Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23241 del 18/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/09/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 18/09/2019), n.23241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liliana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26466-2016 proposto da:

COMUNE DI SAN GIOVANNI ROTONDO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

SESTIO CALVINO 33, presso lo studio dell’avvocato LUCIANA CANNAS,

rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO ALVARO TROVATO;

– ricorrente –

contro

HOTEL PARCO DELLE ROSE D.F.G. SAS, domiciliato in ROMA P.ZZA

CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURIZIO VILLANI;

– controricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI SAN GIOVANNI ROTONDO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 823/2016 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

FOGGIA, depositata il 07/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANIA BILLI.

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’ente impositore propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza con cui la CTR per la Puglia, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto l’appello del comune e quello incidentale della società contribuente ritenendo parzialmente illegittimo il diniego di rimborso della Tarsu per gli anni dal 2007 e al 2011 relativa ad un esercizio alberghiero; la società con l’originario ricorso introduttivo, per gli anni dal 2007 al 2009, aveva contestato l’applicazione della tariffa determinata dal comune, ritenendola eccessivamente elevata, ed aveva rivendicato l’assimilazione degli esercizi alberghieri ai locali ad uso abitativo sul presupposto che questi avessero la medesima potenzialità di produzione di rifiuti; per gli anni 2010 e 2011 lamentava l’illegittima applicazione di un tributo ormai abrogato.

2. La commissione tributaria regionale, con sentenza depositata il 7 aprile 2016, per ciò che rileva ai fini del presente giudizio, ha fondato le proprie ragioni sulle seguenti motivazioni: è evidente che la produzione di rifiuti di un albergo nel suo complesso è maggiore di quella delle abitazioni private; tale principio, tuttavia, trova giustificazione solo con riguardo alle parti comuni, quali saloni di ricevimento, sale destinate a ristorante o a prima colazione, cucine lavanderie magazzini, in cui si realizza la maggiore produzione di rifiuti; il regime di tassazione più elevato applicato per gli alberghi non è corretto laddove non prevede alcuna distinzione fra aree destinate esclusivamente a camere e quelle destinate ad usi comuni; il regolamento comunale con le relative tariffe va, pertanto, disapplicato, con riferimento alle camere d’albergo; l’appello incidentale proposto dalla società contribuente riguardante la tassazione TARSU anche per gli anni 2010 e 2011 è infondato, in quanto è legittima la previsione legislativa dell’ultrattività della TARSU per effetto del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 14, comma 7; l’abrogazione della tassa in oggetto, infatti, è stata espressamente stabilita con decorrenza 1 gennaio 2013 dal D.L. n. 201 del 2011, art. 47, convertito in L. n. 214 del 2011, istitutivo della Tares.

3. La contribuente si costituisce con controricorso e propone ricorso incidentale articolato in due motivi.

4. Con l’unico motivo l’ente impositore lamenta la violazione e la falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 61, 65, 68 e 69, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7. Censura in particolare la motivazione dei giudici d’appello nella parte in cui ha ritenuto illegittimo il regolamento “laddove non pretende alcuna distinzione, nell’ambito degli alberghi, fra aree destinate esclusivamente a camere quelle destinate a parte di comuni”. A tale proposito invoca il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, che attribuisce agli enti impositori la facoltà di differenziare le tariffe in relazione alla maggiore o minore produttività dei rifiuti delle varie attività assoggettate a prelievo.

5. Va preliminarmente respinta la doglianza sollevata dalla parte contribuente relativa l’inammissibilità del ricorso per difetto del potere di rappresentanza processuale del sindaco. In proposito dalla sentenza impugnata si evince chiaramente che detta procura è stata conferita dall’ente, in persona del sindaco, all’avvocato Sergio Alvaro Trovato. Posto che il sindaco agisce quale organo di rappresentanza dell’ente, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, è del tutto irrilevante la verifica che lo statuto preveda l’esercizio della rappresentanza legale dell’ente previa autorizzazione della giunta comunale. Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, infatti, compete esclusivamente al sindaco il potere di conferire al difensore del comune la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, essendo attribuita al sindaco l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del comune (Cass. n. 10099 del 2007). La parte contribuente non ha dimostrato, com’era proprio onere, che lo statuto richiedesse espressamente l’autorizzazione della giunta municipale.

