Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23226 del 15/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 15/11/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 15/11/2016), n.23226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente di sez. –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Presidente di sez. –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di sez. –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente di sez. –

Dott. GIANGOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15402-2012 proposto da:

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli avvocati RENATO

SCOGNAMIGLIO e CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la rappresentano e

difendono, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO

35, presso lo STUDIO D’AMATI, rappresentata e difesa dagli avvocati

DOMENICO D’AMATI, CLAUDIA COSTANTINI, GIOVANNI NICOLA D’AMATI, per

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 5247/2005 depositata il

15/02/2007 e la definitiva n. 1288/2011 depositata il 15/06/2011,

entrambe della CORTE D’APPELLO 191 ROMA;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Presidente Dott. PIETRO CURZIO;

uditi gli avvocati Claudio SCOGNAMIGLIO e Claudia COSTANTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. F.M. convenne in giudizio la RAI dinanzi al Tribunale di Roma. Espose aver lavorato alle dipendenze della società convenuta dal 7 luglio 1980, con una serie di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in qualità a volte di programmista regista, altre di impiegata di concetto. Sostenne che tutti i contratti a tempo determinato erano stati stipulati in violazione della L. 230 del 1962, art. 1 e chiese che venisse accertata la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro a decorrere dal primo contratto o dalla diversa data individuata secondo giustizia, con relativa reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno subito nel periodo pregresso, nonchè il riconoscimento del trattamento economico e normativo di programmista regista di 3^ livello dal 19 settembre 1986 e di 1^ livello dal 14 gennaio 1990.

2. La RAI si costituì eccependo la piena legittimità di ciascun contratto e chiedendo il rigetto del ricorso.

3. Il Tribunale accertò la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 1 luglio 1993, rigettando le altre domande. Contro tale decisione proposero appello la RAI ed appello incidentale la F..

4. La Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva pubblicata il 15 febbraio 2007, rigettò l’appello principale ed, in accoglimento dell’appello incidentale, riformò in parte la sentenza di primo grado, dichiarando “la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data iniziale del primo contratto a termine (7 luglio 1980) ancora in atto”, nonchè il diritto “al riconoscimento del trattamento economico e normativo di programmista regista secondo le progressioni previste dal cnl a decorrere dal 19 settembre 1983, tenuto conto soltanto dei periodi di lavoro effettivamente espletato escluse comunque le retribuzioni per i periodi già lavorati, come già, per tale punto, sancito in prime cure”. Condannò inoltre la RAI al risarcimento) del danno subito dalla F., che liquidò “in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data di risoluzione del rapporto, sino alla scadenza del terzo anno successivo alla scadenza dell’ultimo contratto a termine (20 giugno 2003) oltre interessi dalle scadenze sino al soddisfo e rivalutazione” dalle scadenze sino al giorno della sentenza. Con sentenza definitiva del 10 febbraio 2010, la Corte determinò il quantum debeatur:

5. La RAI ha proposto ricorso per cassazione, articolato in otto motivi, contro entrambe le sentenze. La F. si è difesa con controricorso.

6. Con ordinanza interlocutoria la sezione lavoro, ritenuto che la richiesta di applicazione da parte della RAI della norma dettata dalla L. 183 del 2010, art. 32 emanata dopo la sentenza di appello e prima della notifica del ricorso per cassazione, desse luogo ad una problematica sulla quale nella giurisprudenza di Cassazione si registra un duplice contrasto di orientamenti, ha rimesso la controversia al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite. Il primo presidente ha disposto l’assegnazione alle sezioni unite.

7. Con il settimo motivo, la RAI chiede l’applicazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5-7, che modificò la disciplina del risarcimento del danno in caso di contratto a termine illegittimo.

8. Tale norma entrò in vigore il 24 novembre 2010, quindi dopo la sentenza di appello che decise sul risarcimento del danno e prima del ricorso per cassazione (la cui notifica fu richiesta il 28 febbraio 2012).

9. Il principio generale in materia di efficacia della legge nel tempo è fissato dall’art. 11 disp. gen., per il quale “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Il principio ammette deroghe. Nel caso specifico, la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 7 prevede che “le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione a tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge”. La seconda parte del comma aggiunge: “con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 c.p.c.”.

10. La Corte di cassazione ha affermato che, in linea generale, tale norma vale anche per i giudizi di legittimità a causa della sua specifica formulazione, in quanto nel concetto di giudizi pendenti rientrano anche quelli in cui la pendenza deriva dalla proposizione o proponibilità del ricorso per cassazione Cass., 31 gennaio 2012, n. 1409) e persino quelli in cui la Cassazione si è pronunciata con rinvio al giudice di merito e quest’ultimo non ha ancora definito il giudizio (Cass., 2 marzo 2012, n. 3305 e 4 febbraio 2015, n. 1995). L’interpretazione è stata pienamente condivisa dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 303 del 2011, emessa a seguito di una ordinanza di rimessione della Corte di cassazione basata sul presupposto della applicabilità della norma sopravvenuta al giudizio di legittimità. Al contrario, per completezza, va ricordato che la retroattività è stata esclusa con riferimento alle successive modifiche dell’art. 32 introdotte dal D.Lgs. n. 81 del 2015, che, in mancanza di un’analoga espressa deroga al principio generale, si applicano solo ai contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore del provvedimento legislativo (Cass. 19 ottobre 2015, n. 21069).

