Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23242 del 15/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 15/11/2016, (ud. 21/09/2016, dep. 15/11/2016), n.23242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17134-2012 proposto da:

L.D., (nato il (OMISSIS)) anche quale erede di

L.D. (nato il (OMISSIS)), B.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA TIEPOLO 21, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO DE BELVIS, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PIERLUIGI BOSSONI, VALERIO VALSERIATI, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.F., B.S. in proprio e quale erede di

B.L., B.R. elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

DELLA CROCE ROSSA N. 2/C, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

TROIANO, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMO IOLITA, in

virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1313/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 01/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato De Belvis per il ricorrente e l’Avvocato ALESSIA

CIRANNA per delega dell’Avvocato Iolita per le controricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’inammissibilità ovvero per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 6 luglio 2006, B.F., La.Di. (n. nel (OMISSIS)), L.D. (n. nel (OMISSIS)) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia, B.L., Ba.Fa., B.R. e B.S. deducendo che B.B. era deceduta in data (OMISSIS), senza ascendenti o discendenti, ma avendo come eredi legittimi solo parenti collaterali (discendenti di fratelli e sorelle, anche per rappresentazione di questi ultimi).

La de cuius aveva però disposto delle proprie sostanze con testamento olografo del 19 gennaio 2004 pubblicato in data 9 settembre 2005, con il quale aveva istituito eredi universali le convenute Ba.Fa. e L..

Assumevano tuttavia che la testatrice era da anni affetta da infermità mentale permanente, e che pertanto era incapace di intendere e di volere alla data di redazione dell’atto mortis causa.

Quindi richiamavano i precedenti ospedalieri della defunta dai quali emergeva una diagnosi di demenza senile, il che denotava l’invalidità del testamento, anche in considerazione dei rapporti conflittuali con le credi testamentarie.

Concludevano pertanto affinchè previa declaratoria di invalidità del testamento, fosse dichiarata aperta la successione legittima della defunta con il riconoscimento anche in capo agli attori della qualità di coeredi, procedendosi per l’effetto alla divisione dell’asse relitto secondo le quote legittime.

Nella resistenza delle convenute, all’esito dell’istruttoria il Tribunale con la sentenza n. 3591 del 27 novembre 2008 rigettava la domanda, ritenendo superflue e generiche le richieste di prova formulate dagli attori, e opinando nel senso che la CTU non poteva essere appieno condivisa, quanto alla conclusione che la de cuius fosse incapace alla data di redazione del testamento, non potendosi a tal fine condividere la complessiva valutazione delle certificazioni mediche in atti.

B.F. ed i due L.D. proponevano appello insistendo per l’accoglimento della domanda originaria, proprio alla luce delle chiare ed univoche conclusioni espresse dall’ausiliare d’ufficio.

Reiteravano altresì la richiesta di mezzi istruttori articolati in primo grado, aggiungendo a tale formulazione nuovi capitoli di prova per testi.

Si costituivano gli appellati che concludevano per il rigetto del gravame.

La Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 1313 del 1 dicembre 2011 rigettava l’appello.

Rilevava il Collegio che, previa declaratoria di inammissibilità dei nuovi documenti prodotti in grado di appello dagli appellanti, e previa declaratoria di inammissibilità dei nuovi capitoli di prova articolati in sede di gravame, andava confermata la valutazione di inammissibilità delle prove articolate in primo grado, in quanto generiche, in parte valutative ed in parte non pertinenti.

Nel merito escludeva che fosse stata fornita la prova che il testamento fosse stato redatto allorquando la de cuius era incapace di intendere e di volere, in quanto non era nemmeno provato che alla data del gennaio 2004 (cui risaliva la redazione del testamento) la de cuius alternasse momenti di lucidità a stati confusionali.

Quanto alle conclusioni del CTU che era pervenuta alla tesi dell’incapacità assoluta della testatrice, rilevava che la stessa appariva contraddittoria e non trovava adeguato riscontro nella documentazione clinica in atti, dovendosi quindi confermare la decisione di prime cure. B.F. e L.D. (n. nel (OMISSIS)), anche quale erede di L.D. (nato nel (OMISSIS)) hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, illustrati anche con memorie. Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo relativamente all’interpretazione della consulenza tecnica d’ufficio.

infatti, sia il Tribunale che la Corte distrettuale avrebbero offerto una personale interpretazione dell’elaborato peritale, disattendendo in toto le conclusioni del CTU che pur aveva affermato, in termini di ragionevole certezza, che la de cuius fosse incapace di testare alla data di redazione del testamento.