6. Il motivo di impugnazione del ricorso principale è fondato per le seguenti considerazioni.

6.1. Il collegio condivide integralmente l’indirizzo di legittimità secondo cui: “In tema di TARSU, è legittima la delibera comunale che preveda una tariffa per la categoria degli esercizi alberghieri notevolmente superiore a quella applicata alle civili abitazioni, in quanto costituisce un dato di comune esperienza la maggiore capacità produttiva di rifiuti propria di tali esercizi”(Cass. n. 8308 del 2018, n. 302 del 2010, n. 5722 del 2007).

E’ da ritenersi, dunque, legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento delle relative tariffe in cui la categoria degli esercizi alberghieri viene distinta da quella delle civili abitazioni ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a quest’ultime, stante la differente potenzialità di rifiuti prodotti.

Non pare che possa acquisire rilevanza la distinzione nell’ambito dell’esercizio alberghiero tra zone più o meno produttive di una maggiore quantità di rifiuti. La valutazione effettuata dall’orientamento di legittimità sopra richiamato è, infatti, riferita all’esercizio dell’attività alberghiera nel suo complesso. E’, del resto, anche dalla gestione e pulizia delle camere dell’albergo che deriva la maggiore quantità di rifiuti prodotti.

Nè è dato rinvenire nel sistema alcuna disposizione che distingua all’interno dell’esercizio dell’attività alberghiera zone produttive di rifiuti in misura differenziata, come avviene ad esempio per gli stabilimenti industriali.

Con l’accoglimento del presente motivo resta assorbita l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sul presupposto che esso abbia sollecitato una rivisitazione della questione attinente al merito della controversia. Si ritiene, viceversa, che si tratti di una questione di diritto che, come sopra esposto, riguarda essenzialmente l’ambito di applicazione della normativa invocata dall’ente impositore e poi applicata dai giudici del merito.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 1, convertito in L. n. 13 del 2009, nonchè dell’art. 23 Cost.; essa si duole che i giudici di merito abbiano ritenuto legittima l’imposizione della Tarsu per gli anni 2010 e 2011, in quanto il regime transitorio non avrebbe avuto più ragione d’essere dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, il quale prevedeva, all’art. 238, comma 6, l’emanazione di un regolamento di attuazione. Detto regolamento non risulta essere stato emanato mentre i regimi di proroga sono stati previsti fino all’anno 2009.

8. Con il secondo motivo invoca la remissione degli atti alla Corte Costituzionale, in quanto si incorrerebbe in una violazione dell’art. 23 Cost., laddove si ritenesse prorogata la Tarsu per effetto del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 14, comma 7.

8.1. I due motivi per la loro stretta connessione possono essere trattati congiuntamente e sono infondati per le ragioni che seguono.

8.2. Non si ritiene di doversi discostare dall’orientamento di legittimità di recente espresso secondo cui: “In tema di tassa sui rifiuti, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, nell’istituire la tariffa di igiene ambientale, cd. TIA 2, ha abrogato, a decorrere dalla sua entrata in vigore, la cd. TIA 1, introdotta dal D.Lgs. n. 22 del 1997, prevedendo, al comma 11, che, sino all’emanazione delle relative norme attuative, i Comuni possono continuare ad applicare la cd. TIA 1 se prevista da apposita delibera del D.Lgs. n. 22 del 1997 cit., ex art. 49, comma 6…”. In motivazione è stato precisato che: “a) la Tarsu è stata soppressa dal d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, istitutivo della tariffa di igiene ambientale, c. d. Tia 1;

b) i comuni erano facoltizzati a deliberare in via sperimentale l’applicazione della tariffa di igiene ambientale;

c) il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238 (istitutivo della Tia 2) ha abrogato la tariffa prevista dal d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 a far data dal 29 aprile 2006, data di entrata in vigore del provvedimento;

d) sino alla emanazione delle norme attuative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, istitutivo della Tia 2 continuavano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti (D.Lgs n. 152 del 2006, art. 238, comma 11).” (Cass. n. 31286 del 2018).

