Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23239 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/10/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 23/10/2020), n.23239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI N. M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9203-2012 proposto da:

MARISUD SOCIETA’ COOPERATIVA, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE G. MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

MISIANI, rappresentato difeso dall’avvocato MARCO DE BENEDICTIS;

– ricorrente –

contro

SERIT SICILIA SPA AGENTE RISCOSSIONE PROVINCIA DI (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 4, presso lo studio

dell’avvocato ROSARIA INTERNULLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALBERTO (Ndr: testo originale non comprensibile);

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI SIRACUSA in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l‘AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso sentenza n. 263/2017 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SIRACUSA, depositata 15/07/2011;

udita la relazione della causa svolta camera di consiglio del

26/02/2020 dai Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

All’esito di controllo automatizzato, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, delle dichiarazioni Mod. 770S e 760 presentate da Marisud soc. coop. per l’anno d’imposta 2003, vennero recuperati a tassazione con cartella di pagamento, per omesso versamento, complessivi Euro 31.717,25, per addizionali regionali e comunali, ritenute alla fonte, IRAP e IVA, compresi interessi e sanzioni.

Proposto ricorso dalla contribuente, la C.T.P. di Siracusa lo rigettò con sentenza n. 147/05/10, confermata dalla C.T.R. della Sicilia, sez. st. di Siracusa, con decisione del 15.7.2011. Osservò in particolare il giudice d’appello che, quanto alla questione della illegittimità della cartella perchè priva di relata di notifica, in ogni caso la proposta opposizione aveva finito per sanare la dedotta nullità e che l’Ufficio non era incorso in alcuna decadenza nell’iscrizione a ruolo.

Marisud soc. coop. ricorre ora per cassazione, sulla base di sette motivi, cui resistono con separati controricorsi l’Agenzia delle Entrate e Riscossione Sicilia s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e dell’art. 148 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la C.T.R. ritenuto che la mancanza di relata di notifica nella cartella impugnata e la conseguentemente desumibile mancata intermediazione da parte di un agente notificatore nel relativo procedimento ne determinassero, al più, la nullità (e non già l’inesistenza), con conseguente sanatoria per raggiungimento dello scopo a seguito della proposta impugnazione.

1.2 – Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 160 c.p.c., nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la società, in via gradata, si duole dell’erronea applicazione dell’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo ad un atto non processuale e recettizio, quale è la cartella di pagamento. 1.3 – Con il terzo motivo, si lamenta omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero in subordine la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 4, la ricorrente si duole dell’affermazione della C.T.R. secondo cui le somme iscritte a ruolo derivavano dal mancato versamento di quanto indicato come dovuto nella dichiarazione annuale, giacchè essa ricorrente aveva dedotto che, per l’anno 2003, l’Ufficio avrebbe dovuto dimostrare tale pretesa corrispondenza, alla luce della integrale contestazione mossa da essa ricorrente sul punto (avendo affermato di non dover versare alcunchè per l’anno in discorso).

1.4 – Con il quarto motivo, in ulteriore subordine, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la C.T.R., con la statuizione di cui al punto che precede, nella sostanza addossato al contribuente l’onere di provare la dedotta inesistenza della pretesa tributaria, gravando invece sull’Amministrazione l’onere di produrre in giudizio la dichiarazione fiscale da cui desumere gli importi intimati con la cartella.

1.5 – Con il quinto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis e del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto la C.T.R. l’illegittimità della cartella a causa del mancato invio della comunicazione di irregolarità, necessario anche in caso di riscontro, all’esito del controllo, del mancato pagamento delle imposte dichiarate come dovute dal contribuente.

1.6 – Con il sesto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 1, della L. n. 449 del 1997, art. 28 e art. 154 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la C.T.R. dichiarato la decadenza dal potere impositivo dell’Agenzia, il controllo essendo intervenuto dopo un anno dalla dichiarazione.

1.7 – Con il settimo motivo, infine, si deduce nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la C.T.R. omesso di pronunciare in relazione ai motivi di gravame concernenti la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, e art. 25, nonchè dell’art. 125 c.p.c..

2.1 – I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

Premesso che – da quanto si desume dalla copia della relata di notifica prodotta in giudizio dall’Agente della riscossione (e riprodotta in seno al ricorso) – la notifica è stata effettuata per consegna diretta del messo notificatore personalmente al presidente della società, è in effetti vero che la copia della cartella di pagamento consegnata al contribuente manca della relata di notifica. Tuttavia, non risultando essere stata proposta querela di falso circa la suddetta relata in possesso di Riscossione Sicilia s.p.a. e da questa esibita, deve ritenersi che la notifica in discorso sia stata effettuata nelle forme da essa risultanti e possa quindi al più discutersi, se non di irregolarità, al più di nullità, ma non certo di inesistenza, anche alla luce del recente e noto insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 14916/2016. Conseguentemente, può trovare anche applicazione il consolidato principio affermato da Cass., Sez. Un., n. 19854/2004 (da ultimo riaffermato da Cass. n. 21071/2018), secondo cui “La natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c.. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere di accertamento”.

