Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23240 del 15/11/2016

Cassazione civile sez. II, 15/11/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 15/11/2016), n.23240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. D�ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2286-2012 proposto da:

V.L., (OMISSIS), in proprio e quale erede di

M.F., M.P. (OMISSIS) quale erede di M.F.,

MA.FA. (OMISSIS) quale erede di M.F.,

C.M.C. (OMISSIS), T.I. (OMISSIS),

T.G. (OMISSIS), TA.CL. (OMISSIS) elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA SILVIO PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato CESARE

ROMANO CARELLO, rappresentati e difesi dagli avvocati PIER MICHELE

ARIODANTE, MASSIMO BRESCHI;

– ricorrenti –

contro

A.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO DONATI;

– c/ric. e ricorrente incidentale –

contro

B.V., (OMISSIS), TA.AN. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

M.S.;

– intimato –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1095/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 10/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato CESARE ROMANO CARELLO, con delega dell’Avvocato

MASSIMO BRESCHI difensore del ricorrente, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale;

udito l’Avvocato MARIO PIERINO PATELLO, con delega dell’Avvocato

PAOLO PANARITI difensore dei controricorrenti e del ricorrente

incidentale, che si è riportato alle difese in atti ed ha chiesto

il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso

incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per la rimessione della causa alle

Sezioni Unite.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.C. con atto di citazione del 3 luglio 1997, premesso di essere proprietario di un appartamento in (OMISSIS), che i condomini T.I., M.F. e Me.Sa., avevano trasformato i resedi di loro proprietà esclusiva da orto giardini ad autorimesse, realizzando tre garage ricavati sotto il livello del terreno dei rispettivi resedì esclusivi, e che ciò aveva comportato: 1) il mutamento di destinazione di un muro condominiale di confine e comunque una relativa utilizzazione illecita; 2) un’imposizione di servitù di passaggio gravante sulla proprietà condominiale a favore dei detti resedi; 3) la violazione della normativa sulle distanze legali; 4) l’utilizzazione (circa l’edificabilità sotterranea) della quota di pertinenza di essa parte attrice, ciò premesso conveniva in giudizio davanti al Pretore di Pistoia T.I. (nonchè i di lui comproprietari T.G. e Ta.Cl.) M.F. (nonchè la di lui comproprietaria M.C.) per la remissione in pristino. Il Pretore di Pistoia con sentenza dichiarava la propria incompetenza per valore risultando competente il Tribunale di Pistoia.

A.C. provvedeva, dunque ad instaurare il giudizio davanti al Tribunale di Pistoia con atto di citazione del 27 novembre 1998.

Si costituivano tutti i convenuti, ciascun gruppo di proprietari e comproprietari con autonomi e separati atti di costituzione e di risposta. M. e V. chiedevano, dopo aver contestato le domande dell’attore, il risarcimento dei danni per la sospensione della realizzazione della propria autorimessa. T. e Ta. chiedevano l’accertamento della comunione del muro su cui appoggiava il proprio garage (con determinazione dell’indennizzo a favore di parte attrice ex art. 874 cod. civ.) Me. e C. contestavano le domande dell’attore.

Veniva disposta integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini B.V. e Ta.An., i quali si costituivano, aderendo alle richieste di parte attrice.

Il Tribunale di Pistoia, istruita la causa anche mediante CTU, con sentenza non definitiva n. 1215 del 2004 respingeva le domande attrici, revocava l’ordine di sospensione dei lavori e rimetteva la causa a ruolo per le domande riconvenzionali riservando la pronuncia sulle spese alla sentenza definitiva.

Avverso questa sentenza non definitiva proponeva appello A.C. chiedendo l’integrale riforma della sentenza e la condanna dei convenuti alla demolizione delle opere dagli stessi eseguite in forza di concessione edilizia rilasciata dal Comune di Montale e in ogni caso venisse ordinata la definitiva chiusura delle aperture che consentivano l’accesso dall’area di manovra condominiale ai garage dei convenuti.

Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto del gravame.

Restavano contumaci B. e Ta.An..

