Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23250 del 05/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 05/10/2017, (ud. 07/06/2017, dep.05/10/2017),  n. 23250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19104-2013 proposto da:

V.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LEON PANCALDO 26, presso lo studio dell’avvocato SILVIA LUCARELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato IGNAZIO SEBASTIANO CASSANITI;

– ricorrente –

contro

B.M., B.C., BU.CO., domiciliati

in ROMA P.ZZA CAVOUR preso la CORTE di CASSAZIONE ex lege,

rappresentati e difesi dagli avvocati LAURA LA ROCCA TAVANA,

GIUSEPPE NASTASI;

– controricorrente –

e contro

VA.AN.RO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1224/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 26/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/06/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.

Fatto

RILEVATO

che:

– la vicenda oggetto del giudizio trae origine dall’atto pubblico in data 14.12.1995, col quale i coniugi B.C. e Bu.Co. vendettero a V.S. un appartamento sito in (OMISSIS) per il prezzo di Lire 143 milioni (di cui 130 milioni le parti dichiararono essere state pagate in contanti) e dalla coeva scrittura privata stipulata tra B.C. e Va.An.Ro., padre dell’acquirente V.S., che sottoscrisse anch’egli la scrittura, con la quale i V. si impegnarono, una volta estinto il debito che il B. aveva nei confronti del V.A., alla stipula dell’atto pubblico necessario a reintegrare il B. nella piena proprietà dell’appartamento;

– a conclusione dei giudizi di merito, la Corte di Appello di Catania confermò la sentenza di primo grado con la quale, in accoglimento delle domande proposte da B.M. e B.C. (quali eredi di B.C., nel frattempo deceduto) e da Bu.Co., fu dichiarata la nullità dell’atto di compravendita stipulato tra le parti per violazione del divieto di patto commissorio e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da V.A., fu disposta condanna degli attori a corrispondere in favore del V. la somma di Euro 29.034,35 (oltre interessi);

– avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione V.S. sulla base di tre motivi;

– Bu.Co., B.M. e B.C. hanno resistito con controricorso;

– V.A., ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva;

– il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo (col quale si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte territoriale dichiarato la nullità dell’atto pubblico, nonostante che la Bu.Co. non avesse preso parte alla controscrittura e per non avere ritenuto l’inefficacia della controscrittura e la sua inidoneità ad intaccare la validità del contratto di compravendita) è inammissibile, sia perchè il motivo non attacca la ratio decidendi della sentenza impugnata (la Corte territoriale ha spiegato che non rileva la mancata partecipazione della Bu. al patto commissorio, essendo la stessa, in quanto co-venditrice, titolare iure proprio del potere di far valere la nullità del contratto), sia perchè trattasi – nella sostanza – di censura in diritto, che non può essere fatta valere ex art. 360 c.p.c., n. 5, motivo che può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti (cfr., Cass., Sez. 3, n. 7267 del 11/05/2012; Sez. L, n. 19618 del 22/12/2003);

– il secondo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte territoriale erroneamente applicato le norme che regolano l’interpretazione dei contratti e aver ritenuto la sussistenza di un patto commissorio, piuttosto che di un patto di riscatto apposto alla compravendita) è inammissibile, sia perchè si risolve in una censura di merito relativa alla interpretazione di un negozio, la quale, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità, quando – come nella specie – non risultano violati i canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e segg. e la motivazione della sentenza impugnata è esente da errori logici e giuridici (cfr., ex multis, Cass., Sez. L, n. 17168 del 2012; Sez. 2, n. 13242 del 2010), sia perchè la sentenza impugnata risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr., Cass., Sez. 3, n. 2285 del 02/02/2006; Sez. 2, n. 8624 del 29/08/1998), che il ricorrente non ha del tutto considerato (art. 360-bis c.p.c., n. 1);

– il terzo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte territoriale ritenuto che fosse simulato il pagamento del prezzo della compravendita e per aver ammesso prova contraria alla quietanza di pagamento inserita nell’atto pubblico, costituente confessione con efficacia di prova legale) è inammissibile, in quanto, con riferimento al primo profilo (ritenuta simulazione del pagamento del prezzo e della relativa quietanza), il motivo si risolve in una censura di merito relativa all’accertamento del fatto, accertamento che è insindacabile in sede di legittimità quando – come nel caso di specie – la motivazione della sentenza impugnata non è apparente nè manifestamente illogica (cfr. Cass., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) e, con riferimento al secondo profilo (ammissione di prova contraria alla quietanza), la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata (la Corte territoriale ha spiegato che la prova della simulazione è ammessa senza limiti trattandosi di contratto in frode alla legge), che non è stata attaccata dal ricorrente;

– la memoria depositata dal difensore non offre argomenti nuovi rispetto ai motivi di ricorso, essendo meramente reiterativa degli stessi;

– il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;

– ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2017

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