Ne discende che, del tutto correttamente, la C.T.R. ha affermato che l’impugnazione proposta da Marisud sana comunque il vizio della notifica quanto all’integrazione dell’efficacia della cartella impugnata, fermi gli ulteriori effetti attinenti al piano sostanziale, oggetto infatti delle ulteriori doglianze della ricorrente, che si procederà dunque ad esaminare.

3.1 – Anche il terzo e il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

La C.T.R., in proposito, ha evidenziato che l’Ufficio non aveva proceduto alla rettifica della dichiarazione, ma senz’altro e correttamente all’iscrizione a ruolo delle somme esposte nella dichiarazione stessa, giacchè non versate dalla contribuente; ciò ha ritenuto, all’evidenza, sul presupposto implicito per cui l’eccezione di inesistenza della pretesa tributaria era da considerarsi infondata (incompatibile essendo, appunto, con quanto esposto da Marisud nella dichiarazione fiscale).

3.2 – Ora, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui “Nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, spetta al contribuente che “ritratta” la propria dichiarazione fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., del fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria” (Cass. n. 5728/2018; Cass. n. 27127/2016).

Ritiene la Corte che quanto precede valga non solo nel caso di “ritrattazione” vera e propria (ossia, allorquando il contribuente non contesti di aver dichiarato come dovute le somme indicate in dichiarazione, ma alleghi un errore o un’omissione che incidano sul quantum debeatur), ma anche nella più radicale ipotesi in cui il contribuente neghi tout court di aver esposto in dichiarazione i dati su cui è fondata la cartella di pagamento derivante da controllo automatizzato, giacchè detti dati emergono dall’anagrafe tributaria (banca dati pubblica, disciplinata dal D.P.R. n. 605 del 1973) e copia della dichiarazione presentata è certamente nella disponibilità del contribuente stesso. Pertanto, negare la corrispondenza tra quanto contenuto nella dichiarazione fiscale e quanto intimato con la cartella equivale ad allegare l’esistenza di un fatto impeditivo (in tutto, come nella specie, o in parte) dell’insorgenza dell’obbligazione tributaria, agevolmente dimostrabile con l’ostensione in giudizio della dichiarazione stessa. Del resto, sia pur su questione in parte diversa da quella che qui occupa, ma comunque ad essa connessa, è stato condivisibilmente ritenuto che “In tema di motivazione della cartella di pagamento, l’atto con cui siano rettificati i risultati della dichiarazione e, quindi, sia esercitata una vera e propria potestà impositiva, va motivato debitamente, dovendosi rendere edotto il contribuente dei fatti su cui si fonda la pretesa, mentre quello con cui si proceda, in sede di controllo cartolare del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, alla liquidazione dell’imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, può essere motivato con il mero richiamo alla dichiarazione, poichè il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa” (così, Cass. n. 25329/2014; conf., Cass. n. 13335/2009; Cass. n. 26671/2009).

Ne discende, dunque, che – fatta salva l’ancor più radicale ipotesi in cui il contribuente deduca, addirittura, di non aver affatto presentato alcuna dichiarazione fiscale – nel caso di contestazione circa la corrispondenza tra quanto intimato nella cartella emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e/o del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, ed emergente dall’anagrafe tributaria, e quanto invece esposto dal contribuente nella dichiarazione a titolo di imposte dovute, compete a quest’ultimo l’onere di dimostrare detta discrasia, se del caso producendo in giudizio la dichiarazione stessa.

Detto principio è pienamente coerente con l’insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 17758/2016, che – sebbene dettato in relazione alle conseguenze derivanti, ai fini della detraibilità dell’IVA, dalla mancata presentazione della dichiarazione annuale – ha precisato, con valutazioni di portata senz’altro generale, come in casi consimili sia consentita la “emissione di cartella di pagamento, potendo il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi nonchè da atti di indagine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi dell’anagrafe tributaria, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 bis e 60”, fatta salva la possibilità, nel successivo giudizio di impugnazione della cartella, che il contribuente dimostri la correttezza e/o legittimità del proprio operato, tenuto anche conto del principio dell’onere e di prossimità della prova.

