Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23254 del 15/11/2016

Cassazione civile sez. II, 15/11/2016, (ud. 27/09/2016, dep. 15/11/2016), n.23254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13028/2014 proposto da:

C.F.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE XXI APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI

BATTISTA POLICASTRI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, (OMISSIS), ED

ISPETTORATO CENTRALE PER IL CONTROLLO DELLA QUALITA’ DEI PRODOTTI

AGROALIMENTARI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende OPE LEGIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1666/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato Policastri Giovanni Battista, difensore del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in opposizione C.F.N. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione del 19 dicembre 2006, recante il n. 247, con cui gli era stata comminata una sanzione pecuniaria per la somma di Euro 19.948,00. Tale provvedimento era stato pronunciato per il concorso nell’indebita percezione di contributi comunitari concessi a G.G. per interventi di miglioramento boschivo. Posto che in sede di verifica era risultato che l’estensione del terreno interessata agli interventi era inferiore a quella dichiarata e che la recinzione da porre in opera non era stata ancora realizzata, era addebitato a C. di aver trasmesso l’elenco di liquidazione dei lavori ammessi al finanziamento senza che fosse stato prima attuato il prescritto collaudo finale degli interventi.

Nella resistenza del Ministero il Tribunale di Catanzaro accoglieva l’opposizione e annullava l’ordinanza ingiunzione opposta.

L’opponente proponeva appello e il Ministero si costituiva anche in fase di gravame.

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 21 novembre 2013, accoglieva l’impugnazione.

Contro quest’ultima pronuncia ha proposto ricorso per cassazione C.F.N., il quale ha fatto valere tre motivi di impugnazione illustrati da memoria. Resiste con controricorso il Ministero delle politiche agricole e forestali, costituitosi a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., per non avere la Corte di merito ritenuto, con la sentenza impugnata, che la fattispecie sottoposta al proprio vaglio era coperta dal giudicato formatosi con riguardo a sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro; lo stesso motivo lamenta inoltre insufficiente e contraddittoria motivazione della pronuncia impugnata, nonchè violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., comma 6. Espone il ricorrente che nell’atto introduttivo del giudizio di appello aveva evidenziato che il Ministero aveva notificato ad esso ricorrente altre ordinanze-ingiunzioni con riferimento a finanziamenti percepiti da distinti soggetti indicati nel medesimo elenco inviato all’Agea per la liquidazione dell’importo da erogarsi a titolo di contributo. In particolare, era stato richiamato il provvedimento sanzionatorio emesso con riferimento alla sovvenzione percepita da tale P.F.A., il quale si basava sulla contestazione, al ricorrente, del concorso nella medesima violazione della L. n. 898 del 1986, art. 2, che costituiva oggetto del presente giudizio: concorso che, secondo l’Amministrazione, si sarebbe attuato attraverso la trasmissione all’Agea del nominato elenco. Nel detto diverso giudizio il Tribunale di Catanzaro aveva accolto l’opposizione, dichiarando insussistente la prova dell’elemento soggettivo dell’illecito in capo a C., e la sentenza non era stata impugnata, passando così in giudicato. Il giudicato si era del resto formato con riferimento ad altra sanzione emessa nella medesima vicenda: nell’occasione il Tribunale di Catanzaro, con sentenza n. 150/2013, aveva parimenti rilevato come non fosse stata riscontrata, in capo a C., la coscienza e volontà di concorrere nell’illecito. Il ricorrente chiede quindi a questa Corte di enunciare il principio di diritto per cui allorquando il presupposto di distinti provvedimenti ingiunzionali (costituito nella fattispecie nella consapevolezza e volontà di porre in essere la condotta contestata) sia definitivamente escluso con sentenza passata in giudicato, tale pronuncia estende i propri effetti su tutti gli atti che presumono il medesimo comportamento.

Occorre premettere che la fattispecie oggetto del giudizio è regolamentata dal D.M. n. 494 del 1998, che ha dato attuazione al reg. (CEE) n. 2080/92 in materia di gestione, pagamenti, controlli e decadenze dell’erogazione di contributi per l’esecuzione di rimboschimenti o miglioramenti boschivi.

