Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23241 del 08/11/2011

Cassazione civile sez. I, 08/11/2011, (ud. 30/09/2011, dep. 08/11/2011), n.23241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4634-2010 proposto da:

D.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. MARRA ALFONSO

LUIGI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 4027/08 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

30.1.09, depositato il 8/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FEDERICO

SORRENTINO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che D.P.A., con ricorso del 17 febbraio 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo quattro motivi di censura, nei confronti del Ministro dell’economia e della finanze, il decreto della Corte d’Appello di Napoli depositato in data 8 maggio 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del D.P. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 4.750,00 a titolo di equa riparazione, oltre accessori;

che il Ministro dell’economia e delle finanze, ritualmente intimato, si è costituite – che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 28.375,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 27 giugno 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) il D.P., asseritamente creditore di differenze retributive e previdenziali, aveva proposto – con ricorso del 12 ottobre 1990 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania; b) il Tribunale adito, al momento della proposizione della domanda di equa riparazione non aveva ancora deciso la causa;

che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato:

a) ha ritenuto parzialmente fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Amministrazione resistente, ritenendo estinto per prescrizione decennale il diritto di credito fatto valere concernente, a ritroso, il periodo di irragionevole durata fino al 11 dicembre 1998; b) ha determinato in nove anni e sei mesi circa il periodo eccedente la ragionevole durata; c) ha liquidato a titolo dì equa riparazione per danno non patrimoniale la somma di Euro 4.7 50,00, calcolata in base ad un importo annuo di circa Euro 1.000,00, ma ridotta alla metà, per non avere il ricorrente mai proposto una specifica istanza di prelievo nel giudizio amministrativo presupposto.

Considerato che con i motivi di censura vengono denunciati come illegittimi: a) la affermata prescrizione parziale del diritto fatto valere; b) l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; c) la riduzione dell’indennizzo alla metà per il comportamento inerte del ricorrente, avuto riguardo alla mancata presentazione dell’istanza di prelievo;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente fondata, perchè, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, nel caso – quale quello di specie – di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 27719 del 2009, 1886 e 3325 del 2010);

che le censura sub b) e sub c) sono assorbite;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo è pacificamente iniziato in data 12 ottobre 1990 e non si era ancora concluso in data 27 giugno 2008, data della proposizione della domanda di equa riparazione, durando complessivamente diciassette anni e otto mesi circa, con la conseguenza che – detratto il periodo di tre anni di ragionevole durata – la eccedenza irragionevole va determinata in quindici anni e sette mesi;

che la fattispecie è inoltre caratterizzata dalla incontestata circostanza che il ricorrente non ha mai depositato nel corso del processo presupposto la cosiddetta “istanza di prelievo”;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni dì ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che questa Corte, inoltre, ha già più volte affermato il principio secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, secondo cui l’innovazione, introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della L. 6 agosto 2008, n. 133 (per il quale la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51), non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere, e secondo cui – tuttavìa – la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr., ex plurimis le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 del 2008, 14753 del 2010);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia) la quale, con due recentissime decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia; 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14753 del 2010/ cit.);

che, nella specie – caratterizzata dalla omessa presentazione dell’istanza di prelievo, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati, nonchè dei recepiti correttivi consentiti dalla giurisprudenza della Corte EDU, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va equitativamente determinato in Euro 8.850,00 per i diciassette anni ed otto mesi circa di irragionevole ritardo (Euro 500,00 annui), oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, previa compensazione per la metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso, per l’intero, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari oltre alle spese generali ed agli accessorì come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosene antistatario;

che le spese del presente grado di giudizio – compensate per la metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento al ricorrente della somma di Euro 8.850,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosene antistatario, e, per il giudizio di legittimità, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Marra, dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 30 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2011

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