Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2322 del 31/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2018, (ud. 11/05/2017, dep.31/01/2018),  n. 2322

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. I coniugi P.Z. e M.C. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 1043/14, pronunciata dalla Corte di Appello di Bologna ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., in data 11 aprile 2014, con cui essa, rigettando il gravame dai medesimi proposto avverso sentenza del Tribunale di Ferrara, ha confermato la reiezione della loro domanda volta all’accertamento della responsabilità professionale dell’Avv. Pe.Pi.Fr. e la condanna dello stesso al risarcimento dei danni.

2. Premettono la P. e il M. di essersi avvalsi del patrocinio del predetto difensore in un giudizio instaurato a proprio carico – sempre innanzi al Tribunale estense – da tale B.G., il quale lamentava danni da lesioni personali in conseguenza della caduta da una bicicletta, cagionata dal cane di proprietà di essi ricorrenti. Assumono, in particolare, che il legale non avrebbe correttamente adempiuto al suo mandato professionale in quel giudizio (conclusosi con la loro condanna al risarcimento dei danni), e ciò sotto più profili; innanzitutto, per essersi il professionista tardivamente costituito in giudizio, così precludendo ai propri assistiti la possibilità di chiamare in causa, per essere eventualmente manlevata dalla stessa, la compagnia assicuratrice (Fodiaria-Sai Assicurazioni s.p.a., d’ora in poi, “Fondiaria”) con la quale essi avevano stipulato polizza sia cd. “del capo famiglia”, sia relativa al fabbricato di loro proprietà. Assumono, inoltre, che l’Avv. Pe. avrebbe “disertato” numerose udienze di quel giudizio, omesso di fornirgli ogni informazione circa l’andamento dello stesso e, in particolare, di avvisarli sia della necessità di presentarsi a rendere interrogatorio formale, sia della possibilità – all’esito del processo, e stante la conclusione ad essi sfavorevole – di proporre appello, nei termini all’uopo previsti dalla legge. Infine, gli odierni ricorrenti imputano, soprattutto, al proprio legale di avergli fatto prescrivere il diritto ad essere garantiti dalla compagnia assicuratrice, per non avere alla stessa comunicato tempestivamente le richieste risarcitorie del B..

Ciò premesso in fatto, gli odierni ricorrenti deducono che la loro domanda di accertamento della responsabilità dell’avvocato (che, peraltro, veniva autorizzato a chiamare in giudizio il proprio assicuratore per responsabilità professionale, AXA Assicurazioni s.p.a., d’ora in poi, semplicemente, “AXA”), e di condanna dello stesso al risarcimento dei danni, è stata concordemente disattesa dal Tribunale di Ferrara e dalla Corte di Appello di Bologna. Esito, questo, motivato – per quanto continua a interessare nel presente giudizio di legittimità – sul rilievo che (come si legge testualmente nella sentenza della Corte felsinea) “la polizza prodotta in giudizio” dalla P. e dal M. “non garantiva il rischio per il quale il B. aveva proposto domanda di risarcimento”, e ciò sia “in quanto il sinistro si era verificato in data 11 gennaio 1998, mentre la polizza copriva i fatti accaduti successivamente al 21 maggio 2002”, sia perchè “detta polizza aveva ad oggetto danni al “fabbricato” e non danni provocati da animali domestici”, di talchè, in ragione della non operatività della polizza, “la tempestiva chiamata in giudizio della compagnia di assicurazione (…) non avrebbe comunque garantito o manlevato gli appellanti dalla condanna al risarcimento”. Nè, d’altra parte, sempre secondo la pronuncia oggi impugnata, poteva ipotizzarsi una responsabilità del difensore per aver fatto prescrivere il diritto dei propri assistiti ad essere garantiti dalla Fondiaria, atteso che, “a seguito della denuncia di sinistro” fatta ad essa dagli stessi P. e M. “in data 14 gennaio ‘98, il corso della prescrizione era da ritenersi sospeso ai sensi dell’art. 2592 c.c., u.c., finchè il credito del danneggiato non fosse divenuto liquido ed esigibile”.

