Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23247 del 15/11/2016

Cassazione civile sez. II, 15/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 15/11/2016), n.23247

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6983-2012 proposto da:

GERMANA SAS, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO, 56 4 P.

INT., presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BONACCIO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ALDO VALENTINI, GIANFABIO

BRANDI;

– ricorrente –

contro

R.A. O A., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

e contro

COMUNE NOVAFELTRIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 885/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 05/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato VALENTINI Aldo, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità ex

art. 372 c.p.c.; rigetto del ricorso, condanna spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 Con atto 27.5.2004 G.F., + ALTRI OMESSI

L’ente territoriale si costituì sollevando preliminarmente l’eccezione di difetto di giurisdizione e nel merito si oppose alla domanda, ritenendo operante la presunzione di cui al “R.D. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 22” e l’appartenenza del bene al demanio stradale comunale, in considerazione dell’utilizzo ab immemorabile da parte della collettività.

Nel giudizio intervenne volontariamente la Società Germana sas, proprietaria di un immobile confinante con la piazza ed avente unico accesso dalla stessa, deducendo anch’essa il difetto di giurisdizione per la presunzione di demanialità delle piazze L. n. 1865, all. F., ex art. 22, comma 3; invocò il principio del ne bis in idem con riferimento ad una sentenza pretorile del 1993 che aveva riconosciuto la natura pubblica ella piazza e nel merito chiese il rigetto della domanda.

2 All’esito del giudizio di primo grado – nel corso del quale si costituirono gli eredi del G., frattanto deceduto – il Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 564/08, accolse la domanda e la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 885/2011 depositata il 5.11.2011, nella contumacia del Comune di Novafeltria, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dalla società Germana Sas ritenendo fondata la relativa eccezione sollevata dagli appellati.

Per giungere a tale soluzione la Corte territoriale ha considerato che la parte adiuvata (cioè il Comune) non aveva appellato, mentre la società Germana sas – che in primo grado aveva spiegato intervento adesivo dipendente – non aveva dedotto motivi riguardanti l’intervento o la qualificazione dello stesso. La Corte di merito ha quindi applicato il principio di diritto secondo cui in tali casi va esclusa la legittimazione dell’interventore a proporre impugnazione.

3 Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società Germana sas con tre motivi a cui resistono con controricorso gli eredi G. e gli altri appellati + ALTRI OMESSI

La difesa della ricorrente ha depositato documentazione successivamente, memoria ex art. 378 c.p.c.. Anche controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Premessa l’inammissibilità del deposito del documento (articolo di stampa) parte della ricorrente, perchè in violazione dell’art. 372 c.p.c. (che limita tale produzione esclusivamente ai documenti riguardanti la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso), rileva il Collegio che con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100, 105, 267 e 323 c.p.c. nonchè il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo della controversia. In particolare, osserva che contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello l’intervento era da considerarsi autonomo e non dipendente, perchè, secondo un principio generale di diritto, costantemente affermato dalla giurisprudenza, in tema di servitù di uso pubblico sussiste la legittimazione attiva e passiva di ogni utente il quale legittimato non solo per far valere quel diritto, ma anche per resistere a chi contesti, anche nei suoi confronti, l’uso pubblico.

1.2 Col secondo motivo si denunziamo gli stessi vizi sotto un ulteriore profilo: dopo avere ribadito che la propria posizione è distinta e autonoma rispetto a quella del Comune, la ricorrente osserva che la Corte d’Appello non si è pronunciata sul difetto di giurisdizione e sulla improcedibilità della domanda per violazione del ne bis idem, ed evidenzia, attraverso una ampia elencazione, che dagli atti del processo emergeva con certezza il carattere pubblico della piazza. Sottolinea il proprio interesse diretto nella vicenda, quale titolare di autorizzazione al passo carraio per accedere al fabbricato di sua proprietà attraverso l’unico accesso che sbuca appunto sulla piazza di cui si discute. Rimprovera quindi alla Corte di Appello di non avere speso una sola parola per identificare la propria posizione processuale e per verificare se essa ricorrente potesse considerarsi fruitore del diritto di usare della servitù quale membro della collettività.