La sentenza gravata infatti si fonda sulla circostanza che non sarebbe stato dimostrato il deficit mnesico della defunta, sebbene l’ausiliare avesse già accertato che lo stesso era presente alla data del 1994, aggiungendo che nel 1998 si era manifestata anche la demenza senile, emergendo che in ogni caso alla data del ricovero dell’11 febbraio 2005 era stato riscontrato che fosse demente.

Si imputa quindi alla sentenza di essersi discostata dalle conclusioni del consulente d’ufficio senza un’adeguata motivazione, e ciò pur a fronte di un elaborato peritale che involgeva apprezzamenti di natura altamente specialistica, sicchè il dissenso doveva essere corredato da nozioni ed elementi di natura tecnico-scientifica che giustificassero la propensione per una soluzione diversa da quella sostenuta dal consulente.

Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in quanto, sebbene la consulenza de qua, avendo natura percipiente, fosse una vera e propria fonte di prova, era stata disattesa.

Inoltre, si sarebbe affermato che il Tribunale aveva adeguatamente valutato tutte le risultanze istruttorie, laddove invece aveva omesso di prendere in esame la perizia redatta nell’interesse dei ricorrenti (perizia dott. F.) e le indicazioni mediche relative ai ricoveri del (OMISSIS).

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in merito all’utilizzo delle presunzioni da parte del giudice di merito.

Infatti questi si sono avvalsi di presunzioni semplici, laddove avrebbero dovuto, prima di ricorrere alle stesse, consentire ai ricorrenti di poter espletare i propri mezzi istruttori, ovvero, quanto meno, richiamare a chiarimenti il CTU.

Il quarto motivo di ricorso lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo e specificamente in merito al rigetto delle istanze istruttorie dei ricorrenti, che invece si palesavano precise e circostanziate, e non certo generiche.

Con il quinto motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione dei principi in tema di onere della prova.

Infatti, in presenza di quanto accertato dal CTU, l’onere della prova doveva reputarsi invertito, in quanto era controparte a dover dimostrare che il testamento era stato redatto in un momento di lucido intervallo, insistendosi in ogni caso per l’ammissione dei mezzi istruttori articolati.

2. I motivi di ricorso, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, in quanto mirano nel loro complesso a contestare la correttezza della decisione gravata quanto all’accertamento in merito alla capacità della de cuius alla data di redazione del testamento, sono infondati e pertanto devono essere rigettati.

La sentenza di appello, richiamando quanto in precedenza opinato dal Tribunale, ha evidenziato che il CTU aveva fondato le proprie valutazioni su documentazione risalente al (OMISSIS), alla (OMISSIS).

Partendo dal dato certo, costituito dalla diagnosi di demenza senile alla data del ricovero del (OMISSIS), l’ausiliare chiamato a valutare le condizioni di salute psichica della donna alla data del (OMISSIS), epoca di redazione del testamento, ed in assenza di documentazione attestante lo stato di salute tra il ricovero del (OMISSIS), aveva evidenziato che già nel (OMISSIS) il neurologo che l’aveva visitata aveva segnalato un deficit mnesico della memoria di fissazione, traendo da tale elemento la conclusione per la quale attesa la natura progressiva della patologia, doveva ritenersi con “ragionevole certezza” che la stessa fosse priva di capacità alla data dell’atto mortis causa.

Il Tribunale, con l’adesione della Corte d’appello, ha dissentito da tale conclusione evidenziando che in realtà, in occasione del successivo ricovero del (OMISSIS), sebbene fosse stata diagnosticata un’iniziale demenza infartuate, tale diagnosi, come riconosciuto dallo stesso ausiliare d’ufficio, non era supportata da clementi obiettivabili e che i sintomi di confusione e disorientamento potevano trovare giustificazione nelle condizioni di agitazione e depressione nelle quali versava la defunta all’epoca del ricovero. In ogni caso non risultava rilevato il deficit mnesico che è uno dei più significativi e precoci sintomi di decadimento cognitivo.

