Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2323 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. II, 01/02/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 01/02/2010), n.2323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 636/2005 proposto da:

E.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato CARLUCCIO

FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCARINI Giuliano;

– ricorrente –

contro

F.A.M. C.F. (OMISSIS), D.B.A.

C.F. (OMISSIS), S.C. C.F. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 7452/2005 proposto da:

F.A.M. C.F. (OMISSIS), D.B.A.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

MARIANNA DIONIGI 43, presso lo studio dell’avvocato DE CEGLIA TITTI,

rappresentati e difesi dagli avvocati MASSARI NICOLA, ORLANDINO

FRANCESCO;

– controricorrenti ric. incidentali –

contro

E.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato CARLUCCIO

FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCARINI GIULIANO;

– controricorrenti –

e contro

S.C. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 552/2004 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 05/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/12/2 009 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso previa riunione dei ricorsi,

per il rigetto del ricorso principale ed accoglimento del ricorso

incidentale, con eventuale connessa decisione di merito.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 5-6-1995 F.A. e D. B.A. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Brindisi E.G. assumendo che con scrittura privata dell'(OMISSIS) E.E., padre del convenuto, aveva promesso di vendere agli esponenti, che avevano promesso di acquistare, un immobile con annesso garage sito in (OMISSIS), per il prezzo complessivo di L. 130.000.000 di cui L. 12.000.000 versate a titolo di caparra confirmatoria ed il residuo prezzo da corrispondere alla data di stipula dell’atto pubblico da effettuare entro e non oltre il 30-9-1992.

Gli attori aggiungevano che, poichè tale atto non era stato stipulato entro il suddetto termine, essi avevano inutilmente convocato il promittente venditore davanti al notaio per il giorno (OMISSIS), e che dopo il decesso di E.E. avevano chiesto la restituzione del doppio della caparra al figlio G. istituito erede universale; essi quindi chiedevano la risoluzione del contratto “de quo” per inadempimento di E.E. e la condanna del convenuto quale erede alla restituzione del doppio della caparra in ragione di L. 24.000.000 oltre rivalutazione ed interessi dall'(OMISSIS) fino al soddisfo.

Costituendosi in giudizio E.G. contestava la domanda sostenendo che ignorava l’esistenza del preliminare suddetto e che non gli erano addebitagli le conseguenze dell’inadempimento del padre, non essendo tra l’altro al corrente della diffida a comparire notificata al “de cuius” prima della morte; in particolare detta diffida era stata consegnata a S.C., convivente del padre, che non lo aveva avvertito, mentre la mancata stipula dell’atto era addebitabile all’inadempimento degli attori che non avevano ottenuto il mutuo necessario per effettuare il pagamento del prezzo; egli chiedeva il rigetto della domanda attrice e in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento delle controparti; in caso di accoglimento della domanda attrice chiedeva la condanna della S. a rivalerlo di tutte le somme eventualmente dovute agli attori.

Il convenuto veniva autorizzato alla chiamata in causa della S. che, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda.

Con sentenza del 21-5-2001 il Tribunale di Brindisi rigettava tutte le domande.

Proposta impugnazione da parte del F. e della D.B. cui resistevano l’ E. – che formulava appello incidentale – e la S. la Corte di appello di Lecce con sentenza del 5-10-2004 ha dichiarato la risoluzione del contratto per cui è causa per grave inadempimento di E.E., ha condannato E.G. quale erede di E.E. a restituire agli appellanti la somma di Euro 6197.48 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo ed ha confermato nel resto.

Per la cassazione di tale sentenza l’ E. ha proposto un ricorso affidato a quattro motivi cui il F. e la D.B. hanno resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale basato su di un unico motivo cui l’ E. ha a sua volta resistito con controricorso; la S. non ha svolto attività difensiva in questa sede; il ricorrente principale ha successivamente depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre riunire i ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo l’ E., deducendo violazione degli artt. 112, 324, 342 e 345 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata anzitutto per non aver rilevato l’inammissibilità dell’appello proposto dalle controparti per mancata specificità dei motivi; inoltre la Corte territoriale non si è pronunciata sull’eccezione dell’esponente di inammissibilità in quanto nuova della domanda proposta in appello dal F. e dalla D.B. di risoluzione del contratto preliminare per cui è causa per effetto di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., posto che nel giudizio di primo grado essi avevano introdotto una domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento ex art. 1453 c.c.; il ricorrente principale rileva inoltre che erroneamente il giudice di appello ha qualificato l’atto notificato il 7-12-1992 dai promissari acquirenti ad E.E. come un semplice invito a comparire e non invece come una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., della quale esso aveva i requisiti sia di forma che di sostanza; in tale contesto si sarebbe dovuto considerare che, essendo stato indicato nel suddetto atto il giorno del (OMISSIS) per la comparizione dinanzi al notaio per la stipula del rogito, le controparti avevano assegnato al promittente venditore un termine inferiore a quello previsto dalla legge.