Si ritiene, pertanto, che a decorrere dal 29 aprile 2006 non è più in vigore la tariffa ambientale, ma fino all’emanazione delle norme attuative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, istitutivo della Tia 2, è stato consentito ai Comuni di continuare ad applicare le discipline regolamentari vigenti, da intendersi quali fonti secondarie di determinazione della tariffa stessa. Nell’ambito di queste ultime, vanno ricomprese le delibere che gli enti locali abbiano già adottato ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 6.

E’ vero, dunque, che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 6, ha previsto che venisse emanato un regolamento di attuazione e che tale provvedimento normativo non è stato ancora emanato. Si rammenta, tuttavia, che sotto il profilo della disciplina transitoria, l’art. 264, comma 1, lett. i), ha previsto che: “Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto;”

Nelle more sono, dunque, intervenuti provvedimenti legislativi che hanno disposto in modo reiterato un regime di proroga. Nello specifico la L. 296 del 2006, art. 1, comma 184, lett. a) (legge finanziaria del 2007) ha previsto che: “il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti adottato in ciascun comune per l’anno 2006 resta invariato anche per l’anno 2007 e per il 2008”.

Il D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 1, ha stabilito che: “alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 184, sono apportate le seguenti modifiche: a) alla lettera a), le parole: “e per l’anno 2008” sono sostituite dalle seguenti: “e per gli anni 2008 e 2009”. Tali provvedimenti hanno l’evidente finalità di evitare soluzioni di continuità nel prelievo della tassa dei rifiuti in attesa dell’emanazione del regolamento di attuazione previsto dalla richiamato D.Lgs. n. 152 del 2006.

Il D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 14, comma 7, infine, ha previsto che: “fino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale”.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006 (istitutivo della cd. TIA 2) è stato adottato in un momento in cui, come sopra rilevato, non si era ancora perfezionata la scadenza del regime transitorio previsto dal D.P.R. n. 158 del 1999 (adottato in esecuzione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 1 e 5): il che equivale a dire che a detto momento non poteva ritenersi (già) prodotto l’effetto abrogativo che il D.Lgs. n. 22 del 1997 cit., art. 49, comma 1, aveva previsto con riferimento alla disciplina (anche regolamentare) della TARSU.

Laddove, allora, il legislatore del 2006 (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 11) ha previsto la salvaguardia delle “discipline regolamentari vigenti” (sino all’emanazione di un regolamento previsto dall’art. 238, comma 6) e, con quelle, dei “provvedimenti attuativi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 cit.” (“sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”) ha, da un lato, conservato tutte le discipline regolamentari (e normative) a quel momento vigenti, – stante il mancato perfezionamento del regime transitorio di cui sopra si è detto, – e, dall’altro, ha esso stesso prorogato il regime transitorio previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (e dal D.P.R. attuativo n. 158 del 1999, art. 11 cit.) onde evitare ogni soluzione di continuità “nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta” del D.Lgs. n. 152 del 2006 (art. 264, comma 1, lett. i)).

Va, in particolare, rimarcato che il D.P.R. n. 158 del 1999, costituiva (anche nella disciplina transitoria introdotta col suo art. 11 cit.) provvedimento attuativo del D.Lgs. n. 22 del 1997, e che la conservazione di efficacia delle “discipline regolamentari vigenti” non poteva che comprendere (anche) i regolamenti comunali sulla TARSU (la cui disciplina legislativa non era stata ancora abrogata in ragione del sopra ricordato regime transitorio).

