Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2321 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 06/06/2016, dep.31/01/2017),  n. 2321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12345-2013 proposto da:

CHIAREDIL SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, Sig. S.S., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLA VITE 7, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CRISOSTOMO

SCIACCA, rappresentata e difesa dall’avvocato ELENA AUGUSTIN giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F. EUROMERCATO SRL (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

F. EUROMERCATO SRL (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante p.t. sig. F.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. AVEZZANA 1, presso lo studio

dell’avvocato ORNELLA MANFREDINI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CLAUDIO PINNELLINI giusta procura speciale

in calce al ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

CHIAREDIL SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, Sig. S.S., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DI PORTA PINCIANA N. 6, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

CRISOSTOMO SCIACCA, rappresentata e difesa dall’avvocato ELENA

AUGUSTIN giusta procura speciale in calce al ricorso principale;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1610/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo,

rigetto del 2^ del ricorso principale, inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In seguito a comunicazione di disdetta della locatrice CHIAREDIL s.r.l., la conduttrice F. Euromercato s.r.l. conveniva detta società in giudizio per il pagamento della indennità di avviamento.

Il Tribunale di Prato con sentenza n. 770/2011 riconosceva il diritto vantato dalla conduttrice ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 34 determinando il relativo importo previa detrazione della somma liquidata a titolo di risarcimento danni arrecati alla cosa locata, richiesti in via riconvenzionale dalla CHIAREDIL s.r.l. ed accertati mediante espletamento di c.t.u..

La decisione di prime cure veniva parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Firenze che, con sentenza 25.1.2013 n. 1610, confermava il diritto all’indennità di avviamento, ritenendo affetta da nullità la clausola dell’art. 12 del contratto relativa alla rinuncia preventiva del conduttore alla predetta indennità in quanto compensata dal minore importo del canone, non essendo determinata la entità economica del diritto rinunciato, nè la misura della differenza applicata alla misura del canone; riduceva il risarcimento del danno liquidato al locatore ai soli costi necessari per il ripristino dell’impianto elettrico, non essendo stati riscontrati danni alle parti murarie e non essendo tenuto il conduttore alla rimozione delle addizioni; compensava in senso atecnico i rispettivi crediti, condannando CHIAREDIL s.r.l. al pagamento dell’importo residuo, nonchè alle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio liquidate per 2/3.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da CHIAREDIL s.r.l., che ha dedotto due motivi concernenti vizi per errores in judicando, con ricorso notificato in data 15.5.2013, ritenendo non validamente decorso il termine breve ex art. 325 c.p.c. dalla notifica in data 18.2.2013 della copia incompleta della sentenza.

Ha resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo, F. Euromercato s.r.l..

La società ricorrente ha notificato controricorso al ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudiziale è la risoluzione del contrasto tra le parti concernente il perfezionamento o meno della notifica della sentenza di appello eseguita a cura del difensore della F., ai sensi della L. n. 53 del 1994, al procuratore domiciliatario della CHIAREDIL s.r.l., al quale la copia autentica dell’atto è stata consegnata in data 18.2.2013.

Sostiene la ricorrente CHIAREDIL s.r.l. che la copia della sentenza notificata (ritualmente prodotta in allegato al ricorso per cassazione) era priva delle pag. 4 e 6 della motivazione (oltre che priva del timbro dell’Ufficio di congiunzione nelle pagine interne) e che pertanto risultava inidonea a far decorre, nei confronti del destinatario, il termine breve ex art. 325 c.p.c. per la impugnazione, tanto in considerazione sia della “irrilevanza ed inefficacia” dell’atto notificatorio in quanto “sostanzialmente diverso da quello dovuto secondo l’art. 137 c.p.c.” (Corte cass. 2^ sez. 16.6.1983 n. 4140), sia della nullità del procedimento notificatorio, tale da legittimare la parte destinataria alla impugnazione nel termine cd. lungo ex art. 327 c.p.c. (Corte cass. 5^ sez. 20.9.2006 n. 20361; id. 3^ sez. 7.2.2013 n. 2976).

Controdeduce F. s.r.l. sostenendo che la contestazione dell’attestazione di conformità all’originale, rilasciata dal Cancelliere del Giudice a quo in calce alla copia della sentenza notificata, poteva essere oggetto esclusivamente di querela di falso, e che eventuali lacune materiali della sentenza, priva di alcune pagine, determinavano un vizio di nullità sanabile ex art. 156 c.p.c., comma 3 per raggiungimento dello scopo, laddove, come nel caso di specie, le lacune non avevano comunque impedito alla parte destinataria di comprendere le ragioni posta a fondamento della decisione e di dedurre i relativi motivi di impugnazione difendendosi nel merito (Corte cass. 20.11.1981 n. 6184; id. 16145/2001; id. 12012/2002; id. 1751/2003; id. 15.4.2004 n. 7200).

