento, delle somme dovute e titolo di imposte e sanzioni, determinate con riferimento all’avviso di accertamento posto a base della pretesa impositiva ed alla sentenza di parziale annullamento dello stesso, contestando solo in memoria, in maniera del tutto generica, la mancata indicazione dei criteri di determinazione degli interessi;

pertanto, il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di parte controricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore di parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13d, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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