Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23211 del 15/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 15/11/2016, (ud. 26/09/2016, dep. 15/11/2016), n.23211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 18251 del ruolo generale dell’anno

2014 proposto da:

SIR.CA. S.S., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

pro tempore P.D.; S.S. (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dagli

avvocati Francesco d’Ayala Valva (C.F.: DYLFNC45E04H501K) e Paolo

Centore (C.F.: CNTPLA51A01D969N);

– ricorrenti –

nei confronti di:

G.A.M., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta

procura in calce al controricorso, dagli avvocati Antonio Lerici

(C.F.: LRCNTN58L16L219P) e Rosella Pepa (C.F.: PPERLL64E71B468Z);

– controricorrente –

nonchè

M.A. (C.F.: (OMISSIS)), MA.Ma. (C.F.:

(OMISSIS)), S.F.C. (C.F.: (OMISSIS)),

S.B.A. (C.F.: (OMISSIS)), S.B. (C.F.: (OMISSIS)),

C.M.G. (C.F.: (OMISSIS));

– intimati –

per la cassazione della sentenza pronunziata dalla Corte di Appello

di Genova n. 409/2014, depositata in data 26 marzo 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

26 settembre 2016 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.A.M. agì in giudizio nei confronti di SIR.CA S.S., di S.S. e di M.A., per ottenere la declaratoria di simulazione assoluta e, in subordine, di inefficacia ai sensi dell’art. 2901 c.c., di due atti di trasferimento di partecipazioni societarie (avvenuti in data 19 dicembre 1996 e 15 febbraio 1997, con riguardo ciascuno a 2.500 azioni di Autocorsica S.p.A.) effettuati dall’ultimo in favore dei primi due.

Il Tribunale di Genova accolse l’azione revocatoria.

La Corte di Appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado, rigettando l’appello proposto da SIR.CA S.S. e da S.S..

Questi ultimi ricorrono, sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso G.A.M..

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 e 2903 c.c.. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è infondato.

Si premette che l’oggetto delle censure avanzate con il motivo di ricorso in esame non è esposto in modo lineare, sintetico e del tutto chiaro. Parte ricorrente richiama affermazioni di principio generali e teoriche (in particolare, nei primi tre paragrafi) di cui non è adeguatamente chiarita la rilevanza concreta, e sovrappone argomenti e questioni diverse, di modo che risulta difficoltosa la esatta percezione dei suoi argomenti.

Per quanto è dato comprendere, comunque, viene censurata la decisione impugnata: a) nella parte in cui ha ritenuto sussistere il requisito del cd. eventus damni, sulla base di consulenze tecniche le cui risultanze si assumono non adeguatamente valutate, e nonostante le ragioni di credito della G. non fossero ancora venute ad esistenza al momento della permuta del giugno 1995 (essendo state accertate solo successivamente); b) nella parte in cui ha ritenuto revocabile il contratto definitivo di trasferimento delle partecipazioni, a prescindere dalla valutazione del precedente contratto preliminare di permuta; c) comunque, nella parte in cui avrebbe ritenuto la sussistenza del cd. consilium fraudis, peraltro accertandolo al momento della stipulazione dei contratti definitivi, senza ritenere necessario accertare la dolosa preordinazione al momento della stipulazione del contratto preliminare, e cioè al giugno 1995, data dalla quale avrebbe dovuto farsi decorrere anche la prescrizione dell’azione.

