Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2325 del 31/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 06/06/2016, dep.31/01/2017),  n. 2325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14075-2013 proposto da:

V.G.F. (OMISSIS), V.E.S. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DARDANELLI 46, presso lo

studio dell’avvocato STEFANO PELLEGRINO, che li rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

GE.CA.MED. SRL IN LIQUIDAZIONE, C.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1861/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato STEFANO PELLEGRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18/12/2012 la Corte d’Appello di Palermo, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Ge.Ca.Med. s.r.l. e dal sig. C.S. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Marsala 31/1/2006, ha condannato i sigg. V.G.F. e V.E.S. al pagamento di somma in loro favore, rigettando la domanda da questi ultimi in origine nei confronti dei medesimi, nella rispettiva qualità di conduttrice e di fideiussore, monitoriamente azionata di pagamento a titolo di canoni di locazione di immobile sito in (OMISSIS).

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i V. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 345 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4

Con il 2 motivo denunziano violazione dell’art. 132 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; nonchè “omesso esame” di punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso è per plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 10, n. 6, atteso che gli atti e documenti del giudizio di merito dai ricorrenti posti a base delle censure (es., all’atto di “introduzione del giudizio di primo grado” ove “la società e il C. prospettavano la funzione della dazione di denaro in parola quale garanzia della esecuzione dei lavori pag. 4 dell’atto di citazione per opposizione a decreto ingiuntivo e i successivi riferimenti contenuti nel medesimo atto”; all'”atto di citazione in appello” recante “prospettazione del tutto differente da quella fornita dal giudice di primo grado” e cioè “che detta somma sarebbe stata convenuta a garanzia “(quanto meno) del pagamento di sei mensilità di canone (se non anche dell’effettuazione dei lavori di ripristino dei locali)” (così testualmente a pag. 15 dell’atto di citazione in appello nonchè, nello stesso senso, a pag. 21)”, alla “testimonianza del signor C.G.M.”, alla “testimonianza del Dott. T.”, alla “data riportata sugli assegni” risultano meramente richiamati e non anche (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) debitamente riportati nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Senza sottacersi, con particolare riferimento al 2 motivo, che vengono invero sostanzialmente censurate le emergenze processuali senza che risulti nemmeno formulata censura relativamente agli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; e che il denunziato vizio di motivazione è inammissibile, atteso che alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione temporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione concerne solamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non già i vizi degli odierni ricorrenti viceversa denunziati di omessa, contraddittoria e insufficiente o illogica motivazione su questioni decisive della controversia, e a fortiori di omesso o illogico o superficiale esame di determinate emergenze probatorie, essendo invero sufficiente che come nella specie il fatto sia stato esaminato, non essendo il giudice di merito tenuto a dare necessariamente conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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