Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23233 del 20/08/2021
Cassazione civile sez. I, 20/08/2021, (ud. 22/06/2021, dep. 20/08/2021), n.23233
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19150/2020 R.G. proposto da:
B.D., alias N., rappresentato e difeso giusta delega in atti
dall’avv. Rosa Vignali, (PEC rosa.vicinali.firenze.pecavvocati.it);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con
domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato;
– intimato –
avverso il la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 4847/2019
pubblicata il 07/11/2019;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del
22/06/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Succio.
Fatto
RILEVATO
che:
– con il provvedimento di cui sopra la Corte Territoriale ha respinto perché infondata la domanda di protezione internazionale del ricorrente;
– avverso detta sentenza si propone ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi; il Ministero dell’Interno ha unicamente depositato atto di costituzione in vista dell’udienza.
Diritto
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112,115 e 101 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente e illegittimamente ritenuto non credibile il ricorrente, sindacando un fatto non contestato né dalla Commissione Territoriale, né dell’Amministrazione dell’Interno, né dal Tribunale in primo grado;
– il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza;
– poiché tali circostanze dedotte (la mancata contestazione della attendibilità del ricorrente sia da parte della Commissione territoriale, sia da parte del Ministero dell’Interno, sia da parte del Tribunale) sono assunte per non contestate, era onere del ricorrente in ossequio al canone dell’autosufficienza dei motivi di ricorso trascrivere nel proprio atto introduttivo del giudizio di Legittimità gli atti di causa e la sentenza dalle quali ciò poteva evincersi; in difetto, il motivo è inammissibile in quanto non autosufficiente, non potendo la Corte verificare prima e valutare poi la effettiva esistenza in actis delle dedotte non contestazioni;
– allo scopo non risultano neppure idonee le trascrizioni di frammenti degli atti operate a pag. 5 del ricorso per cassazione, in quanto costituenti porzioni minime degli stessi e comunque non risultando dalla lettura delle stesse, nella loro sintesi, con adeguata chiarezza l’effettiva non contestazione denunciata;
– il secondo motivo di ricorso censura la pronuncia impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di Venezia – omettendone la valutazione – non considerato collegata al soggiorno in Libia la domanda di asilo e protezione proposta dal ricorrente;
– il motivo è inammissibile;
– invero, la gravata sentenza ha in realtà esaminato, sia pur sommariamente, la circostanza relativa alla permanenza del ricorrente nello stato africano ridetto (pag. 4 terzo capoverso), ma l’ha ritenuta priva di rilevanza per le ragioni, conformi a diritto, ivi illustrate; a fronte di tal affermazione, peraltro, la censura è del tutto generica nel dedurre e illustrare le condizioni dell’integrazione;
– il terzo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la sentenza impugnata riconosciuto, ai fini della concessione della protezione c.d. “umanitaria”, la sussistenza della condizione di vulnerabilità in capo al ricorrente e senza valutare il suo inserimento in Italia;
– il motivo non ha fondamento;
quanto al diniego della protezione umanitaria, cui la Corte sarebbe pervenuta omettendo la di considerare la condizione di miseria e violenza esistente in Bangladesh e l’inserimento lavorativo in Italia del ricorrente, oggetto del secondo e del terzo motivo, va ricordato che la protezione umanitaria, prevista in generale dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, è un istituto di “protezione complementare”, come tale non direttamente ricompreso nel sistema della protezione internazionale, ma la cui istituzione è autorizzata dalla normativa UE (Considerando 14, direttiva n. 95/2011/UE nonché art. 6, par. 4, della direttiva rimpatri n. 115/2008/CE) in base ai quali gli Stati membri sono autorizzati a prevedere in favore dei migranti forme di protezione più favorevoli rispetto a quelle indicate nelle direttive, purché non incompatibili con esse – che nel nostro ordinamento è stato introdotto dalla L. n. 40 del 1998, il cui contenuto è stato poi trasfuso nel predetto D.Lgs.. Il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, ne ha profondamente modificato la struttura, ma come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte tale novella, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con le disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge, quale quella di cui si tratta nel presente giudizio. Secondo la giurisprudenza (vedi spec. Cass., Sez. 1, n. 4455/2018, Rv. 647298), nei “gravi motivi umanitari” contemplati dal citato art. 5, comma 6, sono ricomprese la tutela della salute, l’instabilità politica e sociale nel Paese d’origine, la povertà e l’integrazione sociale. L’inserimento sociale nel Paese, tuttavia, non è da solo sufficiente per giustificare il rilascio del permesso umanitario, essendo necessaria un’effettiva valutazione comparativa della situazione oggettiva del Paese d’origine e soggettiva del richiedente, alla luce delle peculiarità della vicenda personale. Nella specie, nella decisione di rigetto del permesso per motivi umanitari si è escluso un fatto, che l’aver svolto attività lavorativa e la frequentazione di un corso di lingua italiana possano essere sufficienti per ravvisare il requisito della integrazione sul territorio dello Stato, mancando anche qualsiasi vincolo familiare;
– pertanto, il ricorso è rigettato;
– non vi è luogo a statuizione sulle spese in difetto di costituzione dell’intimato Ministero dell’Interno.
PQM
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021