Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2323 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 06/06/2016, dep.31/01/2017),  n. 2323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12694-2013 proposto da:

P.M. (OMISSIS), B.V. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI DONNA OLIMPIA 6, presso lo

studio dell’avvocato MICHELE PETRELLA, rappresentati e difesi

dall’avvocato MICHELE PETRELLA, difensore di sè medesimo e giusta

procura speciale in calce al ricorso per l’altra;

– ricorrenti –

contro

R.M.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CAIO MARIO 13, presso lo studio dell’avvocato MARIO CAPPELLERI, che

lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.R., M.C.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 5732/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato MICHELE PETRELLA;

udito l’Avvocato MARIO CAPPELLERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 12/12/2012 la Corte d’Appello di Roma, rigettato quello in via incidentale condizionato spiegato dal sig. P.M. – in proprio e quale rappresentante della sig. B.V. -, in accoglimento del gravame interposto dal sig. R.M.M. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Roma n. 9171/09, ha rideterminato in diminuzione la somma in favore dei primi liquidata a titolo di restituzione delle somme corrisposte per canoni locatizi in eccedenza rispetto al dovuto.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il P. – in proprio e nella qualità – propone ora ricorso per cassazione, affidato a 7 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il R..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione, falsa e mancata applicazione” dell’art. 143 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunziano “violazione, falsa e mancata applicazione” dell’art. 83 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè “proposizione di querela di falso”.

Con il 3 motivo denunziano “violazione, falsa e mancata applicazione” dell’art. 2909 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 motivo denunziano “violazione, falsa e mancata applicazione” della L. n. 431 del 1998, artt. 11 e 13, art. 1414 c.c., art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 5 motivo denunziano “mancata applicazione” dell’art. 999 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa motivazione” su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 6 motivo denunziano “mancata applicazione” dell’art. 1417 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 7 motivo denunziano “violazione, falsa a mancata applicazione” dell’art. 92 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che gli atti e documenti del giudizio di merito dai ricorrenti posti a base delle censure (es., alle “prove documentali”, alla “documentazione prodotta”) risultano meramente (altresì del tutto genericamente) richiamati e non anche (per la parte strettamente d’interesse in questa sede debitamente riportati nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va ulteriormente osservato che come da questa Corte – anche a Sezioni Unite – ripetutamente affermato, il requisito – a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – della sommaria esposizione dei fatti di causa non risulta invero soddisfatto (neanche) allorquando come nella specie vengano nel ricorso pedissequamente riprodotti (in tutto o in parte) gli atti e i documenti del giudizio di merito (nel caso, le sentenze impugnate, il permesso di soggiorno per stranieri, il contratto di locazione), in contrasto con lo scopo della disposizione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), essendo necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità (cfr. Cass., 8/5/2012, n. 6909), con eliminazione del “troppo e del vano”, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 25/09/2012, n. 16254; Cass., 16/2/2012, n. 2223; Cass., 12/9/2011, n. 18646; Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), sicchè il ricorrente è al riguardo tenuto a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema (v. Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698), il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

Con particolare riferimento al 2 motivo deve ulteriormente sottolinearsi che come questa Corte ha già avuto modo di affermare, ove in sede di giudizio di cassazione si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito (nella specie, per asserita falsità delle sottoscrizioni del mandato relativo all’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado), la querela di falso va proposta in via principale, in quanto l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2, costituisce, una volta accertata la falsità dell’atto in questione, il solo mezzo per rescindere la sentenza fondata su atti dichiarati falsi, non potendosi dare luogo, nello stesso giudizio di cassazione, ad una mera declaratoria di “invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito” (v. Cass., 23/10/2014, n. 22517).

Ne consegue che, a tale stregua, nel sostenere che “il R. non ha mai rilasciato procura all’Avv. Mario Cappelleri” e al fine di “pervenire alla certezza della falsità della firma e della autenticazione di questa, inammissibilmente il ricorrente nella specie “propone, ai sensi dell’art. 221 c.p.c., querela di falso contro la firma apparentemente apposta da R.M.M. in calce alla “delega” stesa a margine del ricorso ex art. 447 bis c.p.c. introduttivo del giudizio”.

Con particolare riferimento al 4 e al 5 motivo, va altresì posto in rilievo che il denunziato vizio di motivazione è inammissibile, atteso che alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione temporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione concerne solamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non già i vizi dall’odierno ricorrente viceversa denunziati di omessa, contraddittoria e insufficiente o illogica motivazione su questioni decisive della controversia, e a fortiori di omesso o illogico o superficiale esame di determinate emergenze probatorie, essendo invero sufficiente che come nella specie il fatto sia stato esaminato, non essendo il giudice di merito tenuto a dare necessariamente conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Non può infine sottacersi, da un canto, che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’art. 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità), e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come nel caso dagli odierni ricorrenti viceversa prospettato. Per altro verso, con particolare riferimento al 3, al 4, al 5, al 6 e al 7 motivo, che non risultano invero sviluppati idonei argomenti a sostegno delle mosse censure, sicchè essi si prospettano nulli per inidoneità al raggiungimento dello scopo, e quanto dedotto dai ricorrenti si risolve nella proposizione in realtà di “non motivi” (cfr. Cass., 11/7/2014, n. 15882; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente R., seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente R..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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