Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23236 del 20/08/2021

Cassazione civile sez. I, 20/08/2021, (ud. 22/06/2021, dep. 20/08/2021), n.23236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21516/2020 R.G. proposto da:

O.E., rappresentato e difeso giusta delega in atti

dall’avv. Carlo Barotti, (che indica per comunicazioni e

notificazioni l’indirizzo PEC carlo.barotti.rovigoavvocati.it);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello , con

domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 349/2020

pubblicata il 04/02/2020;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

22/06/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con il provvedimento di cui sopra la Corte Territoriale ha rigettato l’appello dell’odierno ricorrente;

– avverso detta sentenza si propone ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi; il Ministero dell’Interno ha unicamente depositato atto di costituzione in vista dell’udienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo di ricorso dedotto censura la gravata sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti per non avere la Corte territoriale considerato a valutato i documenti n. 13 e n. 21 prodotti dal ricorrente;

– il motivo può esaminarsi congiuntamente al secondo mezzo di impugnazione con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, dell’art. 14, lett. c) del medesimo D.Lgs., per avere la Corte lagunare non ritenuto esposto a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona il ricorrente;

– i ridetti motivi sono fondati;

– invero, la Corte veneta, quanto alla documentazione relativa alla denuncia presentata dalla polizia, mostra effettivamente di non averla minimamente esaminata quando sostiene che “il richiedente ha disatteso anche un terzo principio fondante la disciplina della protezione internazionale posto che egli non ha (nemmeno allegato) di aver richiesto la protezione degli organi statuali…” (pag. 9 penultimo periodo della sentenza gravata); diversamente, ove avesse preso in esame tali documenti la Corte avrebbe rilevato l’avvenuta allegazione e la prova di tale iniziativa da parte del richiedente, con la quale doveva confrontarsi per valutarla e fornire anche sul punto idonea motivazione del proprio decisum;

– il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la Corte di merito valutato il percorso di integrazione in Italia del ricorrente;

anche questo motivo è fondato;

– il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, prevede, nella sua formulazione originaria, il diritto alla protezione umanitaria nel caso in cui fossero d’ostacolo al rimpatrio la sussistenza di “seri motivi di carattere umanitario”; costituisce interpretazione consolidata e diritto vivente (cfr., di recente, Cass. n. 22832/2020) che con la predetta locuzione il legislatore abbia dato vita a un istituto di protezione internazionale residuale e atipico, una sorta di catalogo aperto, al fine di assicurare che il rimpatrio, non precluso dalla sussistenza delle ipotesi tipiche di protezione maggiore (diritto al rifugio e alla protezione sussidiaria), fosse, almeno temporaneamente, impedito per assicurare all’immigrato il rispetto della dignità della persona (art. 2 Cost.);

l’interpretazione offerta dalla Corte lagunare con la sentenza qui in esame contrasta con la “ratio legis” e con l’anzidetta atipicità dell’istituto, avendo aprioristicamente ricusato di apprezzare il grado d’integrazione dell’immigrato, dipendente dallo svolgimento di attività lavorative, formative, d’istruzione e culturali, nel giudizio di comparazione effettiva della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr., ex multis, Cass. n. 4455/2018 e di recente Cass. n. 7396/2021);

– non può, di conseguenza, predicarsi, come erroneamente fa la Corte di Venezia, che sia necessaria una “effettiva e irreversibile integrazione nel tessuto sociale e culturale del paese ospitante”, peraltro altrettanto erroneamente ritenuta in sé “non desumibile” dalla “effettuazione di prestazioni lavorative regolarmente retribuite” (pag. 18 ultimo periodo della sentenza gravata);

infatti, in ordine al giudizio d’integrazione, del lavoro e delle attività formative e d’istruzione svolte dall’interessato approfittando di una tale possibilità, le stesse non sono irrilevanti in sé della richiesta integrazione seppure, per contro, non può affermarsi, in senso contrario, che tali attività, sempre e comunque siano significative allo scopo in discorso; né del tutto irrilevante è la circostanza secondo la quale il richiedente nel proprio paese di origine è del tutto sprovvisto di mezzi di sostentamento e di rapporti famigliari;

– in diritto, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, n. 1, introdotto dal D.L. n. 130 del 2020, art. 1, conferma la natura atipica dell’istituto, il che fa escludere la correttezza di un percorso ermeneutico che conduca a limitare, cioè a numerare, il novero delle circostanze dalle quali possa trarsi il giudizio di seria vulnerabilità; infatti, la norma in discorso, piuttosto che reintrodurre tal quale la disposizione abrogata con il D.L. n. 113 del 2018, integrando il citato art. 19, prevede che: “Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”;

– in accoglimento anche del terzo motivo di ricorso, quindi, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame che dovrà anche vagliare diversamente e complessivamente il diritto alla protezione internazionale per ragioni umanitarie, allo scopo di far luogo all’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente, con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza; nondimeno la Corte del rinvio terrà anche tener conto del lavoro e delle attività formative e d’istruzione svolte dall’interessato e statuirà anche quanto alle spese;

– alla luce della decisione sui motivi che precedono, il quarto motivo di ricorso è assorbito;

– la sentenza è quindi cassata con rinvio alla Corte di appello di Venezia per nuovo esame.

P.Q.M.

accoglie i primi tre motivi di ricorso; dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021

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