Orbene, per quanto attiene alla revocabilità del contratto definitivo di vendita che sia preceduto dalla stipulazione di contratto preliminare, in base ai principi affermati nella giurisprudenza di questa Corte (che del resto la stessa parte ricorrente mostra di condividere) “sono soggetti a revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c., i contratti definitivi stipulati in esecuzione di un contratto preliminare, allorquando sia provato il carattere fraudolento del negozio con cui il debitore abbia assunto l’obbligo poi adempiuto, e tale prova può essere data nel giudizio introdotto con la domanda revocatoria del contratto definitivo indipendentemente da un’apposita domanda diretta nei confronti del contratto preliminare per sentirne dichiarare l’inefficacia” (ex multis, cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18528 del 20/08/2009, Rv. 609396), con la precisazione per cui “la sussistenza dell’eventus damni” rispetto al creditore procedente va valutata in riferimento al momento della stipula del contratto definitivo, verificandosi soltanto in tale momento il compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore, mentre, per contro, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c. in capo all’acquirente va valutato, invece, in relazione al momento della stipula del contratto preliminare, dovendosi contemperare, in ossequio alla “ratio” dell’azione revocatoria, la garanzia patrimoniale dei creditori con l’affidamento del terzo nello svolgimento della propria autonomia privata” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17365 del 18/08/2011, Rv. 619120; nel medesimo senso, Sez. 3, Sentenza n. 9970 del 16/04/2008, Rv. 602786; Sez. 1, Sentenza n. 2005 del 29/01/2008, Rv. 601255).

Tali principi risultano correttamente applicati nella decisione impugnata – sulla base degli accertamenti di fatto incensurabilmente operati dalla corte di merito a seguito di adeguata valutazione del materiale istruttorio – e dunque tale decisione si sottrae alle censure di violazione di legge avanzate dai ricorrenti.

Ed infatti:

a) laddove – come nella specie – sia impugnato il contratto definitivo, la prescrizione dell’azione non può che decorrere dalla data di quest’ultimo, come esattamente ritenuto dalla corte di appello;

b) il requisito oggettivo del pregiudizio per il creditore derivante dall’atto dispositivo (cd. eventus damni) è stato ritenuto sussistente sulla base di adeguata valutazione del materiale probatorio acquisito (valutazione evidentemente non censurabile nella presente sede), e correttamente accertato con riguardo ai contratti definitivi;

c) per quanto attiene alla preesistenza del credito della G. rispetto all’atto dispositivo, a pag. 8 della decisione impugnata viene espressamente chiarito che esso sussisteva sin dal 1991, data della prima ordinanza presidenziale che aveva determinato provvisoriamente l’assegno di separazione dovuto dal M. alla G. (ordinanza la cui natura di titolo esecutivo esclude qualunque ragionevole dubbio sulla sua idoneità a costituire la ragione di credito richiesta ai fini del positivo esercizio dell’azione revocatoria);

d) sempre in base ad adeguata (e comunque non censurabile nella presente sede) valutazione del materiale istruttorio, è stato ritenuto che il contenzioso economico conseguente al giudizio di separazione coniugale (iniziato nel 1991) tra G. e M. fosse ben noto al S., acquirente negli atti impugnati, in virtù dei rapporti professionali e familiari di lunga data con il M. stesso.

Tutte le ulteriori questioni poste con il motivo di ricorso in esame, e relative alla natura e all’oggetto del contratto preliminare di permuta tra il M. ed il S., sono del resto fondate sul presupposto per cui quest’ultimo ebbe luogo nel giugno del 1995.

Ma si tratta di un presupposto che contrasta con gli accertamenti di fatto definitivamente compiuti nel giudizio di merito.

In primo grado infatti il tribunale ha chiaramente escluso che il contratto in questione avesse data certa, ai sensi dell’art. 2704 c.c. e tale data fosse quindi opponibile alla G. e, in secondo grado, la corte di appello ha espressamente confermato tale statuizione (pur aggiungendovi l’ulteriore e autonoma ratio decidendi relativa alla sua natura di contratto preliminare), senza che sul punto sia stata avanzata specifica censura nella presente sede.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c.. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Parte ricorrente si duole del fatto che, a suo dire, sarebbero stati illegittimamente tratti argomenti di prova dalla contumacia del M., addirittura anche con riguardo alla propria posizione, e che il materiale istruttorio non sarebbe stato correttamente valutato (in particolare, a suo dire, non avrebbe dovuto tenersi conto delle risultanze degli accertamenti tecnici di ufficio disposti nel giudizio di separazione coniugale tra M. e G., contenenti opinioni personali del consulente).