1.3 Col terzo ed ultimo motivo si denunzia violazione dell’art. 91 c.p.c. e ancora il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo della controversia.

Ad avviso della ricorrente, ulteriore conferma del diritto ad appellare la sentenza si rinviene nella sfavorevole pronuncia sulle spese.

2 I motivi – che ben si prestano a trattazione unitaria – sono privi di fondamento.

Come più volte affermato da questa Corte, anche a sezioni unite, l’interventore adesivo non ha un’autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell’intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicchè la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole; inoltre, esso non vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione di affermazioni pregiudizievoli contenute nella sentenza favorevole, qualora svolte in via incidentale e sprovviste della forza vincolante del giudicato (Sez. U, Sentenza n. 5992 del 17/04/2012 Rv. 622259; Sez. L, Sentenza n. 16930 del 08/07/2013 Rv. 627053).

La Corte Costituzionale, a sua volta – nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 105, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. ha precisato come “il legislatore abbia voluto nettamente differenziare l’ipotesi di colui che interviene nel processo per far valere un proprio diritto nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse, cui al comma 1, da quella, prevista nel comma 2, di chi interviene per aderire, in forza di un proprio interesse, alla domanda di una parte. Mentre l’intervento svolto per la tutela di un diritto determina un ampliamento oggettivo, oltre che soggettivo, della lite, poichè con esso si introduce una nuova domanda, che comunque modifica il thema decidendum fissato dalle parti originarie, l’intervento diretto alla tutela di un interesse comporta invece un ampliamento solo soggettivo del processo, in quanto l’interventore adesivo dipendente si limita a sostenere le ragioni di una parte, senza dedurre un proprio diritto.

La diversità ontologica degli istituti posti a tutela delle diverse situazioni giuridiche rappresentate dalle parti intervenienti costituisce il fondamento del consolidato orientamento giurisprudenziale, che riconosce poteri processuali diversi alle dette parti; l’interventore principale può infatti esercitare tutti i poteri propri delle parti originarie, così come, del resto, gli sarebbe consentito, qualora facesse valere il proprio diritto in un autonomo e separato giudizio, mentre il terzo che decide di intervenire nel processo soltanto per sostenere le ragioni altrui, quando vi abbia interesse, non può che assumere una posizione subordinata rispetto a quella dell’adiuvato, le cui vicende processuali egli ha anticipatamente accettato di condividere. Onde è del tutto ragionevole la preclusione del potere di impugnazione rispetto all’interventore adesivo dipendente, quando l’adiuvato abbia rinunciato ad impugnare o abbia prestato acquiescenza alla sentenza, poichè il terzo intervenuto ad adiuvandum non ha poteri dispositivi sulla lite, la cui decisione solo in via mediata può produrre effetti giuridici sulla sua posizione sostanziale”.

Secondo la Corte Costituzionale “deve escludersi che la norma in esame, come interpretata dalla giurisprudenza, si ponga in contrasto con i dedotti parametri costituzionali, in quanto, se la parte assume effettivamente la veste di interventore adesivo dipendente, scegliendo di partecipare al processo in posizione subordinata a quella dell’adiuvato e di espletare un’attività accessoria, non può dolersi del mancato riconoscimento di poteri non esercitati dall’adiuvato, mentre qualora la parte, pur dichiarando di intervenire adesivamente, deduca però una autonoma pretesa di diritto, non può non riconoscersi ad essa un potere di impugnazione, affatto indipendente da quello delle altre parti.

All’interventore adesivo dipendente, piuttosto, la giurisprudenza riconosce un potere autonomo di impugnazione, nell’ipotesi in cui la sentenza contenga provvedimenti che incidono in modo diretto ed immediato nella sfera giuridica del medesimo; trattasi di un’applicazione del fondamentale principio dell’interesse ad agire e più specificamente dell’interesse ad impugnare, in forza del quale l’ammissibilità del gravame è in stretta correlazione alla soccombenza, sì che ove l’interventore adesivo dipendente abbia subito un concreto pregiudizio, per effetto di statuizioni contenute nella sentenza, che su di lui incidano direttamente e sfavorevolmente, egli è certamente legittimato a proporre impugnazione, a differenza di colui che non vede respingere una propria pretesa di diritto e che solo indirettamente è pregiudicato dalla pronuncia, contro la quale non può quindi avere alcuna potestà” (v. Corte Cost. sentenza n. 544/1997).