Costituisce fatto incontroverso che la copia autentica della sentenza notificata, depositata in allegato al ricorso per cassazione, è carente delle pagine 4 e 6, ed è priva di timbro dell’Ufficio di congiunzione delle pagine interne.

Dal confronto tra la copia autentica della sentenza in possesso del notificante e prodotta in giudizio e della copia della sentenza notificata ricevuta dalla società ricorrente, emerge indiscutibilmente che le lacune della pagine 4 e 6 della motivazione, occultano le ragioni della decisione su due distinte questioni:

la questione pregiudiziale relativa alla rituale costituzione in giudizio in primo grado della convenuta CHIAREDIL s.r.l., ex art. 416 c.p.c., ai fini dell’accertamento della tempestività della proposizione della domanda riconvenzionale, risolta favorevolmente alla predetta società (pag. 4 motiv., sentenza) la questione di merito relativa all’accertamento dello stato dell’immobile locato in relazione alle opere di modifica eseguite alle addizioni realizzate ed alla verifica svolta dal CTU in ordine ad eventuali danni arrecati all’immobile: più esattamente il Giudice di appello, avvalendosi delle risultanze degli accertamenti tecnici espletati, ha statuito – rigettando in parte la domanda proposta da CHIAREDIL s.r.l. di condanna della conduttrice al risarcimento del danno ed alla rimozione delle opere modificative dell’immobile realizzate nel corso del rapporto – che “sono esclusi danni alle parti murarie che le addizioni non obbligano la conduttrice a ripristino alcuno…….che la funzionalità dell’impianto elettrico è certamente imputabile al comportamento della conduttrice che sarà tenuta a pagare la somma, determinata dal CTU, per gli interventi necessari a renderlo nuovamente operativo, quantificata in Euro 62.300,00…. (sentenza appello, motivazione, pag. 6).

Tanto premesso la eccezione di inammissibilità del ricorso principale, notificato oltre il termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c., comma 2, è infondata alla stregua del principio di diritto per cui la decorrenza del predetto termine rimane esclusa le volte in cui la nullità della notificazione della sentenza, per essere stata questa consegnata in copia incompleta, priva di una o più pagine, può essere affermata, in difetto di un’espressa comminatoria della nullità medesima, se il destinatario deduca e dimostri che detta incompletezza gli abbia precluso la compiuta conoscenza dello atto e quindi inciso negativamente sul pieno esercizio della facoltà di impugnazione dello stesso (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 391 del 15/06/1989. Anche con riferimento ad atti processuali diversi dalla sentenza, la giurisprudenza è univoca nell’affermare che l’eventuale mancanza di una pagina nell’atto processuale notificato può assumere rilievo solo in quanto lesiva del diritto di difesa e cioè abbia impedito al destinatario della notifica la comprensione dell’atto e, quindi, compromesso in concreto le garanzie della difesa e del contraddittorio: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 4334 del 28/04/1998; id. Sez. U, Sentenza n. 4112 del 22/02/2007; id. Sez. 2, Sentenza n. 1213 del 22/01/2010).

