Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2322 del 03/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2322 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 2100-2007 proposto da:
FALLIMENTO
S.R.L.,

in

REALIZZAZIONE
persona

del

GRANDI

Curatore

LAVORI

R.G.L.

GIUSEPPE

avv.

LA

GRASSA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

2013

FARNESINA

269,

ALESSANDRO,

rappresentato

l’avvocato

presso
e

difeso

Data pubblicazione: 03/02/2014

D’URBANO

dall’avvocato

CANDIA VITO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

1969

contro

CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE PIANA

1

DI SIBARI-VALLE CRATI, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 82, presso
l’avvocato MAllEI VINCENZO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ARANGO VINCENZO,

SCORNAJENGHI di RENDE – Rep.n. 86114 del 14.2.2007;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5079/2005 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/11/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. SERGIO
DI AMATO;
udito, per il ricorrente,

l’Avvocato D’URBANO

ALESSANDRO, con delega avv. CANDIA VITO, che si
riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per l’inammissibilità art. 372 c.p.c.,

giusta procura speciale per Notaio RICCARDO

accoglimento del primo e secondo motivo, rigetto dei
motivi restanti.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 24 novembre 2005 la Corte di appello
di Roma, in parziale accoglimento della domanda proposta
dal fallimento della s.r.l. Realizzazione Grandi Lavori
Impresa Molinari & C.), condannava il

(già s.p.a.

Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale Piana di
Sibari – Valle Crati al pagamento della somma di
26.374,56=, oltre interessi dal 22 dicembre 1983. La
Corte di appello premetteva che il Consorzio, con
contratto

del

27

novembre

1980,

aveva

affidato

all’Impresa Molinari l’esecuzione dei lavori del
collettore finale della rete fognante dell’agglomerato di
Piano del Lago; che in corso d’opera l’impresa aveva
iscritto sette riserve per la cui decisione aveva
attivato giudizio arbitrale formulando, con atto del 19
dicembre 1983, dodici quesiti; che nel prosieguo dei
lavori l’impresa aveva aggiornato le riserve e ne aveva
aggiunto altre; che l’impresa, dopo la costituzione del
collegio arbitrale, aveva notificato “atto per
integrazione dei quesiti”, riformulandoli in numero di
venticinque; che il collegio arbitrale accoglieva alcune
delle domande originarie ed alcune di quelle proposte con
l’atto integrativo, condannando il Consorzio al pagamento
della somma di lire 595.592.929; che la Corte di appello
di Roma, a seguito della cassazione con rinvio di una
3

prima decisione ed a seguito della riassunzione ad
iniziativa del curatore del fallimento dell’impresa
dichiarato nelle more, aveva dichiarato la nullità del
lodo (sent. n. 868/2001) e rimesso le parti in
istruttoria. Tanto premesso, la Corte di appello

osservava che: l) le domande respinte nel giudizio
arbitrale non erano state riproposte come materia del
giudizio rescissorio; infatti, a seguito della
riassunzione da parte del Consorzio, l’Impresa Molinari
si era costituita (comparsa di risposta dell’8 novembre
1998) chiedendo consulenza tecnica d’ufficio «onde
determinare quanto ha formato oggetto dei quesiti
proposti dall’Impresa in sede arbitrale ed accolti dagli
Arbitri»; 2) con riferimento alle domande accolte nel
giudizio arbitrale e riproposte innanzi alla Corte di
appello era fondata l’eccezione di inammissibilità
p ^01..

formulata dal
dal Consorzio quanto alle domande e4~1~ con
l’atto di integrazione dei quesiti che non costituivano
semplice precisazione di quelle formulate con l’atto di
accesso agli arbitri; 3) il fallimento non aveva
depositato i fascicoli dell’impresa relativi al giudizio
arbitrale ed alle precedenti fasi di merito e di
legittimità, con la conseguenza che la decisione doveva
essere assunta sulla scorta dei soli documenti depositati
dal Consorzio; 4) sulla base dei predetti documenti si
poteva riconoscere all’impresa: a) la somma di lire

4

6.405.473=,

quale

indennizzo

per

spese

generali

sopportate in conseguenza della sospensione dei lavori
dal 9 luglio 1982 all’il aprile 1983 (riserva n. l;
quesito n. l); b) la somma di lire 30.241.200 in
relazione ai maggiori oneri di scavo tra paratie (riserva

n. 2; quesito n. 2), sulla base di un prezzo a mc. di
lire 20.000 determinato dal collegio, senza procedere
alla richiesta c.t.u., avendo riguardo al fatto che
contrattualmente per lo scavo in cunicolo era previsto un
prezzo di lire 23.000 al mc.; c) la somma di lire
14.421.600 in relazione ai maggiori quantitativi di scavo
(riserva

n. 5; quesito n. 6), limitatamente a quelli

autorizzati e con esclusione di quelli riferibili ad una
data successiva al primo accesso agli arbitri, in quanto
estranei, per quanto sopra detto, alla materia del
giudizio rescissorio; 5) nessuna somma poteva, invece,
riconoscersi in relazione: al) al prosciugamento
dell’acqua negli scavi (riserva n. 3; quesito n. 3) in
quanto il relativo onere, in aggiunta a quanto già
riconosciuto, era stato calcolato dall’impresa sulla base
di semplici appunti informali; bl) ai quesiti nn. 5 e 7,
in quanto ritenuti rinunciati dagli arbitri; cl) alla
revisione prezzi sulle somme liquidate (quesito n. 8), in
difetto della produzione di idonea documentazione.
Il fallimento della s.r.l. Realizzazione Grandi Lavori
(già s.p.a. Impresa Molinari & C) propone ricorso per
5