Nel caso in esame, dall’atto di intervento nel giudizio di primo grado (che la Corte di Cassazione è certamente abilitata a esaminare per la natura procedurale del vizio denunziato) si evince che la società non aveva proposto nessuna autonoma domanda: con l’atto di intervento “ad adiuvandum”,la Germana sas si era limitata infatti a dedurre di essere proprietaria di un fabbricato con accesso attraverso detta piazza, precisando di costituirsi “ad adiuvandum la posizione giuridica del Comune di Novafeltria per contestare siccome temeraria ed infondata nonchè inammissibile la domanda attrice e per chiederne il rigetto”. Aveva quindi eccepito anch’essa il difetto di giurisdizione (come peraltro già aveva fatto il Comune con la sua comparsa di costituzione) ed aveva esposto una serie di circostanze di fatto (in ordine alle caratteristiche della piazza, all’utilizzo e alle attività di manutenzione) richiamando una precedente pronuncia del Pretore, a suo dire costituente giudicato.

Ebbene, sulla scorta di quanto specificamente dedotto con l’atto di intervento, appare evidente che il thema decidendum, non ha subito nessuna variazione rispetto a quello originariamente delineato dalle difese degli attori e del convenuto ente territoriale.

Certamente vero che la servitù di uso pubblico caratterizzata dall’utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone di un bene il quale sia idoneo al soddisfacimento di un interesse collettivo che la legittimazione ad agire resistere a colui che contesti l’uso pubblico) per la tutela del diritto spetta non soltanto all’ente territoriale che rappresenta la collettività, normalmente il Comune, che è titolare della servitù ma anche a ciascun cittadino appartenente alla collettività uti singulus (v. Sez. 2, Sentenza n. 333 del 10/01/2011 Rv. 615693; v. altresì Cass. 8653/1996; 4284/1987; 2183/1974); ma è altrettanto vero che la legittirrazione della società Germana ad intervenire nel giudizio di primo grado non è mai stata mai posta in discussione da nessuno (ed infatti l’intervento non è stato dichiarato inammissibile dal primo giudice nè rigettato per ragioni attinenti alla legittimazione).

Ciò che rileva invece è il fatto che la società non ha avanzato autonome domande nei confronti degli attori, ma ha semplicemente sostenuto la tesi del Comune sulla natura pubblica della piazza, e l’interesse a conservare il diritto di passaggio sulla piazza solo mediato e non viene immediatamente pregiudicato dalla decisione sulla cessazione delle molestie, che fa stato solo nei confronti del Comune, unico destinatario del relativo ordine. Insomma, per usare le stesse parole della Corte Costituzionale (v. sentenza 544/1997 cit.) l’interventore non ha visto “respingere una propria pretesa di diritto” e quindi “solo indirettamente è pregiudicato dalla pronuncia” del Tribunale che aveva affermato “l’inesistenza di servitù di uso pubblico a favore del Comune” e ordinato – lo si ripete – solo al Comune di cessare molestie e turbative a danno degli attori.

In definitiva, il giudicato formatosi sulla statuizione di primo grado nei confronti del Comune (che non ha appellato la sentenza) pregiudica solo indirettamente la società Germana che invece, ben avrebbe potuto promuovere un autonomo giudizio a tutela della dedotta servitù di uso pubblico oppure avanzare, in sede di intervento, autonome domande, ma non ha ritenuto di farlo.

Sulla scorta di quanto esposto e considerato che la società non ha neppure proposto un motivo di impugnazione sulla condanna. alle spese, perde di consistenza anche il terzo motivo di ricorso.

In conclusione, non merita nessuna censura la sentenza impugnata che, in linea con la giurisprudenza di legittimità e con i principi affermati dalla Corte Costituzionale, ha escluso la legittimazione all’impugnazione della società.

Il ricorso va pertanto respinto con addebito di spese alla ricorrente.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidandole in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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