Partendo da tali considerazioni, e valorizzando anche una certificazione rilasciata dal medico curante della de cuius, che attestava che la stessa al (OMISSIS) era ancora collaborante ed orientata nel tempo e nello spazio, i giudici di merito hanno ritenuto che non fosse possibile affermare con sufficiente certezza la condizione di incapacità alla data della redazione del testamento.

La Corte distrettuale, condividendo la valutazione di inidoneità della ctu a fornire la prova del decadimento psichico della de cuius, ha quindi fatto applicazione della regola generale posta dall’art. 591 c.c. per la quale è colui che chiede l’accertamento dell’invalidità del testamento) a dover dimostrare l’incapacità della de cuius al momento della confezione dell’atto, ritenendo che tale prova non fosse stata fornita.

Una volta riassunte le argomentazioni del giudice di merito, appare evidente al Collegio che con i primi tre motivi si mira surrettiziamente a sollecitare a questa Corte una non consentita rivalutazione dei fatti di causa.

Ed, invero, costituisce principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza della Corte, ed al quale mostra essersi conformata anche la sentenza gravata, quello per il quale (da ultimo Cass. n. 27531/2014) in tema di annullamento del testamento, l’incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poichè lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo (conf. Cass. n. 9081/2010; Cass. n. 9508/2005).

Ne consegue che, una volta esclusa, per la valutazione di inattendibilità delle conclusioni del CTU circa l’affermazione dello stato di incapacità della de cuius alla data dell’atto testamentario, che fosse stata provata la condizione di permanente incapacità psichica, debba trovare piena applicazione la regola generale dell’onere della prova che impone a colui che invoca l’invalidità dell’atto di dover provare che lo stesso venne redatto in presenza delle condizioni che ex art. 591 c.c. ne determinano l’invalidità.

In tal senso, deve escludersi che la sentenza abbia violato la regola dell’onere della prova così come dedotto con il quinto motivo di ricorso.

Peraltro e con specifico riferimento alla pretesa valenza probatoria della ctu che è oggetto del secondo motivo di ricorso, proprio con riferimento alla materia dell’incapacità naturale del de cuius, questa Corte ha avuto modo di affermare che (cfr. Cass. n. 5665/1988) la decisione di far ricorso alla consulenza tecnica, quale strumento tecnicamente più funzionale ed efficace per l’accertamento dei fatti essenziali ai fini del giudizio non vincola per questo il giudice al parere espresso dal consulente, potendo egli dissentire dallo stesso qualora nel suo libero apprezzamento ritenga le conclusioni dell’ausiliare non sorrette da adeguata motivazione o per altre convincenti ragioni. In termini analoghi si veda anche Cass. n. 3680/1974 per la quale la consulenza tecnica e un mezzo istruttorio che non è posto nella disponibilità della parte, ma è rimesso, quanto all’opportunità e necessità di disporlo, al criterio discrezionale del giudice del merito. In particolare nessuna disposizione di legge impone di accertare, mediante consulenza psichiatrica, le condizioni mentali del testatore, al fine di giudicare sulla validità o meno del suo testamento, quando dalle altre prove in atti risultino elementi sufficienti a convincerlo della sanità o infermità di mente del testatore stesso, sì da rendere la consulenza superflua o inutile.

Trattasi peraltro di affermazioni che trovano corrispondenza nella più ampia giurisprudenza di questa Corte in materia di utilizzo della consulenza tecnica d’ufficio e che portano ad affermare che non sia corretta la tesi di parte ricorrente che vorrebbe far assurgere la ctu al rango di prova piena ed inconfutabile, insuscettibile come tale di poter essere disattesa dal giudice.

In realtà, e con più generale riferimento alla critica alle motivazioni della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto di dover disattendere le valutazioni dell’ausiliare, propendendo quindi per la mancata dimostrazione dell’esistenza di una patologia invalidante di carattere permanente in epoca anteriore all’accertamento del (OMISSIS), occorre richiamare quanto ripetutamente precisato da questa Corte, proprio in relazione alla valutazione dei presupposti giustificativi della domanda di annullamento ex art. 591 c.c.