In contrario non vale la obiezione della resistente secondo cui il destinatario della notifica dell’atto incompleto sarebbe onerato della previa impugnazione di falso della attestazione di conformità all’originale apposta dal Cancelliere del Giudice a quo sulla copia della sentenza rilasciata alla parte per uso notifica, tenuto conto: a) che l’attestazione di conformità del Cancelliere, unico depositario dell’originale della sentenza e dunque competente in via esclusiva a spedirne copia autentica ex art. 2714 c.c. e art. 743 c.p.c. (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1914 del 27/01/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 10008 del 06/05/2011), non concerne anche la attività di verifica della effettiva corrispondenza della copia autentica con quella che, successivamente, è stata materialmente notificata ad istanza della parte interessata; b) che in caso di discordanza tra la copia e l’originale dell’atto di citazione, ai fini dell’accertamento della tempestività del compimento di attività processuali da parte del destinatario, la prima prevale sul secondo, dovendosi garantire l’affidamento del destinatario sull’atto ricevuto, non essendo questi tenuto a provare l’esattezza delle risultanze dell’atto ricevuto (sul quale soltanto poteva fare affidamento nel computare il termine utile per la proposizione dell’impugnazione); c) che dai predetti postulati consegue che, allegata e dimostrata dal destinatario la incompletezza dell’atto ricevuto (ed esclusa, pertanto, la ipotesi di alterazione o manipolazione dell’atto ricevuto da parte del notificato), la parte che ha eseguito la notifica e pretende di avvalersi degli effetti decadenziali della notifica della sentenza (completa in tutte le sue parti) validamente eseguita, è onerato di fornire la prova dei fatti costitutivi della eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, gravando sul notificante l’onere di verificare la rispondenza all’atto originale della copia notificata per suo conto, dovrà fornire la prova che l’atto materialmente spedito per la notifica era corredato di tutte le pagine che lo componevano (cfr., analogamente, nel caso di discordanza della data risultante dalle relate di notifica apposte sulla copia della sentenza notificata e su quella restituita al notificante, spetta al soggetto che eccepisca la decadenza – e, quindi, l’inammissibilità dell’impugnazione -, secondo gli ordinari principi di distribuzione dell’onere probatorio, di provare, mediante querela di falso trattandosi di contrasto tra due atti pubblici, la corrispondenza della relata stilata sull’atto in suo possesso all’effettivo svolgimento “quoad tempus” delle formalità di notifica: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 28230 del 20/12/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 19156 del 11/09/2014. Analogamente, in generale con riferimento a discordanze del contenuto dell’atto processuale notificato rispetto all’originale redatto dal notificante, in ordine ai quali sia stata verificata dall’Ufficiale giudiziario la conformità della copia all’originale: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 7037 del 07/07/1999; id. Sez. U, Sentenza n. 614 del 01/09/1999; id. Sez. 2, Sentenza n. 20783 del 25/09/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 14686 del 25/06/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 25577 del 03/12/2014).

La questione sottoposta all’esame della Corte va dunque risolta alla stregua degli indicati principi con il rigetto della eccezione pregiudiziale e l’accertamento della tempestività della notifica del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 327 c.p.c., non avendo la parte che ha notificato la sentenza di appello fornito prova che la copia notificata della stessa fosse completa di tutte le pagine, ed avendo la parte destinataria della notifica della sentenza incompleta, dimostrato la rilevanza che, nella comprensione del ragionamento svolto dal Giudice di merito e posto a fondamento della pronuncia sfavorevole a CHIAREDIL s.r.l., assumevano gli argomenti svolti nella pagina 6 della motivazione non inserita nella copia della sentenza ricevuta dalla società destinataria.

Venendo all’esame del ricorso principale, con il primo motivo si censura la sentenza di appello per violazione degli artt. 1590, 1592 e 1593 c.c., in punto di esclusione dal risarcimento dei danni delle opere modificative del capannone industriale (divisori in cartongesso, muratura e pannelli in legno; struttura metallica destinata al sostegno della illuminazione) realizzate dalla conduttrice ed accertate in sede di sopralluogo dall’ausiliario.

Sostiene la ricorrente che le norme indicate in rubrica non impedivano alla locatrice di chiedere la riduzione in pristino dell’immobile riconsegnato mediante eliminazione delle addizioni non migliorative.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la “ratio decidendi”.

Il Giudice di appello ha ritenuto che le parti, stipulando la clausola n. 7 del contratto di locazione, avessero convenzionalmente disciplinato la materia delle “modifiche, migliorie ed addizioni”, stabilendo che le opere realizzate dal conduttore – previo consenso preventivo scritto della locatrice – rimanevano “in ogni caso a beneficio della società locatrice che non sarò tenuta alla corresponsione di alcuna indennità”, con la conseguenza che, non essendo contestato che le opere fossero state eseguite con il consenso della locatrice, l’acquisizione in proprietà delle stesse da parte di CHIAREDIL s.r.l. escludeva a priori la configurabilità di un danno risarcibile per violazione da parte di F. s.r.l. dell’obbligazione di restituzione dell’immobile “nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta”, fatto salvo il normale deterioramento risultante dall’uso della cosa effettuato in conformità al contratto.

La ricorrente non svolge censure alla interpretazione – letterale – della clausola contrattuale fatta dal Giudice di appello, omettendo peraltro di trascrivere per intero le disposizioni della clausola n. 7 del contratto, e neppure prospettando una diversa esegesi del testo contrattuale, limitandosi soltanto ad affermare che, non costituendo dette opere “addizioni migliorative” non facilmente separabili dalla cosa, il conduttore era tenuto a rimuoverle ex art. 1590 c.c., comma 1 e art. 1593 c.c..