La Corte di Appello di Firenze, con ordinanza, disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di B.V. e Ta.An., i quali si costituivano, chiedendo l’accoglimento dell’appello di A.. Successivamente, con sentenza n. 1095 del 2011, depositata in cancelleria il 10 agosto 2011 e notificata il 16 novembre 2011, accoglieva parzialmente l’appello e per l’effetto condannava C.M.C., M.P., Ma.Fa., V.L., Me.Sa., T.I., T.G. e Ta.Cl. ad eliminare le aperture da loro rispettivamente aperte nel muro comune di cui in motivazione, condannava i detti soggetti a ridurre le rispettive autorimesse, così come meglio veniva chiarito in motivazione. Condannava in solido C.M.C., M.P., Ma.Fa., V.L., Me.Sa., T.I., T.G. e Ta.Cl. alle spese del secondo grado del giudizio. Secondo la Corte di Firenze, andava rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per mancata ottemperanza all’ordine di integrazione del contradittorio perchè i litisconsorti necessari Ta.An. e B. si costituivano spontaneamente prima dell’udienza fissata dal giudice nell’ordinanza con la quale aveva disposto l’integrazione del contraddittorio. Il muro, oggetto di controversia, non era un muro condominiale, ma un muro comune tra il condominio e certi soggetti (al contempo condomini) e, essendo muro comune, i convenuti non avrebbero potuto aprirvi accessi alle loro autorimesse, se non la parte non interrata era soggetta al rispetto delle distanze legali. Titolari dell’indivisibile ius aedificandi (sotto il livello di campagna) erano il condominio ed i condomini e, nei rapporti interni, si divide in proporzioni alle rispettive superfici già edificate. E, a bene vedere, ritiene la Corte distrettuale, i convenuti dovranno diminuire le superfici interrate realizzate sino ad eliminare il pregiudizio di A., quale contitolare dello ius aedificandi. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da V.L., M.P., Ma.Fa., C.M.C., T.I., T.G., Ta.Cl. con ricorso affidato a cinque motivi, illustrati con memoria. A.C. ha resistito con controricorso proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un motivo. V.L., M.P., Ma.Fa., C.M.C., T.I., T.G., Ta.Cl. hanno resistito al ricorso incidentale con controricorso. Hanno resistito al ricorso anche B.V. e Ta.An. con controricorso adesivo al controricorso di A.C.. Me.Sa., intimato, in questa fase non ha svolto alcuna attività giudiziale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A.= Ricorso principale.

1.= V.L., M.P., Ma.Fa., C.M.C., T.I., T.G., Ta.Cl., lamentano:

a) Con il primo motivo, del ricorso principale, la violazione e falsa applicazione degli artt. 331, 330, 102, 107, 153 e 156 c.p.c. anche in combinato disposto tra di loro (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto dell’insanabilità dell’omessa integrazione del contraddittorio per effetto della costituzione volontaria del litisconsorte pretermesso in data antecedente all’udienza fissata ex art. 331 c.p.c., ma oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata.

Secondo i ricorrenti, l’omessa notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio ai litisconsorti necessari entro il termine perentorio disposto dal giudice avrebbe determinato l’inammissibilità dell’appello indipendentemente dal fatto che i litisconsorti necessari si fossero costituiti volontariamente prima dell’udienza fissata ex art. 331 c.p.c. per la comparizione delle parti.

b) Con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 330, 331, 83 e 170 c.p.c., anche in combinato disposto tra di loro (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto dell’assenza di ultrattività della procura alle liti nel giudizio di appello per le costituzioni conseguenti a vacatio in ius che avvengono oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, sostenendo che non vi era interazione tra l’art. 330 c.p.c., comma 3, u.p.. e l’antecedente art. 83, u.c., avrebbe erroneamente ritenuta valida la procura rilasciata dagli interventori volontari ( Ta.An. e B.)a margine dell’atto di intervento di primo grado, espressamente estesa, alla presente fase di appello, nonostante che la comparsa di intervento volontario in appello fosse stata depositata ben oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata (circa sei anni dopo) e senza che ai predetti interventori volontari fosse stato notificato l’atto di appello principale o l’atto di integrazione del contraddittorio. Piuttosto, in una simile fattispecie ai fini della costituzione in appello i era necessario il rilascio di una nuova e specifica procura alle liti, non sussistendo ultrattività della procura alle liti rilasciata nel giudizio di primo grado. In tal senso, deporrebbe secondo i ricorrenti il principio espresso dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite Cass. n. 2197 del 2006) secondo cui “la notificazione dell’atto di integrazione dei contraddittorio in cause inscindibili, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., qualora sia decorso oltre un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, deve essere effettuata alla parte personalmente e non già al procuratore costituito davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata” (….) dovendo ragionevolmente presumere che, oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza, viene verosimilmente a cessare il rapporto tra le parti ed il suo procuratore domiciliatario. In particolare, il principio di ultrattività della procura alle liti infatti, pur essendo disciplinato dall’art. 83 c.p.c., deve essere contenuto entro il rigoroso limite del principio di presunzione di cessazione del rapporto professionale, dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza come statuito e consolidato nella giurisprudenza di legittimità.

c) Con il terzo motivo,la violazione e falsa applicazione degli artt. 818, 887, 903, 1102 e 1117 c.c., anche in combinato disposto tra di loro (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della dedotta comunione del muro ex art. 887 in assenza di indagini circa l’esistenza di una altezza del muro oltre il suolo del fondo superiore, nonchè dell’origine naturale del dislivello, nonchè sul punto dell’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 903 c.c., in assenza di indagine circa l’apertura dell’accesso su bene condominiale o di proprietà esclusiva di uno dei comproprietari.