Ed, infatti, si è affermato che (Cass. n. 2407/1981) quando un giudizio deve necessariamente risultare dall’esame coordinato di numerosi elementi, come nel caso di giudizio sulla capacità di intendere e di volere della persona defunta (al fine di riconoscere o meno la sua capacità di testare), il problema se il giudice del merito abbia o meno motivato adeguatamente va esaminato con riferimento all’insieme di tali elementi e con riguardo al complesso delle difese rispettivamente dedotte dalle parti contrapposte. L’eventuale silenzio della motivazione su taluni degli elementi citati non può essere considerato omesso esame di punti decisivi qualora, nel suo complesso, il giudizio risulti adeguatamente e concretamente giustificato nè si possa affermare che senza quel silenzio la decisione avrebbe potuto essere diversa (in termini si veda anche Cass. n. 162/1981, per la quale l’apprezzamento del giudice del merito circa l’incapacità d’intendere e di volere, prevista dall’art. 591 c.c., n. 3, al fine di dedurre l’incapacità di disporre per testamento, costituisce indagine di fatto e valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità, se fondata su congrua motivazione, immune da vizi logici ed errori di diritto; conf. Cass. n. 1851/1980; Cass. n. 1454/1969).

Orbene se l’accertamento circa la capacità della de cuius costituisce tipico apprezzamento in fatto, emerge quindi in maniera evidente che la valutazione compiuta sul punto sia incensurabile in sede di legittimità, e che nella fattispecie tale incensurabilità risulti vieppiù confermata in ragione dell’ampia ed articolata motivazione del giudice di merito che ha argomentatamente evidenziato le ragioni per le quali, dissentendo anche dalle conclusioni del Gni, come detto non aventi portata vincolante, non poteva affermarsi che alla data cui risale il testamento, la defunta fosse incapace di intendere e di volere nel senso richiesto dalla previsione di cui all’art. 591 c.c..

Puntuale appare, infatti, la disamina dell’elaborato peritale e ampiamente motivate risultano le ragioni per le quali, proprio alla luce della documentazione medica che il consulente d’ufficio aveva posto a fondamento del proprio lavoro, non fosse possibile accedere alla soluzione suggerita.

Le complessive censure si risolvono nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto si come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.

E, peraltro, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

Quanto infine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori, deve del pari escludersi la sussistenza del dedotto vizio motivazionale.

Ed, infatti, premesso che i ricorrenti non contestano specificamente la correttezza della decisione gravata nella parte in cui ha ravvisato l’inammissibilità ex art. 345 c.p.c. dei mezzi di prova articolati per la prima volta in grado di appello (e precisamente dei quattro capitoli di prova testi riportati a pagg. 20 e 21 del ricorso) di tal che la richiesta risulta preclusa per il giudicato formatosi sul punto, quanto invece ai capitoli articolati in primo grado, trascritti in ricorso, e dei quali si denunzia la mancata ammissione, reputa il Collegio che la valutazione espressa sul punto dalla sentenza impugnata non sia suscettibile di essere posta in discussione in questa sede.

La Corte distrettuale, distinguendo tra i vari capitoli di prova, ha specificamente ritenuto valutativi i capi 1, 2, 3, 4, 5 e 7, generici i capi 2, 3 e 4 e non pertinenti i capi 5, 6 ed 8, reputandoli quindi nel loro complesso inidonei a fornire la prova dell’incapacità della de cius alla data della redazione del testamento.

Effettivamente la dimostrazione di una situazione di contrasto tra la de cuius e le beneficiarie del testamento (sulla quale si concentrano numerosi dei capi di prova in oggetto) non è di per sè indicativa dello stato patologico della de cuius, ma anzi avvalorerebbe l’affermazione una condizione di capacità della testatrice, in grado ancora di nutrire sentimenti ovvero di manifestare disagio o agitazione per la presenza di persone non gradite, che chiaramente presuppongono una comprensione di quanto avviene, laddove invece i primi due capi che mirerebbero più nello specifico, secondo la prospettazione dei ricorrenti, a dimostrare le condizioni psichiche della de cuius, si palesano effettivamente come generici e valutativi, confortando in tal modo il giudizio circa la correttezza della valutazione espressa dalla Corte distrettuale che non si profila come connotata da illogicità o incoerenza.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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