Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23231 del 15/11/2016
Cassazione civile sez. II, 15/11/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 15/11/2016), n.23231
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2313-2012 proposto da:
M.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
A ZOAGLI MAMELI N 9, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO
BEVILACQUA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFRANCA
BEVILACQUA;
– ricorrente –
contro
A.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’Avv. NICOLA GAMBARO;
– controricorrente –
contro
N.A.L., C.F. (OMISSIS), N.R. C.F.
(OMISSIS), N.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA E. TAZZOLI N. 6, presso lo studio dell’Avv.
LUIGI CONDEMI MORABITO, rappresentati e difesi dall’Avv. ANTONIO
ROMANO;
– ricorrenti con ricorso successivo –
avverso la sentenza n. 1077/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,
emessa il 17/11/2010, e depositata il 6/12/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;
udito l’Avvocato GIOVANNETTI GIANLUCA CON DELEGA DEPOSITATA IN
UDIENZA DELL’AVV. BEVILACQUA GIANFRANCA DIFENSORE DELLA RICORRENTE
CHE HA CHIESTO L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO;
UDITO L’AVV. GAMBARO NICOLA DIFENSORE DELLA CONTRORICORRENTE CHE SI
RIPORTA AGLI ATTI DEPOSITATI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CAPASSO Lucio, CHE HA CONCLUSO PER IL RIGETTO DEL RICORSO.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 30 settembre 1986 la signora M.R., premesso di essere proprietaria di un fabbricato di due piani fuori terra in comune di F.M., confinante, in aderenza, con altro fabbricato di cui il primo piano era in proprietà della signora A.R. e il secondo piano era in proprietà della signora A.F., conveniva costoro davanti al tribunale di Lamezia Terme lamentando, per quanto qui ancora interessa, che la prima aveva realizzato qualche anno prima una sopraelevazione, con la creazione di un nuovo appartamento, in violazione della normativa antisismica e la seconda aveva realizzato una veduta laterale, tramite l’edificazione di una terrazza non autorizzata che, peraltro, occupava parte del pianerottolo del fabbricato di proprietà della stessa attrice.
Sulla scorta di tali premesse la signora M. chiedeva che A.R. fosse condannata, previo accertamento che nessun diritto di veduta ella poteva vantare sul fondo dell’attrice, a demolire quanto realizzato sul pianerottolo del fabbricato della medesima attrice e A.F. fosse condannata a demolire la sopraelevazione da lei realizzata e a risarcire i danni da quest’ultima prodotti.
Costituitisi entrambe le convenute, il tribunale giudicò rinunciata, perchè non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, la domanda avanzata nei confronti di A.R. e infondata, per difetto di prova dei relativi presupposti, quella avanzata nei confronti di A.F..
La corte di appello di Catanzaro, adita con l’appello della signora M., confermò la statuizione del primo giudice che aveva ritenuto rinunciata la domanda dell’attrice nei confronti di A.R., mentre riformò la statuizione sulla domanda dell’attrice nei confronti di A.F., frattanto deceduta nel corso del giudizio di appello, condannando i suoi eredi An., R. e N.M., regolarmente costituitisi in giudizio – alla demolizione della sopraelevazione in contestazione.
In particolare la corte d’appello argomentava:
– per quanto concerne la domanda nei confronti di A.R., che nelle conclusioni da costei rassegnate all’udienza di precisazione (“condannare la signora A.R. alla demolizione di quanto realizzato occupando parte del fabbricato di proprietà della M.”) difettava qualunque riferimento alla servitù di veduta;
per quanto concerne la domanda nei confronti di A.F., che, sulla scorta delle risultanze peritali, doveva ritenersi che l’edificazione da costei realizzata non garantisse la stabilità in caso di sisma e, d’altra parte, che non vi fosse alternativa alla relativa demolizione, in quanto il c.t.u. non aveva potuto individuare interventi alternativi idonei a garantirne la stabilità, non potendo la stessa A.F. anticipare le spese necessarie a tale individuazione (notevolmente onerosa per la necessità di saggi e prove di laboratorio).
Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto separati ricorsi gli eredi di A.F. nei confronti della sig.ra M. (con due motivi, entrambi riferiti alla violazione degli artt. 871,872 e 873 c.c. e della L. n. 1684 del 1962 e, il secondo, anche alla violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. e al vizio di motivazione) e la sig.ra M. nei confronti di A.R. (con un motivo, riferito alla violazione dell’art. 189 c.p.c.); A.R. si è costituita con controricorso al ricorso della sig.ra M..
I ricorsi – riuniti già in fase di iscrizione a ruolo, essendo stati registrati in un unico procedimento – sono stati discussi alla pubblica udienza del 19.5.16, per la quale non sono state depositate memorie illustrative ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Sul ricorso degli eredi A.F., sigg.ri N..
Con il primo motivo i sigg.ri N. argomentano che – essendo stato accertato in causa che nella fattispecie, per un verso, non erano state violate disposizioni antisismiche concernenti le distanze tra fabbricati e, per altro verso, non sussistevano concreti e imminenti pericoli relativi alla stabilità del loro fabbricato – la corte territoriale avrebbe potuto disporre in favore dell’attrice solo una tutela risarcitoria, ma non la demolizione del fabbricato.
