Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2322 del 02/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 02/02/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 02/02/2021), n.2322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13073-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, (C.F. (OMISSIS)), in persona

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

SICILIANA IMMOBILIARE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA GIULIANA 63, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO GARATTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO RAFFADALE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1220/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR della Sicilia, con sentenza nr. 1220 /2018, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia nr 359/2012 della CTP di Palermo con cui era stato accolto il ricorso della società Siciliana Immobiliare s.r.l. relativo all’impugnativa di un avviso di accertamento emesso per la tardiva presentazione della dichiarazione modello Unico/2004 e per l’indebita deduzione di quote di ammortamento operate sul costo di acquisizione di un immobile.

Rilevava che l’Agenzia delle entrate non aveva fornito a supporto della propria pretesa alcun argomento idoneo a scalfire l’intervenuta assoluzione in sede penale nei confronti del rappresentante legale, degli amministratori e dei soci della società Siciliana Immobiliare.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a due motivi cui resiste la società contribuente.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta in particolare che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine a quello che aveva costituito oggetto di uno specifico motivo di appello vale a dire la non contestazione in merito alla ripresa a tassazione della somma di Euro 327.213,00 quale componente positivo di reddito rilevata dalle annotazioni riportate sul libro giornale e sul bilancio di esercizio al 31.12.2003.

In tal modo il Giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 115 c.p.c. a norma del quale il giudice è tenuto a porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati.

Con un secondo motivo deduce la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, art. 116 e 654 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che il Giudice di appello si sarebbe limitato a recepire le conclusioni assolutorie contenuta nella sentenza penale emessa nei riguardi dei soci e degli amministratori della società contribuente senza tenere nel debito conto gli indirizzi espressi dalla cassazione in merito all’indipendenza dei due procedimenti (tributario e fiscale) e senza procedere ad un vaglio critico di quella decisione e alla valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti in aperta violazione dell’art. 116 c.p.c.

Il primo motivo è inammissibile.

Va rilevato con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., che tale norma (così come quella di cui al successivo art. 116 c.p.c.) trova il suo fondamento nel principio del libero convincimento del giudice e, pertanto, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle relative regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e neppure una violazione di legge, riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 3, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012. (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828 – 02).

Avendo il ricorrente argomentato solo sotto il profilo della violazione di legge, senza neppure indicare la ricorrenza dei presupposti di un vizio motivazionale, ed in particolare sul se ed in che termini il “fatto” non considerato sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti, tale profilo di censura risulta inammissibile.

Relativamente al secondo motivo giova ricordare che nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare” (Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 22/05/2015, Rv. 635637 – 01);

– “Nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva” (Sez. 5, Sentenza n. 2938 del 13/02/2015, Rv. 634894 – 01);

ciò posto la sentenza impugnata, nel dare atto della esistenza del giudicato penale oggetto del mezzo proposto, ha poi correttamente applicato tutti detti principi di diritto consolidatisi nella giurisprudenza di questa Corte, valorizzando in fatto che l’Amministrazione finanziaria non era stata in grado di contrapporre ad essa alcuna circostanza in grado di corroborare la pretesa impositiva.

Il profilo di censura si appunta su un difetto motivazionale, non più utilmente prospettabile se non nei limiti segnati dalla giurisprudenza nomofilattica (Sez. U. nn, 8053 e 8054 del 2014 secondo cui: “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri di legge.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’intimata delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 16000,00 oltre s.p.a..

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

 

 

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