Prevede l’art. 5, comma 3 del cit. Decreto l’esecuzione di accertamenti “finali” aventi ad oggetto tutte le domande ammesse all’aiuto in relazione alle quali siano stati realizzati gli interventi autorizzati nella fase istruttoria: tali accertamenti sono condizione per la liquidazione del contributo. Per accertamento finale dell’avvenuta esecuzione dei lavori di rimboschimento e di miglioramento – spiega dell’art. 5, comma 1 – si intende l’accertamento svolto dagli uffici regionali competenti, mediante sopralluoghi, al termine dei lavori, avente ad oggetto l’esecuzione degli interventi e la loro conformità qualitativa e quantitativa agli impegni assunti in domanda e ammessi in sede istruttoria.

L’art. 6, comma 1 D.M. cit., dispone poi che sulla base di quanto verificato in sede di accertamento finale, i beneficiari vengano inseriti negli elenchi di liquidazione per gli importi effettivamente dovuti. In base al comma 4 del detto art. 6, qualora la superficie rimboschita e migliorata sia inferiore a quella ammessa, l’aiuto viene concesso e liquidato solo nei limiti di quanto accertato.

Risulta quindi dal D.M. n. 494 del 1998, che l’erogazione della sovvenzione è condizionata all’accertamento finale in loco, a seguito del quale l’organo competente provvede alla formazione dell’elenco.

Tanto detto, va anzitutto rilevato che il giudicato che si sarebbe formato con la sentenza n. 150/2013 del Tribunale di Catanzaro non risulta documentato. Il ricorrente non ha prodotto copia integrale della sentenza resa dal Tribunale di Catanzaro munita della certificazione relativa al passaggio in giudicato. Ciò determina l’inammissibilità della censura riferita alla nominata pronuncia. Infatti, affinchè il giudicato esterno possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale deve essere provata attraverso la produzione della sentenza con il relativo attestato di cancelleria (Cass. 8 maggio 2009, n. 10623; Cass. 19 settembre 2013, n. 21469).

Per il resto (avendo cioè riguardo alla sentenza n. 648/2008, prodotta unitamente alla pertinente attestazione della cancelleria), occorre riconoscere il buon fondamento di quanto affermato dalla Corte di appello circa l’insussistenza di una interferenza della detta sentenza col presente giudizio. E’ certo pacifico che tale pronuncia concerna l’erogazione di sovvenzione comunitaria attuatasi a seguito dell’inoltro all’Agea del medesimo elenco contenente il nominativo di G.: in particolare è incontestato che C. provvide a inviare il suddetto elenco in cui figuravano sia G., sia P.F.A. (nel concorso del cui illecito si è dibattuto nel diverso giudizio conclusosi con la sentenza resa dal Tribunale di Catanzaro), senza che si fosse prima proceduto al collaudo degli interventi eseguiti dai detti soggetti. Ma il fatto che G. e P. figurassero nel medesimo elenco inviato all’Agea non vale a postulare che l’accertamento compiuto con riferimento ad una delle suddette posizioni valga anche per l’altra: e cioè che C., in quanto ritenuto non responsabile per il concorso nell’illecito addebitato a P.F.A., debba esserlo anche per l’illecito ascritto a G.. Vengono infatti in questione diverse ordinanze-ingiunzioni, ciascuna delle quali è fondata sul concorso di C. in un distinto, autonomo, illecito amministrativo. La considerazione vale anche per l’elemento soggettivo, dal momento che, essendo plurime le violazioni contestate, ancorchè poste in essere con un unico atto, l’accertamento compiuto con riguardo a una di esse non implica alcunchè con riguardo alle altre, essendo certamente ipotizzabile un diverso atteggiarsi della sfera cognitiva e volitiva dell’incolpato con riferimento alle diverse fattispecie di illecito che gli sono state addebitate. Ne discende che le fattispecie oggetto dei due giudizi sono accomunate dalla sola circostanza che C. provvide a inserire i nominativi dei due richiedenti nel medesimo elenco, mentre la condotta consistente nell’omissione dei doverosi controlli quanto all’effettuazione dell’accertamento circa gli interventi che dovevano essere posti in essere da G. è elemento costitutivo estraneo all’accertamento compiuto dal Tribunale di Catanzaro nella sentenza che si deduce essere passata in giudicato (la quale si occupò della diversa vicenda che interessava P.F.A.).

Non è nemmeno configurabile il vizio di omessa motivazione in ordine al dedotto giudicato: vizio che parrebbe prospettato attraverso la denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., comma 6. Deve rilevarsi, in proposito, che il giudicato (ove esistente) va assimilato agli elementi normativi, con riferimento ai quali non è deducibile una censura siffatta (per tutte: Cass. S.U. 25 novembre 2008, n. 28054).

Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 1, 3 e 5. La corte di merito aveva impropriamente ritenuto che l’elemento psicologico del concorso potesse ravvisarsi dal solo fatto che l’agente avesse presuntivamente violato una norma regolamentare che governa la fattispecie, senza alcuna prova di un consilium fraudis con il percettore delle somme. La stessa corte aveva infatti accertato che il ricorrente aveva quantomeno accettato il rischio del verificarsi dell’illecito sanzionato dalla norma, ma non aveva considerato che la responsabilità solidale negli illeciti amministrativi deve essere oggetto di specifica prova da parte dell’amministrazione intimante della consapevolezza, in capo all’incolpato, del collegamento finalistico dei vari atti, ovvero della coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito. Inoltre, in base a quanto stabilito dalla Delib. Giunta Regionale 27 luglio 1999, n. 2999 e secondo le “prescrizioni e norme di carattere generale” adottate dalla Regione Calabria, era prevista la possibilità che l’impresa richiedente il contributo ottenesse la liquidazione delle somme prima del collaudo, salvo, nell’ipotesi di successivo rispetto accertamento di difformità delle opere al progetto, la facoltà, da parte dell’Amministrazione, di ottenere la restituzione delle somme erogate.

Il motivo va disatteso, in quanto la questione è mal posta e il ricorrente non coglie la ratio decidendi dell’impugnata pronuncia.

Il ricorso non censura sul versante motivazionale (art. 360 c.p.c., n. 5) i passaggi argomentativi della sentenza sul tema che qui interessa. Tali passaggi sono i seguenti: a) la qualifica di dirigente dell’assessorato all’agricoltura implicava in C. la necessaria conoscenza dell’iter burocratico e amministrativo della pratica di accesso agli aiuti comunitari; b) l’inserimento del nominativo di G. nell’elenco poi trasmesso all’Agea non costituiva un evento occasionale o fortuito; c) la tempistica deifatti rendeva manifesto che il ricorrente fosse a conoscenza del fatto che l’Ispettorato provinciale dell’agricoltura non poteva aver operato l’accertamento finale all’esito del sopralluogo e del collaudo; d) quindi, poteva ritenersi provato che C., al momento in cui aveva inserito il nominativo di G. nell’elenco di liquidazione fosse pienamente consapevole dell’inesistenza del collaudo.

Da tale quadro la Corte di merito ha tratto la conseguenza che l’odierno istante avesse quantomeno accettato il rischio della percezione indebita di aiuti comunitari da parte del richiedente, avendo egli coscientemente proceduto all’inserimento di G. negli elenchi di liquidazione ben sapendo che non era stato espletato l’accertamento da parte dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, e quindi senza che fosse stato posto in atto alcun controllo circa la corrispondenza tra le opere eseguite e quelle finanziate.

Ora, è ben vero che la L. n. 689 del 1981, art. 5, in tema di concorso di persone nella commissione di illeciti amministrativi, recepisce i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo applicabile la pena pecuniaria a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato, anche se detti atti, atomisticamente considerati, possono non essere illeciti, sempre che sussista nei singoli partecipi la consapevolezza del collegamento finalistico dei vari atti, e, cioè, la coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito perseguito da tutti (Cass. 19 luglio 2001, n. 9837; Cass. 7 maggio 2002, n. 6531; Cass. 30 maggio 2002, n. 7908; cfr. pure: Cass. 13 luglio 2006, n. 15929; Cass. 4 agosto 2006, n. 17681). E’ però anche vero che a una coscienza e volontà orientate in tal senso assimilabile l’atteggiamento psicologico di chi, violando un preciso obbligo di controllo posto a suo carico, sia consapevole di rendere possibile con la propria condotta la consumazione, da parte di altri, di un illecito, di cui accetti il rischio: fattispecie, questa, riconducibile, in campo penalistico, al dolo eventuale. Competeva del resto al giudice del merito l’accertamento di fatto quanto alla indicata consapevolezza ed è insindacabile in questa sede, in quanto non censurata attraverso il vizio di motivazione, l’inferenza logica dell’accettazione del rischio (che del resto la corte di merito ha basato su di un procedimento deduttivo del tutto congruo).