11. L’affermazione dell’applicabilità della normativa dettata dalla L. 183 del 2010, art. 32 anche ai giudizi pendenti in cassazione non risolve però tutti i problemi. Come ha rilevato l’ordinanza interlocutoria della sezione lavoro, sul tema si è determinato un duplice contrasto di orientamenti.

12. Il primo concerne il seguente dilemma. Secondo un orientamento è possibile richiedere direttamente, con uno specifico motivo di ricorso, l’applicazione della nuova disciplina retroattiva. Secondo altro orientamento ciò non sarebbe possibile, in quanto la proposizione del ricorso per cassazione non è ammissibile per ipotesi diverse da quelle previste dall’art. 360 c.p.c. che presuppongono necessariamente la denunzia di un vizio della sentenza di merito, vizio che non può consistere nella violazione di una legge che al momento della sentenza non era stata ancora emanata.

13. Il problema solo apparentemente attiene al tema della tipicità dei motivi di ricorso per cassazione. E’ fuori discussione che il ricorso per cassazione sia a critica vincolata e che i motivi indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-5, siano tassativi.

14. In realtà, la questione è tutta interna al concetto di violazione di norme di diritto e si risolve nel problema di stabilire se la violazione di norme di diritto, cui fa riferimento l’art. 360 c.p.c., n. 3 concerna solo quelle vigenti al momento denti decisione impugnata o invece anche norme emanate in seguito ma dotate dal legislatore di efficacia retroattiva.

15. Tale questione è stata definita da Cass., sez. un., 27 ottobre 2016, n. 21691, che ha affermato il seguente principio di diritto: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere interpretato nel senso che la violazione di norme di diritto può concernere anche norme emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano applicabili al rapporto dedotto in giudizio perchè dotate di efficacia retroattiva. In tal caso è ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta”.

16. Il secondo punto di contrasto prospettato nell’ordinanza della sezione lavoro attiene al rapporto tra legge retroattiva e giudicato interno e alla natura ed estensione dei limiti che la legge retroattiva sopravvenuta incontra a causa del giudicato. Anche questo contrasto è stato risolto dalle sezioni unite con la sentenza 21691/2016, che ha affermato il seguente principio di diritto: “Il ricorso per violazione di legge sopravvenuta incontra il limite del passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Tuttavia, quando la sentenza si compone di più parti connesse tra loro in un rapporto per il quale l’accoglimento dell’impugnazione nei confronti della parte principale determinerebbe necessariamente anche la caducazione della parte dipendente, la proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale impedisce il passaggio in giudicato anche della parte dipendente, pur in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima”.

17. Nel caso in esame è sufficiente richiamare i due principi, rinviando alla motivazione contenuta nella sentenza 21691/2016, anche perchè, nella controversia in esame le parti convengono sul punto poichè l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 viene espressamente richiesta non solo dalla difesa della RAI con il settimo motivo di ricorso, ma anche dalla difesa della controricorrente, come si legge a pag. 13 del controricorso, laddove si riconosce che alla controversia in esame deve applicarsi la L. n. 183 del 2010, art. 32 e si afferma che sul motivo di ricorso della società concernente l’applicazione della norma sopravvenuta, dovrà necessariamente pronunciarsi il giudice del rinvio, concordando quindi sulla necessità di cassare la sentenza sul punto e rinviare per un nuovo giudizio nel merito.

18. Tutti gli altri motivi di ricorso, sono invece inammissibili o infondati, come del resto ha ritenuto implicitamente la sezione lavoro, nel momento in cui ha riconosciuto la rilevanza delle questioni rimesse alle sezioni unite, che sussiste solo se, affermata l’illegittimità della clausola di apposizione del termine, si passa a quantificare il danno.

19. Le ragioni dell’infondatezza degli altri motivi sono così riassumibili.

20. Con il primo motivo si denunzia “violazione o falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., per mancato accoglimento della eccezione di scioglimento del rapporto per mutuo consenso. Con il secondo motivo si denunzia “omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla rilevanza del contegno inerte e di mancata contestazione della legittimità dei contratti serbato dalla F. per circa ventanni e comunque per due anni di interruzione di qualsiasi rapporto tra le parti dal 30 giugno 1991 al 1 luglio 1993”.

21. Con il terzo motivo si denunzia “carenza di motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo costituito dalla sussistenza di elementi di fatto tali da determinare nel caso di specie un’ipotesi di uso fraudolento dello strumento del contratto di lavoro a tempo determinato”.

22. Con il quarto motivo si denunzia violazione o falsa applicazione della L. 230 del 1962, art. 2, comma 2, in quanto, gravando sul lavoratore la prova dell’intento fraudolento, la Corte di merito “ha prescelto circostanze irrilevanti, in quanto del tutto neutre” a tal fine.