Il motivo, in verità è articolato su due profili di cui, il primo, riguarda l’appartenenza del muro oggetto di controversia e l’altro, l’uso del muro ove fosse ritenuto comune, che vanno tenuti distinti.

A) Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale, erroneamente avrebbe ritenuto che il muro di contenimento delimitante il cortile/spazio di manovra condominiale e sottostante ai resedi di proprietà esclusiva dei ricorrenti fosse un muro in comunione tra il condominio e i condomini (attuali ricorrenti), perchè avrebbe omesso di valutare ed indagare circostanze di fatto indispensabili ai fini del decidere (esistenza di un dislivello naturale o meno), altezza del muro oltre il suolo del fondo superiore o meno In particolare, la Corte distrettuale avrebbe applicato la normativa di cui all’art. 887 c.c. che presuppone che il dislivello tra i due fondi confinanti avesse origine naturale, mentre il Tribunale di Pistoia ha affermato che il CTU ha accertato che il muro di contenimento è stato costruito prima del trasferimento delle proprietà esclusive e che la rampa condominiale è stata realizzata tramite sbancamento del terreno avente all’origine lo stesso piano di campagna del terreno sovrastante caratterizzato dai resedi di proprietà esclusiva dei convenuti.

B) Nell’ipotesi in cui il muro di cui si dice dovesse ritenersi comune, la decisione impugnata, secondo i ricorrenti, si porrebbe, comunque, in violazione dell’art. 1102 c.p.c. perchè le aperture operate dai comproprietari sul muro comune, non determinando un’alterazione della destinazione della cosa comune o impedito il pari uso per gli altri partecipanti non sarebbero illegittime, come avrebbe ritenuto la Corte distrettuale. Nè al caso in esame, secondo i ricorrenti sarebbe applicabile la normativa di cui all’art. 903 c.c., perchè le aperture operate dai comproprietari non metterebbero in comunicazione due parti private, ma una proprietà esclusiva ed una parte condominiale.

d) Con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 871 e 872 c.c., anche in combinato disposto tra di loro (art. 360 c.p.c., n. 3). Secondo i ricorrenti, presupposto che A. lamentava che l’utilizzo dello ius aedificandi da parte degli odierni ricorrenti e oggetto di concessione edilizia fosse lesivo del diritto di comproprietà del condominio del lotto (OMISSIS) di cui fa parte chiedeva la riduzione in pristino, la Corte distrettuale, facendo corretto uso degli artt. 871 e 872 c.c. non avrebbe potuto disporre la riduzione in pristino, essendo consentita ad A. unicamente l’azione di risarcimento danni. Insomma, gli artt. 871 e 872 c.c. concedono al privato di ottenere la riduzione in pristino solo quando si tratti di violazione delle norme di cui alla sezione 6^ del titolo 2^ c.c. in materia di distanza, epperò, l’illegittima utilizzazione dell’indice di fabbricabilità sarebbe estranea a tale ambito.

e) Con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1289, 1319 e 2043 c.c., artt. 99 e 112 c.p.c., anche in combinato disposto tra di loro (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della dedotta sussistenza di lesione della quota di diritto ad edificare di cui l’appellante sarebbe titolare, nonostante la rimanente possibilità di edificare in conformità alla quota di diritto come determinata dal CTU la cui relazione è stata fatta propria dal Giudice di appello. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente condannato gli odierni ricorrenti ad eliminare il pregiudizio di Avenia quale contitolare (residuale mq. 87,27) ius aedificandi” perchè tale pregiudizio non esisterebbe nè con riferimento all’art. 1102 c.c., nè con riferimento agli artt. 1289 e 1319 nè con riferimento all’art. 2043 c.c.. Posto che la CTU (fatta propria dalla Corte di appello) avrebbe determinato la quota dello ius aedificandi riferibile all’unità immobiliare posta nell’edificio condominiale di cui il sig. A. sarebbe titolare di mq 10,91 a fronte di un ius aedificandi complessivo di mq 87,26, e posto che la CTU avrebbe individuato in mq. 18,21 la superficie ancora edificabile a seguito della realizzazione del garage da parte degli odierni ricorrenti in forza della concessione 45/96 del Comune di Montale, ne discenderebbe che il sig. A. potrebbe utilizzare liberamente ed integralmente la quota di comproprietà dello ius aedificandum a lui attribuibile mq. 10, 91) senza subire pregiudizio alcuno dalla costruzione dei garages contestata. Nè sarebbe sostenibile che sfruttata la detta quota di mq. 10, 91 vi sarebbe lesione del diritto edificatorio di B. e Ta.An., posto che quest’ultimo non ha svolto alcuna autonoma domanda nel presente giudizio nei confronti del ricorrente, nè potrebbe avanzare pretesa nei confronti di A. nel caso in cui sfruttasse la quota di 10,91.