Ed è assai significativo quell’ulteriore passaggio della motivazione con cui le Sezioni Unite – confrontandosi con l’assetto complessivo dei controlli regolati dagli artt. 36-bis e 54-bis più volte citati, come definito dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 – affermano che “Il senso di una normativa di tal genere non può che essere quello di un controllo fatto grazie all’utilizzo di quei mezzi informatici che consentono di correlare i dati esposti nelle dichiarazioni e le informazioni sul contribuente reperibili nell’anagrafe tributaria (regolata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 e dal D.P.R. 2 novembre 1976, n. 784). Si tratta di un sistema informativo nel quale sono immagazzinate principalmente quelle notizie essenziali risultanti dalle dichiarazioni fiscali”.

3.3 – Pertanto, le censure in esame non colgono nel segno, giacchè la C.T.R. ha adeguatamente motivato sul fatto che le somme intimate con la cartella impugnata derivano da quanto esposto in dichiarazione da Marisud, in perfetta coerenza con le deduzioni operate dalla stessa parte pubblica in via esplicita o implicita (mediante rimando alla motivazione della cartella). Grava sulla ricorrente, dunque, l’onere di sconfessare l’assunto, fornendo la relativa prova, nella specie (com’è pacifico) neanche offerta. Neppure può configurarsi dunque, la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c..

4.1 – Stessa sorte segue il quinto motivo.

Ribadito che, nella specie, il recupero fiscale deriva da mancato versamento di imposte dichiarate, deve rilevarsi che la C.T.R. non ha espressamente esaminato la censura mossa in appello, al riguardo, dalla ricorrente (che invocava la necessità della richiesta di chiarimenti anche nell’ipotesi del riscontro del mero mancato versamento delle imposte), sostanzialmente rigettandola per implicito.

La tesi è stata però riproposta in questa sede dalla Marisud, che evidenzia l’erroneità di tale percorso decisorio, sebbene con considerazioni che denotano non solo la confusione tra i presupposti della comunicazione di irregolarità e quelli dell’invito al contribuente (ex art. 6 St. contr.), ma anche tra le stesse due formalità. Infatti, è evidente come i presupposti dell’uno o dell’altro adempimento siano affatto autonomi: nell’un caso, occorre un risultato diverso all’esito del controllo automatizzato; nell’altro, occorre invece sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.

In ogni caso, va qui evidenziato che, da un lato, l’eventuale omessa trasmissione della comunicazione di irregolarità, cit. ex artt. 36 bis e 54 bis, costituisce mera irregolarità (v. Cass. n. 13759/2016) e non implica la nullità della cartella, e dall’altro, che tale sanzione è dettata solo dallo Statuto del contribuente, art. 6, comma 5, in relazione al c.d. avviso bonario.

Sul punto, peraltro, è costante l’insegnamento secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso” (Cass. n. 27716/2017). D’altra parte, secondo quanto condivisibilmente affermato da Cass. n. 795/2011, non v’è spazio per la notifica dell’avviso bonario quando “non risulti dall’atto impositivo l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative”.

Ne discende che la censura in esame non merita accoglimento.

5.1 – Anche il sesto motivo è infondato.

Fermo quanto osservato dalla stessa C.T.R. circa il fatto che l’Ufficio non ha proceduto, nella specie, ad alcuna rettifica della dichiarazione, ma senz’altro all’iscrizione a ruolo delle imposte dichiarate dalla contribuente e non versate, riguardo alla questione sottesa al mezzo in esame è stato condivisibilmente affermato che “In tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie, il termine annuale per la relativa rettifica cd. formale, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, secondo l’interpretazione autentica offerta dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 28, comma 1, non ha natura decadenziale, nè è dato ipotizzarne una trasformazione da perentorio in ordinatorio, in ragione della valenza precettiva “ab origine” della disposizione interpretativa” (Cass. n. 8055/2013).

La censura è dunque in ogni caso infondata, a detto principio essendosi ispirata la C.T.R.

6.1 – Stessa sorte segue, infine, anche il settimo motivo.

Nella specie, infatti, la C.T.R. non ha semplicemente “omesso” di esaminare le domande indicate dalla ricorrente col mezzo in esame, ma le ha dichiarate assorbite, affermando nella sostanza che le ulteriori doglianze di Marisud non potevano trovare accoglimento perchè infondati, alla luce di quanto derivante, sul piano logico-giuridico, dagli argomenti a sostegno dei motivi già rigettati.

Sul punto, è consolidato l’orientamento secondo cui “La figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa” (Cass. n. 28995/2018; Cass. n. 33764/2019; Cass. n. 28663/2013).

Ne consegue che, trattandosi di assorbimento in senso improprio, non può in ogni caso configurarsi la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., ma semmai altri eventuali profili di illegittimità, tuttavia non proposti dalla ricorrente.

7.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuna delle controricorrenti in Euro 4.100,00 per compensi, oltre accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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