3. Avverso la citata sentenza della Corte di Appello di Bologna la P. e il M. hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, tutti formulati a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

3.1. Con il primo, i ricorrenti lamentano “violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., e art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1)”.

In particolare, si dolgono del fatto che il giudice del gravame abbia disatteso la censura proposta innanzi ad esso e tesa a dimostrare la tardività dell’eccezione – sollevata, per la prima volta, da AXA nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, e dal Pe. addirittura nella memoria di replica – di inoperatività, rispetto al sinistro occorso al B., della polizza assicurativa stipulata con Fondiaria dagli odierni ricorrenti. L’assunto della P. e del M. – disatteso dal giudice di appello – è che, essendosi il Pe. difeso lungo l’intero corso del giudizio di responsabilità intentato nei suoi confronti solo attraverso la deduzione dell’esistenza di un presunto accordo fraudolento tra essi ricorrenti ed il B. (volto a far figurare il sinistro occorso al primo come accaduto all’interno della loro proprietà e non, invece, sulla pubblica via), il legale non avrebbe eccepito in modo espresso e, soprattutto, tempestivo, l’inoperatività della polizza stipulata con Fondiaria, non avvalendosi allo scopo neppure della memoria prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1), nel testo “ratione temporis” applicabile. Ponendosi, infatti, l’inoperatività della polizza – rispetto ad almeno uno degli addebiti ipotizzati nei confronti del legale (aver consumato, nel giudizio risarcitorio intentato dal B. verso i coniugi P. e M., la facoltà di chiamare in causa la Fondiaria, perchè la stessa manlevasse i suoi allora assistiti) – come fatto impeditivo del diritto degli odierni ricorrenti all’accertamento della sua responsabilità professionale e del suo conseguente obbligo risarcitorio, la relativa eccezione avrebbe dovuto essere tempestivamente sollevata nella comparsa di risposta, o quantomeno nella memoria destinata alla integrazione della stessa. Non essendo, viceversa, ciò avvenuto, la corretta applicazione del principio di non contestazione avrebbe dovuto indurre il giudice di Appello (riformando, sul punto, la decisione del giudice di prime cure) a concludere che l’esistenza di una polizza “valida ed operativa” tra gli odierni ricorrenti e la Fondiaria fosse stata “data per ammessa” dal Pe., ponendosi, pertanto, come “fatto esistente e non più contestabile”, donde violazione dei richiamati art. 167 c.p.c., e art. 183 c.p.c., comma 6.

3.2. Il secondo motivo (e, come si dirà, anche il terzo) viene formulato dai ricorrenti sulla falsariga del primo, deducendosi, in particolare, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, in materia di onere probatorio e valutazione della prova”, nonchè “degli artt. 167 e 115 c.p.c. e ss.”.

I ricorrenti, pur ribadendo che non era loro onere – in forza delle superiori considerazioni – dimostrare l’operatività della polizza da essi stipulata con Fondiaria, deducono di aver prodotto (documento n. 5 del fascicolo di primo grado) la comparsa di costituzione e risposta redatta, nel loro interesse, dall’Avv. Pe. nell’ambito del giudizio che li aveva visti convenuti dal B.. Orbene, poichè nella stessa si afferma la sicura operatività della polizza “de qua”, la sentenza oggi impugnata (come già quella del Tribunale di Ferrara, sebbene da essi specificamente gravata sul punto con il proposto gravame), nel negare rilievo a tale circostanza avrebbe operato una non corretta applicazione dei principi in tema di onere e valutazione della prova, con violazione delle norme suddette.

3.3. Il terzo motivo di ricorso – rubricato come “violazione e falsa applicazione degli artt. 1917 e 112 c.p.c., in materia di rilevabilità d’ufficio della inoperatività della polizza assicurativa” – censura l’affermazione del giudice d’appello che ha qualificato la non operatività della polizza intercorsa tra Fondiaria e gli odierni ricorrenti alla stregua di “eccezione deducibile in ogni stato e grado del processo in quanto volta a contestare il fondamento della domanda (di garanzia, n.d.r.) con l’assumere l’estraneità dell’evento ai rischi contemplati nel contratto”.

