Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23243 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/10/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 23/10/2020), n.23243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12506/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

AUTO CAPITAL S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, V.T.A., entrambi

elettivamente domiciliati in Roma Via Sicilia 66 presso lo studio

dell’Avv. Roberto Altieri, che li rappresenta e difende unitamente

all’Avv. Roberto Esposito;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

n. 234/29/2012 depositata il 28 marzo 2012, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 febbraio 2020

dal consigliere Pierpaolo Gori.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 234/29/12 depositata in data 14 novembre 2012 la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 68/41/11 della Commissione tributaria provinciale di Roma, la quale aveva accolto il ricorso di Auto Capital S.r.l. e V.T.A. contro l’avviso di accertamento IVA 2006 con cui era stata recuperata IVA indebitamente detratta in relazione ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti per importazione di autovetture da Stato infracomunitario.

– La CTP negava che il soggetto emittente le fatture in contestazione (Emme Supercar) fosse una cartiera finalizzata all’evasione dell’imposta e, in ogni caso, escludeva la prova del “consilium fraudis” in capo alla contribuente. La CTR confermava tale esito motivazionale con argomentazioni incentrate sul difetto di consapevolezza in capo alla contribuente di essere parte della frode carosello.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia affidato a tre motivi. I contribuenti resistono con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Preliminarmente vanno esaminate e disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso per asserita violazione dell’art. 366 c.p.c., circa l’esposizione dei fatti di causa e circa il difetto di autosufficienza, in quanto il ricorso è completo in punto di fatto, riporta i passaggi pertinenti della sentenza impugnata in relazione ai motivi e la sentenza è integralmente allegata.

– Con il primo motivo – articolato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, dell’art. 2729 c.c., nonchè dei principi comunitari in materia di IVA, per aver la CTR ritenuto che osti al riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA solo lo stato soggettivo definito come “consilium fraudis”, e non anche lo stato soggettivo di chi “avrebbe potuto conoscere” l’esistenza della frode secondo la diligenza applicabile alla fattispecie.

– Il motivo è fondato. La questione della detraibilità dell’IVA va governata alla luce dell’insegnamento giurisprudenziale costante secondo cui ove l’Amministrazione finanziaria, contesti “che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; conforme Sez. 5 -, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018).

– La Corte non ignora che in controricorso è stata eccepita l’inammissibilità del motivo, perchè secondo i controricorrenti riporterebbe in modo capzioso solo una parte della sentenza e la CTR non avrebbe ragionato solo di conoscenza o consapevolezza della frode, ma anche di mera conoscibilità. L’eccezione preliminare non può trovare ingresso. In disparte dal fatto che nel pure ampio brano della sentenza riportato alle pagg.38 – 42 del controricorso non si rinviene il riferimento testuale alla “conoscibilità”, comunque, anche avendo riguardo per il concetto sostanziale corrispondente di conoscenza esigibile, in ogni caso il riferimento alla diligenza contenuto nella motivazione del giudice d’appello non è conforme alla giurisprudenza della Corte sopra citata, in quanto nella fattispecie non è richiesta quella “ordinaria del buon padre di famiglia” come ritiene la CTR a pag. 8 della sentenza, ma “la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto” (Cass. n. 9851/18 cit.).

– L’errore commesso dal giudice d’appello si risolve in una errata identificazione del contenuto dell’onere della prova già sotto il profilo dell’elemento soggettivo e, dunque, gli elementi di prova agli atti, ampiamente riprodotti per autosufficienza in ricorso, andranno rivalutati alla luce di tale principio di diritto. In sede di rinvio il compendio probatorio prodotto dall’Agenzia verrà esaminato anche al fine di stabilire se il soggetto dante causa della contribuente sia o meno una cartiera, nel rispetto del consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato.

– L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo, con cui viene nuovamente dedotta la violazione e falsa applicazione di legge circa il canone dell’onere della prova, e del terzo motivo, con cui viene dedotto il vizio motivazionale per motivazione contraddittoria sui medesimi fatti posti a base del primo motivo, decisivi e controversi oggetto di discussione tra le parti.

– La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili, e per la liquidazione delle spese del presente grado di legittimità.

P.Q.M.

La corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili, e per la liquidazione delle spese del presente grado di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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