Il motivo va disatteso, avendo questa Corte già reiteratamente affermato (sentt. nn. 7396/98, 6392/99, 10325/08, 9319/09) che, qualora sia eseguita una costruzione in aderenza senza rispettare le prescrizioni dettate dalla L. 25 novembre 1962, n. 1684, art. 9 in materia di edilizia nelle zone sismiche – disposizione che, pur non essendo integrativa delle norme del codice civile sulle distanze tra edifici, prevede specifici accorgimenti volti a prevenire danni alla proprietà altrui in occasione di movimenti tellurici – il proprietario dell’edificio contiguo ha diritto di chiedere l’eliminazione dello stato di pericolo derivante dalla presumibile instabilità del suo immobile, mediante idonei interventi o, se ciò non sia tecnicamente possibile, mediante la riduzione in pristino.
Con il secondo motivo i sigg.ri N. lamentano che la domanda demolitoria dell’attrice sia stata accolta in assenza di prova della inesistenza di alternative tecniche alla demolizione.
Il motivo è infondato.
E’ vero che, come sottolineano i ricorrenti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito, nella già citata sentenza n. 7396/98, che il giudice deve accertare se il pericolo derivante dalla edificazione di un fabbricato realizzato senza il rispetto della disciplina antisismica possa essere eliminato con l’uso di particolari accorgimenti tecnici e solo in caso negativo deve ordinare la riduzione in pristino. Ma tale principio va coordinato con il disposto dell’art. 2697 c.c., alla cui stregua l’onere di provare un fatto (nella specie, l’esistenza di accorgimenti tecnici che consentissero di mettere in sicurezza l’immobile, evitando in tal modo la relativa demolizione) grava su chi ha interesse alla relativa dimostrazione in giudizio. Correttamente quindi la corte territoriale ha disposto la demolizione dell’immobile de quo, a fronte di una affermazione del consulente di ufficio secondo cui la stabilità del fabbricato di A.F. non era garantita in caso di eventi di natura sismica (cfr. pag. 13 della sentenza) ed a fronte della impossibilità di accertare l’esistenza di eventuali soluzioni tecniche alternative alla demolizione, in ragione dei costi molto elevati degli accertamenti necessari e della conseguente indisponibilità a farsene carico da parte di A.F. e dei suoi eredi (a cui – in quanto parte interessata a provare l’esistenza di soluzioni tecniche alternative alla demolizione – correttamente era stato addossato l’onere della relativa anticipazione).
Anche il secondo motivo del ricorso dei sigg.ri N. va quindi rigettato.
Sul ricorso della sig.ra M..
Con l’unico motivo di ricorso la sig.ra M. attinge la statuizione con cui la corte territoriale ha confermato la decisione del tribunale che aveva giudicato rinunciata l’azione negatoria di servitù di veduta da lei esperita nei confronti di A.R., non essendo stata la relativa domanda riproposta in sede di precisazione delle conclusioni; secondo la ricorrente la corte distrettuale avrebbe errato nel limitarsi alla considerazione del verbale di precisazione delle conclusioni, senza considerare il complesso delle difese svolte dalla parte. Il motivo non può trovare accoglimento. Se, infatti, è vero che, come afferma la ricorrente, affinchè una domanda possa ritenersi abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, ed è invece necessario accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (in termini, tra le tante 15860/14), va tuttavia considerato che nel mezzo di ricorso non sono stati indicati specifici aspetti della complessiva condotta processuale della signora M. idonei a vincere la suddetta presunzione di abbandono. In effetti, gli unici comportamenti processuali indicati dalla ricorrente per supportare la censura da lei proposta consistono in una richiesta di consulenza tecnica sulla realizzazione di vedute laterali e di prospetto verso la sua proprietà e in una richiesta di prova testimoniale volta a negare l’intervenuta usucapione della servitù di veduta. Si tratta di attività processuali entrambe antecedenti alla precisazione delle conclusioni e, pertanto, non incompatibili con la successiva insorgenza, nella parte, della volontà di abbandonare la domanda proposta nell’atto introduttivo e coltivata in fase istruttoria. Ai fini del superamento della presunzione di abbandono della domanda non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni deve invece aversi riguardo al comportamento processuale della parte contemporaneo o successivo a tale precisazione e, specificamente, al contenuto della comparsa conclusionale e della memoria di replica, giacchè solo dell’attività processuale contemporanea o successiva alla precisazione delle conclusioni – in ordine alla quale nel motivo di ricorso in esame non si rinviene alcun riferimento – può eventualmente desumersi che la mancata riproposizione di una domanda nella precisazione delle conclusioni sia dipesa da una svista e non costituisca espressione della volontà processuale della parte.
In definitiva vanno quindi disattesi tanto il ricorso dei signori N. quanto il ricorso della signora M..
Le spese del giudizio di legittimità si compensa interamente fra tutte le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016