L’ E. infine assume che la Corte territoriale, nel ritenere ingiustificata la mancata comparizione di E.E. dinanzi al notaio per la stipula dell’atto definitivo di vendita, non ha considerato la copiosa documentazione versata in atti dalla quale risultava che quest’ultimo nel (OMISSIS) era affetto da una gravissima malattia tumorale che lo avrebbe portato alla morte nel (OMISSIS); il ricorrente principale aggiunge che, contrariamente al diverso assunto del giudice di appello, le testi S.C. e l’avvocato L.M. non avevano affatto riferito di una piena lucidità di E.E. fino alla sua morte, ma avevano affermato che egli si trovava in quel tempo in gravi condizioni di salute che non gli avrebbero consentito di comparire dinanzi al notaio.

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo occorre rilevare che dalla lettura dell’atto di appello introdotto dal F. e dalla D.B. (consentita a questa Corte dalla natura procedurale del vizio denunciato) emerge con chiarezza che essi avevano richiesto anche nel secondo grado di giudizio la risoluzione del preliminare “de quo” per inadempimento del promittente venditore, come evidenziato dal richiamo alla mancata osservanza del termine del 30-9-1992 contrattualmente previsto per la stipula del contratto definitivo; cadono così i rilievi dell’ E. circa la mancata specificità dei motivi di appello e l’asserito vizio di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Devesi poi rilevare che correttamente il giudice di appello ha qualificato l’atto notificato il 7-12-1992 dai promissari acquirenti al promittente venditore come un invito a comparire e non come una diffida ad adempiere, considerato che tale atto (il cui contenuto è stato trascritto nel ricorso principale) comunque non contempla l’espressa comminatoria di risoluzione per il caso di mancato adempimento nel termine prefissato.

Tanto premesso, si osserva che la Corte territoriale ha ritenuto l’inadempimento di E.E. alle obbligazioni assunte con il preliminare per cui è causa già per l’effetto della mancata stipula del contratto definitivo entro il 30-9-1992 come previsto nella scrittura privata dell'(OMISSIS), ed ha inoltre ritenuto ingiustificata la sua mancata comparizione davanti al notaio designato il giorno 14-12-1992 alle ore 19,30 (come indicato nell’invito a comparire del 7-12-1992), posto che il certificato medico fatto pervenire al suddetto notaio – nel quale si faceva presente che il promittente venditore era affetto da diabete insipido – non documentava una impossibilità a comparire, e che comunque a tale inconveniente E.E. avrebbe potuto ovviare delegando immediatamente o successivamente altra persona a rappresentarlo alla stipula dell’atto pubblico cui si era obbligato;

inoltre la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza di una prova circa una attenuazione delle facoltà mentali del promittente venditore tale da impedirgli di valutare le conseguenze derivanti dal proprio inadempimento, essendo anzi emerso dall’interrogatorio reso dalla S. e dalla deposizione dell’avvocato L. che l’ E. aveva conservato una piena lucidità fino al momento della morte.

Si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione come tale incensurabile in questa sede, dove il ricorrente principale si limita inammissibilmente a prospettare una diversa ed a sè più favorevole valutazione delle risultanze probatorie, trascurando i poteri in proposito istituzionalmente demandati al giudice di merito.

