Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23246 del 05/10/2017
Cassazione civile, sez. II, 05/10/2017, (ud. 06/04/2017, dep.05/10/2017), n. 23246
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6696-2013 proposto da:
S.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
GOTTARDO 21, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CARINI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNA RANGO;
– ricorrente –
contro
S.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 257/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 24/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/04/2017 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 11625 del 2006, accolse la domanda proposta da S.L. nei confronti del padre S.E. limitatamente all’accertamento dell’obbligo del predetto genitore di trasferirle, alla scadenza prevista nella scrittura privata 8 luglio 1996, la nuda proprietà dell’immobile sito in (OMISSIS).
2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 24 gennaio 2012, ha rigettato l’appello principale proposto da S.E. e dichiarato inammissibile l’appello incidentale di S.L..
2.1. Per quanto ancora di rilievo in questa sede, la Corte territoriale ha confermato la natura confessoria della dichiarazione contenuta nella scrittura privata in data 8 luglio 1996, in cui S.E. aveva riconosciuto di avere ricevuto dalla figlia L., a titolo gratuito, l’intera somma corrispondente al prezzo dell’immobile ed il collegamento tra la dazione di danaro ed assunto l’obbligo di trasferire la nuda proprietà dell’immobile decorsi dieci anni dall’acquisto.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.E., sulla base di un motivo. Non ha svolto difese S.L..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Con l’unico motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1888 e 2732 c.c., art. 1362 c.c. e ss. nonchè vizio di motivazione, e si contesta, anche sotto il profilo dell’applicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, la ritenuta natura confessoria della ricognizione di debito di cui al documento sottoscritto in data 8 luglio 1996, lamentando, di conseguenza, la mancata ammissione delle prove dedotte per dimostrare che quella ricognizione di debito era senza causa.
Il ricorrente assume che la dichiarazione, priva di contenuto confessorio in quanto mancava il pregiudizio per il dichiarante e il corrispondente vantaggio per il destinatario della dichiarazione, conteneva una promessa di pagamento titolata, e quindi era possibile dimostrare l’inesistenza del rapporto sottostante.
2. La doglianza è infondata.
2.1. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito da tempo che se, in linea di principio, si deve escludere la natura confessoria di una promessa di pagamento anche se titolata, poichè, consistendo essa in una dichiarazione di volontà intesa ad impegnare il promittente all’adempimento della prestazione oggetto della promessa, non può confondersi con la confessione, la quale consiste nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante, ed ha perciò il contenuto di una dichiarazione di scienza, tuttavia è possibile che, nel contesto di un unico documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista la dichiarazione di fatti storici dai quali scaturisce il rapporto fondamentale.
Ferma restando, quindi, la distinzione concettuale e sostanziale delle figure, non si può escludere che, nell’ambito dello stesso documento, una promessa di pagamento (o una ricognizione di debito) coesista con una confessione di fatti pertinenti al rapporto fondamentale, e qualora ciò risulti, poichè la confessione (in ipotesi concernente l’esistenza del credito) ha valore di prova legale, sarà preclusa la prova contraria al sensi dell’art. 1988 c.c. (sull’inesistenza o sull’estinzione della prestazione promessa), salva la eventuale revoca della confessione per errore di fatto o violenza (ex multis, Cass. 13/01/1997, n. 259; più di recente, Cass. 31/07/2012, n. 13689).
2.2. Nel caso in esame la Corte d’appello ha valorizzato, con valutazione immune da vizi logico-giuridici, la coesistenza, nel medesimo documento, dell’impegno (volontà negoziale) assunto dal sig. S. di trasferire la nuda proprietà dell’immobile alla figlia L., e della dichiarazione resa dal medesimo S. del fatto storico di aver ricevuto dalla stessa il danaro utilizzato per l’acquisto dell’immobile.
In tale contesto rimaneva esclusa l’ammissibilità della prova testimoniale (di cui si legge nelle conclusioni istruttorie riportate nella sentenza d’appello) finalizzata a dimostrare che la dazione di danaro non era avvenuta, o non lo era nei termini riportati nel documento sottoscritto in data 8 luglio 1996.
3. Il ricorso è rigettato senza pronuncia sulle spese, poichè l’intimata non ha svolto difese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2017