23. Con il quinto motivo si denunzia nullità della sentenza non definitiva per pronuncia su di un asserito motivo di appello incidentale non proposto inerente alle retribuzioni conseguenti alla dichiarazione di sussistenza ancora in atto del rapporto di lavoro anche per il periodo successivo all’ultimo rapporto.

24. Con il sesto motivo si denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1206 c.c. anche in relazione all’art. 1223 c.c. ed all’art. 2697 c.c. laddove la RA I è stata condannata ad un risarcimento commisurato alle retribuzioni maturate dalla offerta delle energie lavorative sino alla scadenza del terzo anno successivo alla scadenza dell’ultimo contratto.

25. Con l’ottavo ed ultimo motivo si denunzia “carenza di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla spettanza o meno delle differenze retributive riconosciutele dalla sentenza definitiva.

26. I su richiamati motivi sono tutti inammissibili o infondati, tranne il sesto che rimane assorbito dall’accoglimento del settimo motivo, in quanto la cassazione con rinvio per applicare alla fattispecie la L. n. 183 del 2010, art. 32 esclude ogni rilevanza delle questioni attinenti al risarcimento del danno operato dalla Corte condannando la società al pagamento) a tale titolo delle retribuzioni dalla messa a disposizione delle energie lavorative sino al compimento di un triennio decorrente dalla scadenza dell’ultimo contratto a termine della serie.

27. Quanto ai motivi con i quali si denunzia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per giurisprudenza costante di questa Corte, “il ricorso per cassazione deve “specificamente indicare il fatto controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo. (in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci si era limitati a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte dal ricorrente nel giudizio di appello, senza, però, individuare i fatti specifici, controversi e decisivi in relazione ai quali si assumeva fosse carente la motivazione medesima)” (ex Cass., ord., 5 febbraio 2011, n. 2805; ma cfr.,anche, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655).

28. Nel caso in esame ciò non è avvenuto perchè quelli indicati come “fatti” il cui accertamento sarebbe stato insufficientemente motivato, sono in realtà giudizi: con il secondo motivo per fatto si indica “la rilevanza del contegno inerte e di mancata contestazione”, con il terzo “la sussistenza di elementi di fatto tali da determinare nel caso di specie un’ipotesi di uso fraudolento dello strumento del contratto di lavoro a tempo determinato” e quindi non la sussistenza di un fatto storico in sè, ma una valutazione sulla sua idoneità a sostenere la tesi del carattere fraudolento; con l’ottavo motivo per fatto si intende “la spettanza” di un dato trattamento e quindi una valutazione giuridica circa la sussistenza di un diritto. In realtà, al di là dello schermo concettuale utilizzato, ciò che in questo modo si chiede alla Corte di legittimità, è una rivalutazione del merito, inammissibile in questa sede.

29.Analoghe considerazioni valgono per il quarto motivo con il quale si assume che, gravando sul lavoratore la prova dell’intento fraudolento, la Corte di merito “ha prescelto circostanze irrilevanti, in quanto del tutto neutre” a tal fine. Anche questa, sulla neutralità di alcune circostanze considerate dalla Corte d’appello è una valutazione di merito, così come al merito attiene la valutazione del contenuto dell’appello incidentale criticata con il quinto motivo.

30. Quanto infine al primo motivo con il quale si denunzia violazione dell’art. 1372 c.c. per mancato accoglimento della eccezione di mutuo consenso allo scioglimento del rapporto, deve ricordarsi che l’art. 1372 c.c., comma 1, stabilisce che il contratto può essere sciolto per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. La Corte di cassazione ha costantemente affermato che il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto deve essere espresso, oppure, salvo che non sia richiesta la forma scritta ad substantiam, deve essere desumibile da comportamenti concludenti (Cass. 26 ottobre 2015, n. 21764, nonchè Cass. 15264 del 2006).

31. Con riferimento al caso dei contratti a tempo determinato, la mancata impugnazione della clausola che fissa il termine viene considerata indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti a condizione che la durata di tale comportamento omissivo sia particolarmente rilevante e che concorra con altri elementi convergenti, ad indicare, in modo univoco ed inequivoco, la volontà di estinguere ogni rapporto di lavoro tra le parti. Il relativo giudizio attiene al merito della controversia (da ultime, Cass. l gennaio 2016, n. 1841 e 11 febbraio 2016, n. 2732, cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti).

32. Nel caso in esame la Corte d’appello ha applicato i principi di diritto fissati dalla giurisprudenza di legittimità, considerando la durata del comportamento omissivo e la consistenza e convergenza degli altri elementi. In applicazione di questi principi ha ritenuto, con valutazione congruamente motivata, che, in presenza di una serie di ventuno contratti a termine nell’arco di ventanni, una pausa dal 1991 al 1993 all’interno della quale si colloca una astensione per maternità, non consenta di ritenere provato il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto.. Anche con riferimento a questo tema, deve pertanto concludersi nel senso che il giudizio di merito non può essere riaperto e riformulato in sede di legittimità.

33. In conclusione, deve essere accolto solo il motivo del ricorso concernente l’applicazione della L. 183 del 2010, art. 32 mentre devono essere respinti tutti gli altri motivi. La sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il motivo di ricorso concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 rigetta tutti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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