Con il secondo motivo l’ E., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1385 c.c., comma 2, art. 1453 c.c., artt. 112, 324 e 345 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver condannato t’esponente alla restituzione della caparra confirmatoria con gli interessi legali dal relativo versamento in accoglimento della domanda formulata in via subordinata dalla controparte con l’atto di appello con riferimento all’art. 1385 c.c., comma 2; in tal modo il giudice di appello ha omesso di motivare in ordine alla eccezione dell’ E. secondo cui il giudice di primo grado, avendo rigettato le reciproche domande di risoluzione, non avrebbe potuto disporre la restituzione della somma versata quale caparra dal momento che detta restituzione è conseguente ad una pronuncia di risoluzione per inadempimento.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, all’esito dell’accoglimento della domanda di risoluzione contrattuale del preliminare per inadempimento del promittente venditore, del tutto logicamente ha condannato E. G. alla restituzione in favore degli appellanti (in conformità della domanda da essi proposta) della somma di euro 6197,48 versata al promittente venditore a titolo di caparra confirmatoria al momento della stipula del preliminare.

Con il terzo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., e vizio di motivazione, afferma che il giudice di appello, nel rigettare l’appello incidentale con il quale l’esponente aveva chiesto la risoluzione del preliminare in questione per grave inadempimento dei promissari acquirenti, non ha tenuto nel debito conto che, per esplicita affermazione delle controparti contenuta a pagina 2 dell’originario atto di citazione, gli stessi, dopo la morte di E.E., nella presunzione che l’affare non potesse più andare in porto, avevano utilizzato diversamente il denaro che avrebbero dovuto versare a saldo del prezzo pattuito, così ammettendo l’impossibilità di adempimento; era pertanto legittima la ritenzione della caparra da parte dell’esponente.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha rilevato che nessun inadempimento poteva essere contestato ai promissari acquirenti, i quali avevano sempre persistito nella volontà di dare esecuzione al contratto preliminare pagando il relativo prezzo e da ultimo invitando il promittente venditore dinanzi al notaio per il rogito offrendo il pagamento del prezzo pattuito; è quindi evidente che in presenza di una tale valutazione del comportamento diligente dei promissari acquirenti, non oggetto di specifiche censure, nessuna rilevanza può essere attribuita in senso contrario – nell’ambito della valutazione comparativa degli inadempimenti che le parti si erano reciprocamente addebitati – al proposito dei promissari acquirenti di impiegare diversamente il denaro destinato al pagamento del saldo del prezzo di vendita nella convinzione che il contratto definitivo non si sarebbe più stipulato per inadempimento della controparte.

La Corte prende poi atto che il ricorrente principale con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., ha sostanzialmente rinunciato al quarto motivo.

Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato.

Venendo quindi all’esame del ricorso incidentale, si rileva che con l’unico motivo formulato il F. e la D.B., denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1385 c.c., censurano la sentenza impugnata perchè, pur avendo pronunciato la risoluzione del contratto preliminare suddetto per grave inadempimento di E. E., ha limitato la condanna della controparte alla restituzione della somma a suo tempo versata a titolo di caparra confirmatoria oltre accessori e non invece di una somma pari al doppio della caparra; infatti la norma di cui all’art. 1385 c.c., comma 3, stabilendo che, se la parte non inadempiente preferisce domandare la risoluzione del contratto, il risarcimento è regolato dalle regole generali, non ha inteso negare alla medesima il diritto di esigere il doppio della caparra, ma ha voluto consentire alla parte che agisca in risoluzione la possibilità di conseguire un più cospicuo ristoro patrimoniale quando il danno superi quello preventivamente determinato con la clausola che fissa preventivamente l’importo della caparra, utilizzando la caparra medesima quale preventiva liquidazione del danno.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha rigettato la domanda formulata dagli appellanti avente ad oggetto la condanna dell’ E. alla restituzione del doppio della caparra rilevando che in tema di caparra confirmatoria, qualora la parte non inadempiente, anzichè recedere dal contratto, si avvalga del rimedio della risoluzione contrattuale, non è applicabile il principio di cui all’art. 1385 c.c., comma 2.

Orbene tale convincimento è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui in tema di caparra confirmatoria, qualora la parte non inadempiente abbia preferito agire per la risoluzione del contratto (invece che esercitare il potere di recesso) il diritto al risarcimento del danno dovrà essere provato in base alfa disciplina generale degli artt. 1453 e seguenti c.c. (Cass. 16-5-2006 n. 11356;

Cass. 23 8 2007 n. 17923; vedi anche Cass. S.U. 14-1-2009 n. 553).

Anche il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla reciproca soccombenza, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte Riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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