Orbene, la denunzia di violazione delle norme in tema di prova per presunzioni risulta del tutto generica (parte ricorrente non spiega assolutamente perchè ed in quali termini sarebbero state violate tali norme, e di fatto finisce semplicemente per richiedere una inammissibile nuova e diversa valutazione delle prove).

Altrettanto è a dirsi per le critiche alla valutazione delle risultanze degli accertamenti tecnici di ufficio disposti nel giudizio di separazione coniugale tra M. e G.: parte ricorrente afferma che sarebbero state prese in considerazione opinioni personali del tecnico, ma non chiarisce quali, e in che modo il giudice ne avrebbe tenuto conto ai fini della decisione; manca inoltre una specifica censura delle argomentazioni della sentenza impugnata in relazione ai dati di fatto ricavabili dalle consulenze ritenuti rilevanti.

Esclusa qualunque violazione delle norme invocate, è opportuno ribadire che ogni censura relativa alla valutazione dei fatti sarebbe da ritenersi comunque inammissibile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile alla fattispecie, in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (marzo 2014). Il motivo è poi infondato nella parte in cui assume che il giudice di merito avrebbe tratto argomenti dalla contumacia del M.. Gli argomenti di prova sono stati tratti – del tutto legittimamente, ai sensi degli artt. 116 e 232 c.p.c. – dalla mancata comparizione del M. a rendere l’interrogatorio formale, non dalla sua contumacia.

3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Anche questo motivo è infondato.

Parte ricorrente sostiene in primo luogo che, preliminare o definitiva che fosse la permuta del giugno 1995, era a tale data che occorreva valutare lo stato psicologico del terzo acquirente S., ma tale accertamento sarebbe stato completamente omesso, così come sarebbe stato omesso l’accertamento della data in cui era sorto il credito della G., e di conseguenza non sarebbe stato accertato se si doveva verificare la sussistenza della mera consapevolezza di detto credito da parte dell’acquirente o la dolosa preordinazione fraudolenta da parte di quest’ultimo.

Si tratta di questioni con le quali in sostanza viene ribadito quanto già esposto nel primo motivo in relazione alla contestazione del cd. consilium fraudis.

E’ pertanto sufficiente rinviare a quanto osservato con riguardo a detto motivo, in relazione: a) alla assoluta irrilevanza della datazione della scrittura di permuta (preliminare o definitiva che fosse) al giugno 1995, essendo stata definitivamente esclusa nel giudizio di merito la opponibilità alla G. della suddetta data, ai sensi dell’art. 2704 c.c.; b) all’epoca in cui era sorto il credito della G., con la prima ordinanza presidenziale dell’aprile 1991, anteriore anche alla data (sebbene non certa) della suddetta permuta.

Il motivo di ricorso in esame contiene anche la denunzia di omesso esame del fatto costituito dalla sussistenza di relazioni commerciali e di lavoro tra il M. ed il S., che avrebbero potuto giustificare l’operazione di permuta delle partecipazioni.

Per quest’ultimo aspetto esso è difficilmente comprensibile, non essendo chiarita la ragione del carattere decisivo del fatto, nell’ottica di parte ricorrente. Può comunque osservarsi che se (come pare) si tratta di una censura relativa alla sussistenza del pregiudizio derivante alla creditrice dagli atti dispositivi impugnati, essa rappresenta all’evidenza una inammissibile richiesta di riesame di accertamenti di fatto incensurabilmente operati in sede di merito. La corte di appello ha infatti convincentemente ritenuto, ampiamente argomentando, anche sulla base di elementi tratti dalle consulenze tecniche di ufficio disposte nel giudizio di separazione coniugale tra il M. e la G., che la complessiva operazione posta in essere con il S. non era affatto conveniente per il primo, per il quale essa costituiva un sostanziale impoverimento, che per di più si inseriva nel più ampio quadro della sua progressiva spoliazione patrimoniale (e/o comunque di una progressiva volatilizzazione dei suoi beni più facilmente aggredibili dai creditori, come le partecipazioni sociali, a favore di danaro liquido).

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto della citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti a pagare le spese del presente giudizio in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2016

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