Sul punto i ricorrenti rilevano l’erroneità di tale affermazione, giacchè essa risulta predicabile con esclusivo riferimento “alla validità di un contratto assicurativo esistente tra le stessi parti in causa”, ovvero, “in buona sostanza”, alle “eccezioni che l’assicuratore può opporre al proprio assicurato”. Differente sarebbe, invece, il caso in esame, nel quale il contratto di assicurazione viene in rilievo quale presupposto di altra fattispecie, qual è esattamente quella della responsabilità di un legale per mancata tempestiva costituzione in giudizio, con conseguente perdita, per i propri assistiti, della facoltà di chiamare in causa il proprio assicuratore per essere da esso manlevati.

3.4. Infine, mediante il quarto ed ultimo motivo di ricorso, il P. e la M. si dolgono di “violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 2952 c.c., sulla sospensione del decorso del termine di prescrizione”.

Si assume l’illegittimità della pronuncia impugnata, laddove individua nella denuncia del sinistro occorso al B., effettuata da essi ricorrenti in data 14 gennaio 1998, l’atto idoneo a sospendere il corso della prescrizione del proprio diritto verso l’assicuratore a norma del citato art. 2952 c.c., comma 4, trattandosi, per contro, di comunicazione ritenuta non idonea a tale scopo dalla giurisprudenza di legittimità (è citata, in particolare, Cass. Sez. 1, cent. 22 agosto 2007, n. 17834, Rv. 598803-01).

Orbene, poichè – nel caso in esame – il giudizio risarcitorio è stato incardinato dal B. con atto di citazione di notificato il 12 gennaio 2001, in assenza di chiamata in causa della Fondiaria e di altri atti idonei a sospendere il corso della prescrizione dei diritti che gli odierni ricorrenti avrebbero potuto far valere nei suoi confronti, la stessa risulta essersi maturata il 12 gennaio 2002, essendo all’epoca il termine prescrizionale di durata annuale (e non biennale, come da modifica apportata dal D.L. 28 agosto 2008, n. 134, art. 3, comma 2 ter, convertito nella L. 27 ottobre 2008, n. 166.

4. Resiste al ricorso la sola AXA, che – previa eccezione di inammissibilità dell’avversaria impugnazione, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), non avendo i ricorrenti, a suo dire, ottemperato all’onere, previsto in caso di deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, di operare la “specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella gravata sentenza che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina” (viene citata Cass. Sez. 3, sent. 28 febbraio 2012, n. 3010, Rv. 621483-01) – ha chiesto disporsi il rigetto della stessa.

5. Hanno presentato memoria la Procura Generale presso questa Corte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità, o comunque disporsi il rigetto dell’impugnazione, nonchè i ricorrenti, insistendo nelle proprie conclusioni.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente AXA.

Affinchè possa ritenersi soddisfatta – allorchè con ricorso per cassazione sia dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – l’osservanza del requisito previsto dall’art. 366, comma 1, n. 4), del medesimo codice di rito civile, è certamente richiesta non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, “l’utilizzazione di specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti” tese “a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità”; a tale scopo, tuttavia, è certamente sufficiente “una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia” che sia “operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata” (Cass. Sez. 1, sent. 29 novembre 2016, n. 24289, Rv. 642805-01).

Orbene, tali condizioni risultano soddisfatte nel caso di specie, avendo i ricorrenti motivato in modo idoneo – anche attraverso pertinenti citazioni giurisprudenziali – le ragioni dell’erroneità, a loro dire, delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata circa la ripartizione dell’onere della prova, la (ir)rilevanza del principio di non contestazione e l’efficacia sospensiva del corso della prescrizione del diritto ex art. 2598 c.c., da attribuire alla denuncia del sinistro, contrapponendo al sillogismo del giudice un chiaro ed intellegibile percorso argomentativo alternativo.

6. Passando all’esame del ricorso, deve rilevarsi che i motivi primo e quarto – da trattarsi congiuntamente, per le ragioni di seguito illustrate – sono fondati, con conseguente assorbimento degli altri.

