Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23241 del 23/10/2020
Cassazione civile sez. trib., 23/10/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 23/10/2020), n.23241
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11448/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con
domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
AUTOTTOLI DI T. E B. SNC, in persona del legale rappresentante
p.t., T.M., B.M.;
– intimati –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia, sez. staccata di Brescia, n. 215/63/2012 depositata il 23
ottobre 2012, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 febbraio 2020
dal consigliere Pierpaolo Gori.
Fatto
RILEVATO
che:
– Con sentenza n. 215/63/12 depositata in data 23 ottobre 2012 la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, accoglieva l’appello proposto da Autotottoli di T. e B. S.n.c., T.M. e B.M. avverso la sentenza n. 158/8/10 della Commissione tributaria provinciale di Brescia, la quale aveva rigettato il ricorso del contribuenti contro l’avviso di accertamento IVA 2004 in relazione ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti per importazione di autovetture da Stato infracomunitario.
– La CTR, disattese le eccezioni preliminari, nel merito riteneva di non condividere la decisione di primo grado in quanto escludeva vi fosse prova nella fattispecie di un accordo tra il venditore della singola autovettura in contestazione, il soggetto interposto e la società contribuente e, dunque, la prova di un accordo fraudolento volto all’evasione IVA. In ogni caso, riteneva sussistesse la buona fede in capo alla società contribuente, essendo a lei rimesso solo il controllo di aspetti formali circa la correttezza della fatturazione delle compravendite, non avendo a suo dire altri poteri di controllo sulla correttezza del suo dante causa.
– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia affidato a due motivi. I contribuenti sono rimasti intimati.
Diritto
CONSIDERATO
che:
– Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17, 19, 21 e 54, e degli artt. 2697 e 2727 c.c., per aver la CTR mancato di applicare il corretto canone di riparto dell’onere della prova in relazione alle contestate operazioni soggettivamente inesistenti.
– Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’Agenzia censura la motivazione apodittica e apparente e, comunque, l’omesso esame e l’omessa motivazione su fatti decisivi e controversi del giudizio, nella specie i medesimi già evidenziati in dipendenza del primo motivo, tratti dal p.v.c. e dall’avviso di accertamento.
– I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi e sono fondati, nei termini che seguono. Va premesso che nella fattispecie non si può parlare di motivazione apparente in quanto non si colloca al di sotto del minimo costituzionale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 2014), dal momento che ne si coglie la ratio decidendi, incentrata sulla mancata dimostrazione da parte dell’Agenzia dell’elemento soggettivo in capo alla società contribuente circa la sua partecipazione alla frode. Ciò detto, la Corte reitera l’insegnamento giurisprudenziale costante secondo cui ove l’Amministrazione finanziaria, contesti “che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; conforme Sez. 5 -, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018).
– Orbene, nel caso di specie, pacifico il fatto che il soggetto interposto (Rabarbaro Diffusion di P.A.) fosse un soggetto fittizio che poneva in essere sistematicamente operazioni antieconomiche e cartolari in qualità di intermediario nell’importazione di vetture da Stati infracomunitari, collide frontalmente con la consolidata giurisprudenza sopra citata l’affermazione da parte della CTR secondo cui nella fattispecie sarebbe stato necessario per l’Agenzia provare l’esistenza di un “l’accordo tra il venditore, l’intermediario e l’effettivo acquirente” (cfr. p. 6 sentenza). Così facendo, la CTR manca di identificare il corretto contenuto del canone dell’onere della prova. Anche l’affermazione secondo la quale il controllo da parte della società contribuente” non potesse spingersi oltre ad aspetti formali limitati alla corretta fatturazione delle compravendite” (v. p. 7 sentenza) non coglie il contenuto dell’onere di diligenza massima esigibile da un operatore accorto individuato dalla giurisprudenza della Corte citata. In sede di rinvio la CTR si atterrà ai principi di diritto richiamati, tenendo tra l’altro conto ai fini della conoscibilità, secondo i consolidati canoni giurisprudenziali degli arresti già richiamati, anche del volume delle compravendite contestate avuto riguardo per le dimensioni della società contribuente, della continuità del rapporto commerciale, dell’operare sul medesimo mercato nazionale ai fini della valutazione della sistematica pratica commerciale antieconomica dell’intermediario.
– La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia, sez. staccata di Brescia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili, e per la liquidazione delle spese del presente grado di legittimità.
P.Q.M.
La corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese del presente grado di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020