Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2325 del 03/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2325 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 12177-2008 proposto da:
SIER IMMOBILIARE S.N.C. DI CORRADO E MASSIMO MAVERI
& C. IN LIQUIDAZIONE (P.I. 00751170150), in persona
del Liquidatore pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 03/02/2014

domiciliata in ROMA, Via PACUVIO 34, presso
l’avvocato ROMANELLI GUIDO, che la rappresenta e
2013
1986

difende unitamente all’avvocato PERRONE BENITO,
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

1

SANGALLI DOMENICO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 2998/2007 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella

Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato ROMANELLI
GUIDO che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per il rigetto del ricorso previa
correzione della motivazione della sentenza (n.
6070/13 SS.UU.).

pubblica udienza del 11/12/2013 dal Consigliere

2

Rilevato

che la

SIER immobiliare snc di Corrado e

Massimo Maveri & C., con appello notificato il 15 ottobre
2004 ha impugnato la sentenza del Tribunale di Milano che
ha revocato il decreto ingiuntivo rilasciato in favore
della detta società contro il signor Domenico Sangalli;

che quest’ultimo, nel costituirsi nel giudizio di appello
ha eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione, per
essere stata proposta da una persona giuridica non più
esistente anziché dal successore universale;
che

la

Corte

territoriale,

riconosciuto

che

l’impugnazione era stata proposta «svariati mesi dopo
l’estinzione del soggetto che figurava averla
formulata», ha affermato che si era determinata anche
l’estinzione del mandato difensivo, rilasciato in calce
al decreto ingiuntivo, nel febbraio 2000, e che,
pertanto, l’attuale giudizio, introdotto mediante atto di
citazione nullo, per mancanza di procura, era ed andava
dichiarato conseguentemente nullo;
che avverso tale decisione insorge la società immobiliare
ponendo, con l’unico motivo di doglianza del ricorso per
cassazione, il seguente quesito di diritto: dica la
Corte se la norma di cui all’art. 2495, co. 2, c.c.,
dettata in materia di società di capitali, ne rende
legittima l’applicazione anche alle società di persone,
con la conseguenza che la cancellazione dal registro
3

delle imprese determina l’estinzione della società (e del
mandato difensivo anteriormente conferito);
che,

in prossimità dell’udienza,

depositato,

ai sensi dell’art.

la ricorrente ha
378 c.p.c., memoria

Considerato

contenente note illustrative.
che il quesito posto alla Corte è stato

risolto dalle Sezioni Unite civili con l’arresto n. 6070
del 2013 ov’è già stata data risposta affermativa ed
affermato il principio di diritto secondo cui, dopo la
riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6
del 2003, la cancellazione dal registro delle imprese
estingue anche la società di persone, sebbene non tutti i
rapporti giuridici ad essa facenti capo siano stati
definiti. Pertanto, la prova contraria, idonea a superare
l’effetto di pubblicità dichiarativa che l’iscrizione
della cancellazione spiega per la società di persone, non
può vertere sul fatto statico della pendenza di rapporti
sociali non definiti, occorrendo, viceversa, la prova del
fatto dinamico della continuazione dell’operatività
sociale dopo l’avvenuta cancellazione, la quale soltanto
giustifica, ai sensi dell’art. 2191 cod. civ., la
cancellazione della cancellazione, cui consegue la
presunzione che la società non abbia mai cessato di
esistere;

4

che da tale principio consegue, in linea generale (v.
Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8596 del 2013), il corollario a
tenore del quale deve ritenersi inammissibile – per
carenza di capacità processuale ex art. 75, terzo comma,
cod. proc. civ. – il ricorso per cassazione proposto da

(il liquidatore di) una società che sia stata cancellata
dal registro delle imprese in epoca posteriore alla data
suddetta, difettando la stessa di legittimazione
sostanziale e processuale, trasferitasi automaticamente
ai soci ex art. 110 cod. proc. civ., sia stato dichiarato
o no l’evento interruttivo, nel processo in corso, dal
difensore della società;
che, nel caso di specie, a nulla vale il fatto che il
mandato alle liti per la celebrazione del giudizio di
secondo grado (come osserva nella memoria illustrativa la
ricorrente) sia stato conferito al difensore da uno dei
soci della società ricorrente (nella specie, il socio
amministratore che come tale è anche successore nel
rapporto sostanziale fatto valere) perché tale socio
possa ottenere, in questa sede, con una sorta di
conversione soggettiva degli atti di impugnazione
proposti, il riconoscimento del proprio diritto alla
(nuova) trattazione del giudizio di appello, atteso che
fin dal momento in cui l’impugnazione era stata proposta,
al contrario di quanto affermato dalla Corte territoriale
5

con la sentenza in questa sede impugnata, egli sarebbe
stato il successore a titolo universale dei rapporti
giuridici facenti capo alla società (nella specie il
credito fatto valere con il decreto ingiuntivo);
che, infatti, in disparte

il principio secondo cui

l’evento interruttivo del processo, determinatosi in
ragione dell’estinzione della società dante causa, deve
essere legalmente dichiarato dal giudice del giudizio e
quindi portato a conoscenza dei suoi destinatari (cfr.
Cass. Sez. L, Sentenza n. 5650 del 2013), affinché il
giudizio venga proseguito o riassunto nel termine di
legge, resta il fatto che il conferimento della procura
alle liti per il giudizio d’appello è stata effettuato
dalla società estinta (sia pure per il tramite di quella
persona fisica che ne era già diventato,
inconsapevolmente, uno dei suoi successori) e perciò da
un soggetto non più esistente e, pertanto, privo di
capacità processuale, così come ancora erroneamente viene
richiesto ancor oggi con la proposizione dell’odierno
ricorso ancora da parte del soggetto estintosi e non già,
com’era necessario, dai suoi successori, quand’anche
soltanto per far valere il loro diritto alla celebrazione
di quel giudizio, previa rituale declaratoria
d’interruzione del processo;

6

che, pertanto, il ricorso per cassazione, proposto da
tale soggetto, è inammissibile;
che non occorre provvedere sulle spese di questa fase,
non avendo svolto l’intimato alcuna attività difensiva.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della l
sezione civile della Corte di cassazione, il 11 dicembre
2013, dai magistrati sopra indicati.

PQM

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