B.= Ricorso incidentale.

2.= Con l’unico motivo del ricorso incidentale A.C. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 973 c.c. e D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, laddove la Corte ritiene non violata la normativa sulle distanza tra parete finestrata dell’edificio condominiale e muro prospiciente di accesso ai garages. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale, una volta accertato che le autorimesse non erano completamente interrate poichè risultavano superare il piano di campagna di cm. 10 per tutta l’estensione e addirittura di cm. 30 in prossimità dell’apertura del garages e che tale differenza nella fattispecie appariva di rilievo, non avrebbe potuto considerare i garages come edifici interrati e, contrariamente a quanto ha disposto, avrebbe dovuto riconoscere il mancato rispetto delle distanze legali di mt 10 tra i garages e la prospiciente parete finestrata del condominio e, quindi, avrebbe dovuto disporre l’arretramento dell’autorimesse per l’intero o, quantomeno, avrebbe dovuto disporre l’arretramento del solaio che sporge di cm. 10 dal piano di campagna o in via residuale l’arretramento della parte del solaio che, sopra gli ingressi delle autorimesse, sporge sul piano di campagna di cm. 30.

3.1.= Il primo motivo del ricorso principale è fondato e va accolto.

Va qui premesso che la giurisprudenza di questa Corte appare ormai consolidata (nonostante qualche dissenso, v. Cass. 1326 del 2004, comunque, superato) nel senso che il termine per l’integrazione del contraddittorio in cause inscindibili è perentorio, non prorogabile neppure sull’accordo delle parti e non è sanabile, neppure, dalla tardiva costituzione della parte nei confronti della quale doveva essere integrato il contraddittorio e la sua inosservanza deve essere rilevata d’ufficio, anche nel caso di integrazione parziale dell’ordine di integrazione, sicchè la sua violazione determina l’inammissibilità dell’impugnazione (Cass. 28223 del 2008). Giova, per altro ricordare, che le SSUU n. 11003 del 2006 hanno avuto modo di chiarire che, attesa la perentorietà del termine in questione, il mancato deposito dell’atto od il deposito successivo alla scadenza del termine stesso comportano l’improcedibilità del ricorso rilevabile d’ufficio, la quale non è esclusa, neppure,. dell’eventuale costituzione della controparte intimata, posto che il principio sancito dall’art. 156 c.p.c. di non rilevabilità della nullità di un atto per avvenuto raggiungimento dello scopo, attiene esclusivamente alle ipotesi di inosservanza di forme in senso stretto e non di termini perentori, per i quali siano state dettate apposite e separate disposizioni.

La Corte di Appello di Firenze ha disatteso, con la sentenza impugnata, questi principi.

Epperò, nel caso in esame è pacifico: che la Corte distrettuale aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di B.V. e Ta.An. con ordinanza del 22 ottobre 2010; che tale ordine non era stato eseguito; che, nonostante la mancata notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, B. e Ta.An. si costituivano, spontaneamente, prima dell’udienza di rinvio fissata dal Giudice nell’ordinanza che disponeva l’integrazione del contraddittorio. Pertanto, il caso in esame, integra gli estremi di un’ipotesi di mancato rispetto di un ordine del giudice e di un termine perentorio che non può essere sanato dalla costituzione, spontanea, della controparte intimata, per quanto, comunque, oltre a quanto già detto, la spontanea costituzione della parte intimata non è idonea a sanare la violazione dell’ordine di integrazione del contraddittorio, posto che il combinato disposto degli artt. 156, 157 e 160 c.p.c. consente la sanatoria degli atti nulli o la cui notificazione è nulla, ma non consente la sanatoria di atti o notificazioni inesistenti (cui è riconducibile il caso in esame). La Corte di Appello pertanto avrebbe dovuto, e non lo ha fatto, dichiarare improcedibile l’appello.

L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale rende superfluo l’esame degli altri motivi del ricorso principale e dello stesso ricorso incidentale.

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso principale, dichiarati assorbiti gli altri motivi e il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va annullata. Considerata la complessità della questione esaminata le spese del giudizio di cassazione vanno compensate.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale, annulla la sentenza di appello impugnata, compensa le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione seconda Civile della Corte di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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