La complessiva soluzione legislativa in discorso è stata, quindi, mantenuta in vigore sino all’adozione (col D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 14, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214) di un nuovo tributo comunale (sui rifiuti e sui servizi, cd. TARES) secondo la cui disciplina (solo) a decorrere dal 1 gennaio 2013 “sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza” (art. 14, comma 46).

E ciò è tanto vero che:

– l’art. 5, c. 2 quater, del 30 dicembre 2008 n. 208, conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 13 (e qual modificato dapprima dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 23, comma 21, convertito in L. 3 agosto 2009, n. 102, di poi dal D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 8, comma 3, convertito in L. 26 febbraio 2010, n. 25), – nel disporre che “Ove il regolamento di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 6, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 30 giugno 2010, i comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti.” – espressamente riconosceva che l’effetto abrogativo conseguente all’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, a quella data (30 giugno 2010) non si era ancora (senz’altro) prodotto (D.Lgs. n. 152 cit., art. 238, commi 1 e 11, e art. 264, comma 1, lett. i));

– l’art. 14, c. 7, del D.Lgs. n. 14 marzo 2011 n. 23 disponeva che “Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale.”.

8.3. Ritiene, quindi, la Corte destituita di fondamento l’interpretazione che la ricorrente incidentale suggerisce a riguardo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 184, (e succ. modificazioni) in quanto con detta disposizione il legislatore si è limitato a disporre che il “regime di prelievo” relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti “adottato in ciascun comune per l’anno 2006”, – risultasse esso, quindi, relativo alla TARSU o alla TIA, – rimaneva invariato anche per gli anni successivi (2007, 2008 e 2009), non anche che le discipline normative di TARSU e TIA 1, così come già regolate, nella loro successione, secondo la disciplina di cui sopra s’è dato conto, – rimanevano in vigore per detti anni. Da dette disposizioni poteva, allora, conseguire (al più) il divieto di passare dall’una all’altra forma di imposizione, – e, con questo, una preclusione alla modifica dei regolamenti di TARSU e TIA, – ma non anche l’abrogazione delle discipline istitutive di dette forme “di prelievo” in difetto della (compiuta) realizzazione della TIA 2 (istituita col D.Lgs. n. 152 del 2006; v., altresì, Cass. n. 31286 del 2018; Cass. n. 1727113 del 2017).

8.4. Va respinta, infine, l’eccezione di violazione del principio costituzionale di cui all’art. 23 Cost., sollevata con il secondo motivo del ricorso incidentale, in quanto la proroga del regime normativo antecedentemente vigente al Codice dell’ambiente, introdotto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, risulta disposta per legge. Nè risulta lesivo del principio costituzionale sopra richiamato che l’attuale regime effettui per la sua applicazione un rinvio a norme regolamentari.

8.5. Ne consegue che i comuni che applicavano la Tarsu correttamente hanno continuato ad applicare la disciplina prevista per tale imposta sulla base della proroga del regime transitorio, mentre i comuni che applicavano la TIA cd. 1, prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, hanno continuato ad applicare il regime impositivo da tale provvedimento previsto.

9. Da quanto sopra esposto deriva l’accoglimento del ricorso principale, il rigetto del ricorso incidentale e la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto segue il rigetto dell’originario ricorso introduttivo.

10. Le spese dei gradi di merito vanno compensate atteso il consolidamento della giurisprudenza di legittimità in corso di causa, mentre quelle del presente giudizio, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo il principio della soccombenza.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte della società contribuente che ha proposto il ricorso incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge l’originario ricorso introduttivo; rigetta il ricorso incidentale;

Compensa le spese dei gradi di merito; Condanna la parte contribuente a pagare a le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo complessivo di Euro 7000,00, comprensivo di esborsi, nonchè il 15% per spese generali e accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società contribuente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2019

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