6.1. Come già sopra evidenziato, gli odierni ricorrenti P. e M. ebbero ad incardinare un giudizio di responsabilità professionale nei confronti dell’Avv. Pe., fondandolo, tra l’altro, sul rilievo che costui – nella causa civile in cui ebbe a prestare la propria opera intellettuale, e nella quale i suoi assistiti furono convenuti in giudizio, in forza di domanda risarcitoria da responsabilità civile proposta nei loro confronti – omise di costituirsi tempestivamente (fatto mai messo in discussione dalle parti del presente giudizio), con conseguente perdita, per i convenuti, della facoltà di chiamare in causa, ai sensi della seconda alinea dell’art. 106 c.p.c., il proprio assicuratore per la responsabilità civile, società Fondiaria. Parte ricorrente ha dedotto, altresì, che a tale inerzia del loro (già) legale sarebbe seguita la prescrizione del diritto, ad essi spettante, di essere manlevati da tale soggetto, e ciò in assenza di validi atti di sospensione del corso della prescrizione (che ha cominciato a decorrere, a norma dell’art. 2952 c.c., comma 3, ultima alinea, dal momento in cui gli odierni ricorrenti furono convenuti in giudizio, con citazione notificatagli il 12 gennaio 2001), tale non potendosi ritenere – come invece sostenuto dalla sentenza impugnata – la denuncia del sinistro.

6.2. Orbene, la sentenza impugnata incorre in un duplice errore di diritto, sia nel negare che con riferimento alla presente fattispecie sussistessero i presupposti per l’applicazione del principio di non contestazione (con riguardo all’operatività della polizza stipulata dalla P. e la M. nei confronti dell’assicuratore), sia nel riconoscere alla denuncia del sinistro presentata dagli odierni ricorrenti l’idoneità a sospendere il corso della prescrizione del loro diritto verso l’assicuratore a norma del citato art. 2952 c.c., comma 4.

6.2.1. Infatti, quanto al primo profilo, deve osservarsi che, nel costituirsi nel giudizio instaurato a suo carico, l’Avv. Pe. – a fronte di una circostanza prospettatazione, ad opera di parte attrice, tesa a dimostrare le ragioni della sua responsabilità, per non aver provveduto alla tempestiva chiamata in giudizio (nella causa in cui egli svolse la propria opera professionale) dell’assicuratore dei suoi assistiti – risulta avere svolto esclusivamente argomentazioni dirette a negare, genericamente, il proprio inadempimento.

Infatti, l’eccezione relativa all’inoperatività della polizza stipulata dalla P. e dal M. con la Fondiaria – sollevata nella fase di primo grado del presente giudizio neppure dal convenuto, bensì dal suo assicuratore per la responsabilità professionale (la società AXA, dall’Avv. Pe. chiamata in giudizio in manleva), peraltro nella memoria conclusionale – veniva dallo stesso fatta proprio, addirittura, soltanto con la memoria di replica. Il legale, per contro, avrebbe dovuto prendere immediatamente posizione sul punto, sicchè – in difetto di una sua tempestiva iniziativa a riguardo – l’operatività della polizza suddetta ha finito con divenire incontestata, diversamente da quanto affermato dalla sentenza qui impugnata.

Giova, sul punto, rammentare che all’operatività del principio di non contestazione risultano sottratte solo le mere difese (da ultimo, Cass. Sez. Lav., sent. 13 settembre 2016, n. 17966, Rv. 641176-01), tale non potendosi, nella specie, considerare la deduzione dell’inoperatività della polizza, atteggiandosi, piuttosto, come fatto impeditivo della (peculiare) fattispecie di responsabilità professionale ipotizzata a carico dell’Avv. Pe.. D’altra parte, poi, proprio la specificità della contestazione relativa all’inesatta esecuzione della sua prestazione professionale (concernendo essa, in definitiva, la perdita dei diritto dei coniugi P. e M. ad essere manlevati dal proprio assicuratore per la responsabilità civile), imponeva al legale di prendere specificamente posizione sul tema, non potendo, pertanto, egli giovarsi dell’evenienza – che preclude l’operatività del principio di non contestazione – secondo cui “a fronte di una generica deduzione” di parte attrice, “la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica” (Cass. Sez. 3, sent. 19 ottobre 2016, n. 21075, Rv. 642939-01). Nella specie, per contro, l’odierna parte ricorrente, allorchè ebbe a convenire in giudizio l’Avv. Pe. per vederne riconosciuta la responsabilità professionale, ha certamente “ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione”, condizione imprescindibile, come detto, perchè possa operare il principio di non contestazione (tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 17 febbraio 2016, n. 3023, Rv. 639077-01).