cassazione, deducendo cinque motivi illustrati anche con
memoria. Il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale
Piana di Sibari – Valle Crati resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il fallimento ricorrente deduce

l’errore ed il travisamento, tradottosi in un vizio di
motivazione, nel quale sarebbe incorsa la Corte di
appello considerato che la stessa – dopo avere ritenuto
che la controversia, in virtù del tenore dell’atto di
riassunzione, era rimasta circoscritta “ai quesiti
accolti dagli arbitri” – aveva identificato le domande,
e le riserve ad esse sottostanti, soltanto in quelle
risultanti dall’originario atto di accesso agli arbitri,
che invece avevano accolto i quesiti contraddistinti
nell’atto di integrazione con i nn. l, 2, 3, 5 (già 6
nella domanda di arbitrato), 8, 11, 17, 22 (già 9), 23
(già 10).
Il motivo è inammissibile poiché non coglie la
decidendi.

ratio

La Corte di appello non ha esaminato tutte le

domande risultanti dall’atto di integrazione non perché
abbia errato nell’identificare i quesiti accolti dagli
arbitri (il che, comunque, avrebbe dato luogo ad un
errore revocatorio non denunciabile in questa sede), ma
perché ha ritenuto ammissibili soltanto le domande e le
sottostanti riserve formulate con l’originario atto di
accesso agli arbitri del 19 dicembre 1983.
6

Con il secondo motivo il fallimento deduce il vizio di
motivazione e la violazione degli artt. 183, 184 e 816
c.p.c., lamentando che erroneamente la Corte di appello
aveva ritenuto inammissibili le domande proposte con
l’atto di integrazione che rappresentavano il mero

aggiornamento delle domande proposte con l’originario
atto di accesso agli arbitri e le domande che
introducevano un petitum

diverso da quello originario,

considerato che il Consorzio aveva accettato il
contraddittorio, contestando nel merito tutte le domande,
e considerato altresì che i compromittenti possono
ampliare e modificare i quesiti sottoposti al giudizio
degli arbitri, senza incorrere, come ritenuto da Cass. n.
12517/199315 nelle preclusioni di cui agli artt. 183 e 184
c.p.c.. Inoltre, con riferimento alla disciplina
anteriore alla legge n. 353/1990, doveva considerarsi
domanda nuova per mutamento della

causa

petendi

solo

quella che comportava una trasformazione obiettiva della
controversia e per mutamento del petitum solo quella che
innovava “l’oggetto mediato della pretesa”.
Il motivo è inammissibile per genericità.

Il

ricorrente, infatti, pur avendo riportato nella parte
introduttiva del ricorso i quesiti formulati nell’atto di
accesso agli arbitri e nell’atto integrativo e pur avendo
indicato le norme di diritto che assume essere state
violate, non svolge alcuna considerazione di raffronto
7

tra i vari quesiti, devolvendo inammissibilmente alla
Corte il compito di effettuarne l’esame ed individuare
gli elementi idonei a qualificarli come meri
aggiornamenti e gli elementi idonei ad escludere la
trasformazione della controversia o l’innovazione

dell’oggetto mediato della pretesa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di
motivazione per l’omesso esame di documenti decisivi e la
violazione degli artt. 165, 184 c.p.c. e 74, 76, e 87
d.a.c.p.c., lamentando che la Corte di appello aveva
erroneamente affermato la mancata produzione del
fascicolo di parte, senza considerare le annotazioni sul
frontespizio del fascicolo d’ufficio e l’indice degli
atti redatto dalla cancelleria dai quali risultava detta
produzione, confermata del resto dall’attestato di
cancelleria relativo al ritiro degli atti dopo la
decisione. Nella specie, pertanto, ricorreva una ipotesi
di smarrimento da parte dell’ufficio, con conseguente
obbligo del giudice di disporne la ricerca ed
eventualmente la ricostruzione.
Con il quinto motivo, che deve essere esaminato
insieme al terzo per ragioni di connessione, il
ricorrente deduce il vizio di motivazione nonché la
violazione del diritto di difesa, del principio del
contraddittorio e dell’onere della prova (artt. 24 Cost.,
101 e 115 c.p.c.), lamentando che la Corte di appello
8

aveva deciso sulla base dei soli atti del Consorzio e
senza tenere conto dei documenti presenti nel suo
fascicolo, smarrito dalla cancelleria, i quali erano
idonei a supportare tutte le riserve. A tal fine il
ricorrente elenca, con riferimento ai quesiti nn. l, 2, 3

e 6 i documenti prodotti e asseriti come rilevanti.
I motivi sono inammissibili per genericità e difetto
di autosufficienza in quanto manca l’allegazione e la
prova della decisività dei documenti pretermessi, dei
quali, inoltre, non viene riportato il contenuto
rilevante ai fini di causa.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce il vizio di
motivazione del rigetto dell’istanza di consulenza
tecnica, giustificata solo con riferimento alla riserva
n. 2 e con una valutazione («inopportunità di affrontare
il costo di una consulenza tecnica d’ufficio per
l’importo della posta in contestazione») che non poteva
costituire idonea motivazione.
Il motivo è inammissibile. L’omesso esercizio di
poteri discrezionali non deve essere motivato ed il
ricorrente, quando lamenta la mancata ammissione di una
consulenza tecnica d’ufficio, ha l’onere, nella specie
àsotA, 1..ffiA,‘”
le
non assolto, di censurare la motivazione”
omissioni, insufficienze e contraddittorietà (art. 360 n.
5 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche

ex lege n.

40/2006).
9

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P . Q . M .
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente
al rimborso delle spese di lite liquidate in C 8.200,00=,

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’il
dicembre 2013.

di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CP.

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