Nè appare concludente l’assunto secondo cui l’assenza di colpevolezza del ricorrente dovrebbe desumersi dal fatto che la delibera della giunta calabra del 27 luglio 1999 e le non meglio precisate “prescrizioni e norme di carattere generale” consentissero di chiedere l’erogazione del contributo prima del collaudo. A prescindere da ogni ulteriore considerazione, va infatti osservato come la Corte di appello abbia ben chiarito che la citata delibera delinei un sistema di erogazione degli aiuti rigidamente subordinato al previo svolgimento dei controlli da parte degli organi competenti, avendo particolare riguardo alla fase dell’accertamento finale; quanto poi alle nominate “prescrizioni e norme di carattere generale” il giudice distrettuale ha evidenziato che le stesse non risultavano adottate da alcun organo della Regione Calabria, sicchè non poteva affermarsi che esse avessero valore normativo: affermazione, questa, che non è stata nemmeno censurata. Non si vede, dunque, come il ricorrente, che rivestiva una precisa posizione di garanzia in ordine alla concreta esecuzione delle verifiche del caso, potesse ritenersi esonerato da un obbligo di controllo, imposto da disposizioni normative vincolanti, in forza di un atto privo del nominato valore. In ciò non può non condividersi l’affermazione della Corte territoriale, la quale ha correttamente rilevato come l’istante sarebbe incorso in un error juris non scusabile ove pure le prescrizioni in esame fossero state emanate da un’autorità avente potestà regolamentare, in quanto la normativa secondaria non può derogare a quella primaria.

Il terzo motivo prospetta una violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112 e 116 c.p.c., nonchè della L. n. 689 del 1981, artt. 22, 22 bis e 23. Spettava alla pubblica amministrazione convenuta in giudizio si sostiene – fornire la prova dei presupposti di fatto per l’irrogazione della sanzione, e cioè della sussistenza della condotta integrante la violazione e della sua riferibilità all’intimato; ciò che doveva essere rigorosamente provato era stato presunto per il sol fatto che l’inserimento di G. negli elenchi di liquidazione prima del collaudo rendeva del tutto prevedibile, da parte dell’appellante, la possibilità che gli aiuti fossero erogati senza che le opere fossero state in tutto o in parte eseguite. Con ciò la Corte di appello aveva ritenuto sufficiente per la conferma del provvedimento un giudizio di semplice prevedibilità quando avrebbe dovuto ancorare la decisione a un requisito di certezza.

In realtà, la Corte di merito ha evidenziato che il collaudo non era presente agli atti della pratica e che esso, al momento dell’invio del noto elenco non poteva nemmeno esserlo, visto che G. era stato ammesso al contributo con decreto del 23 novembre 1999 e visto, inoltre, che il sovvenzionato aveva presentato all’assessorato una dichiarazione di ultimazione dei lavori appena un giorno dopo, il 24 novembre 1999, mentre l’inserimento del nominativo dello stesso G. nell’elenco inoltrato all’Agea datava 26 novembre 1999. E’ evidente, pertanto, come la condotta posta in essere dal ricorrente abbia avuto un’efficacia causale, anche solo agevolatrice, nella percezione degli aiuti comunitari: quest’ultima non avrebbe potuto infatti verificarsi se C. avesse preventivamente verificato l’esistenza del collaudo e, una volta constato che questo non era stato posto in atto, avesse mancato di inserire il nominativo di G. nell’elenco di liquidazione. Il che – deve osservarsi – vale a fondare la responsabilità dell’odierno istante per l’illecito contestatogli: infatti, anche nel campo dell’illecito amministrativo è configurabile un apporto esterno alla consumazione di esso, a condizione che ciò avvenga attraverso azioni od omissioni che, pur senza integrare la condotta tipica dell’illecito, ne rendano, però, possibile o ne agevolino la consumazione (Cass. 20 maggio 2011, n. 11160; cfr. pure Cass. 27 dicembre 2011, n. 28929). Questa Corte ha del resto sottolineato che anche nella materia dell’illecito per indebita percezione di aiuti comunitari il contributo concorsuale assuma rilevanza, e ciò sia quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile della violazione, sia quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando l’illecito, senza la condotta di agevolazione, sarebbe egualmente commesso, ma con maggiore incertezze di riuscita o difficoltà (Cass. 13 luglio 2006, n. 15929; Cass. 12 aprile 2012, n. 5811, in motivazione, proprio con riferimento ad altro illecito addebitato all’odierno ricorrente con riferimento alla riscossione delle sovvenzioni resa possibile dall’invio del noto elenco).

A fronte dell’impianto argomentativo della sentenza impugnata, che è basato su precise risultanze, la censura di cui al terzo motivo si risolve in una generica contestazione dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito: accertamento che non è evidentemente sindacabile nella presente sede.

Il ricorso va quindi rigettato, con condanna alle spese del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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