Infine, è appena il caso di rammentare che, essendo stato l’atto di citazione in primo grado notificato all’Avv. Pe. in data 3 dicembre 2010, trova applicazione, nel caso di specie, il novellato testo dell’art. 115 c.p.c., comma 1, che ha conferito espresso rilievo al principio di non contestazione, all’esito della modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 14, con decorrenza a far data dal 4 luglio 2009. Nondimeno, anche prima di tale modificazione legislativa, non si dubitava dell’operatività del principio “de quo”, individuandosene il fondamento nell’art. 167 c.p.c. (ex multis, Cass. Sez. 3, sent. 6 ottobre 2015, n. 19896, Rv. 637316-01).

6.2.2. D’altra parte, si basa su un presupposto giuridicamente erroneo – come detto – anche l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata e secondo cui la condotta tenuta dall’Avv. Pe., nel giudizio in cui ebbe ad assistere la P. ed il M., non avrebbe comportato la perdita del diritto degli stessi ad essere garantiti dalla loro compagnia assicuratrice. Assume, infatti, la Corte felsinea che la denuncia di sinistro, fatta da costoro al proprio assicuratore, si porrebbe come atto idoneo a sospendere il corso della prescrizione del diritto ai medesimi spettante verso di esso, a norma del citato art. 2952 c.c., comma 4.

E’ stato, per contro, ripetutamente affermato da questa Corte che in tema di assicurazione, “alla norma generale dettata, in tema di prescrizione, dall’art. 2935 c.c.(secondo la quale la prescrizione stessa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere), viene apportata deroga dalla norma di cui all’art. 2952 c.c., comma 4, la quale, regolando in ogni suo aspetto il rapporto tra assicurato e assicuratore, detta, altresì, la disciplina speciale della sospensione del termine di prescrizione sino alla definitiva liquidità ed esigibilità del credito del terzo danneggiato; tale sospensione si verifica non già con la denuncia del sinistro, bensì con la comunicazione, efficace anche se proveniente dallo stesso danneggiato o da un terzo, all’assicuratore, della richiesta di risarcimento proposta dal danneggiato” (Cass. Sez. 3, sent. 22 agosto 2007, n. 17834, Rv. 598803-01; in senso conforme Cass. Sez. Lav., sent. 28 febbraio 2012, n. 3042, Rv. 621198-01; Cass. Sez. 3, sent. 26 febbraio 2024, Rv. 630123-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 24 febbraio 2016, n. 3568, Rv. 63888501).

Orbene, poichè – come sopra già illustrato – il giudizio risarcitorio a carico della P. e del M. è stato incardinato con atto di citazione di notificato il 12 gennaio 2001, in assenza di chiamata in causa della Fondiaria, ovvero di altri atti idonei a sospendere il corso della prescrizione dei diritti che gli odierni ricorrenti avrebbero potuto far valere nei confronti del proprio assicuratore (della cui esistenza la sentenza impugnata non dà conto), la prescrizione risulta essersi maturata il 12 gennaio 2002, essendo all’epoca il termine prescrizionale di durata annuale (e non biennale, come da modifica apportata dal D.L. 28 agosto 2008, n. 134, art. 3,comma 2 ter, convertito nella L. 27 ottobre 2008, n. 166).

7. In conclusione, il ricorso va accolto alla stregua del suo primo motivo, con assorbimento degli altri, e, per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna, che nella decisione della stessa si atterrà al principio ricavabile dalla considerazioni che precedono, valutando anche l’incidenza, o meno, che – ai fini della sospensione della prescrizione del diritto verso Fondiaria – ha avuto l’invio della denuncia del sinistro occorso al B..

PQM

La Corte accoglie il primo e quarto motivo di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata, rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018

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