Premesso che l’accertamento della natura delle opere eseguite sull’immobile è questione di merito, non deducibile avanti la Corte di legittimità, è appena il caso di rilevare come tale accertamento non abbia affatto costituito la “ratio decidendi” della sentenza, atteso che la Corte territoriale ha espressamente reputato irrilevante procedere a detta verifica, in quanto la specifica clausola contrattuale prescindeva dalla distinzione tra “addizioni migliorative” ed “addizioni non migliorative”, prevedendo l’acquisizione in proprietà al termine del rapporto locativo di qualsiasi opera eseguita dalla conduttrice sia essa “addizione”, “miglioria” o semplice modifica dell’immobile rispetto allo stato del bene come descritto al tempo della consegna all’inizio del rapporto.

Tale statuizione non è inficiata dall’argomento svolto dalla ricorrente secondo cui l’art. 1593 c.c. legittima il conduttore a pretendere la rimozione delle “addizioni non migliorative”, facilmente separabili dalla cosa locata: la censura è dunque inammissibile.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 34 e 79 Legge equo canone e degli artt. 1362 e 1367 c.c..

La società ricorrente, da un lato, ritiene errata l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la clausola n. 12 del contratto confinava la rinuncia al diritto alla indennità di avviamento a quei soli fatti determinativi della anticipata risoluzione del rapporto che fossero imputabili alla conduttrice, atteso che la disposizione così intesa sarebbe stata superflua, in quanto meramente reiterativa della previsione legale della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 1: pertanto si imponeva – secondo la ricorrente – una diversa interpretazione della disposizione, in applicazione del criterio ermeneutico dell’art. 1367 c.c., secondo cui la indennità non spettava in caso di esercizio della facoltà di disdetta del locatore; dall’altro ritiene che il vantaggio economico conseguito dalla società conduttrice, con la riduzione del canone come contropartita della rinuncia alla indennità di avviamento, era desumibile dal confronto tra l’importo del canone annuo richiesto dalla locatrice CHIAREDIL s.r.l. (Euro 130.663,60) e quello invece richiesto dalla conduttrice F. s.r.l. alla società subconduttrice (Euro 387.342,67), come risultava dai documenti prodotti dalle parti in primo grado.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Osserva il Collegio che la prima parte della censura si rivolge, non ad una statuizione della sentenza, ma ad una semplice premessa introduttiva alla “ratio decidendi”, volta semplicemente ad evidenziare l’ambigua costruzione sintattica della disposizione, della quale tuttavia la Corte territoriale non ritiene indispensabile procedere alla ricerca della volontà negoziale delle parti attraverso il ricorso ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c.: il Giudice di appello si è limitato, infatti, a rilevare che la disposizione contrattuale (clausola n. 12) contiene una prima parte che appare superflua (in quanto appunto meramente reiterativa della prescrizione legale dell’art. 34, comma 1 legge equo canone che nega il diritto alla indennità di avviamento in caso di risoluzione anticipata del rapporto per fatto imputabile al conduttore), alla quale segue, secondo una incerta correlazione sintattica, la proposizione alla quale la locatrice riconduce la dichiarazione di “rinuncia”, in ogni caso, alla indennità di avviamento in ipotesi spettante alla conduttrice (“nulla sarà dovuto, in nessuna occasione, alla società conduttrice a titolo di indennità di avviamento nel caso in cui la cessazione del rapporto di locazione sia dovuta ad inadempimento, disdetta, recesso o fallimento della società conduttrice, dichiarandosi espressamente che dell’importo eventualmente dovuto a tale titolo ne è stato già tenuto conto nella determinazione del canone di locazione”), e quindi è passato – comunque – ad esaminare le ragioni per cui, indipendentemente dalla considerazione della astratta liceità del patto di rinuncia alla indennità in compenso ad altri vantaggi economici, tuttavia “in concreto” la clausola negoziale in esame “non possa costituire valida rinuncia”.

Il Giudice di appello, dunque, non ha affatto escluso che la clausola in questione potesse essere interpretata come rinuncia dietro compenso alla indennità di avviamento, fuori dei casi di cessazione anticipata del rapporto imputabile alla conduttrice, e dunque la critica rivolta sul punto dalla società ricorrente, che invoca la violazione dei criteri ermeneutici dei negozi, per sostenere che la clausola n. 12 conteneva una rinuncia della conduttrice alla indennità, appare del tutto inconferente.

La seconda parte della censura, concernente l’asserito compenso attribuito alla conduttrice per la rinuncia al diritto alla indennità di avviamento, è in parte inammissibile ed in parte infondata in quanto la parte ricorrente:

si limita a richiamare precedenti giurisprudenziali di questa Corte che, sul presupposto dell’assenza di regolamentazione vincolata del canone di locazione degli immobili ad uso diverso, hanno ritenuto compatibile con la norma di cui all’art. 79 legge equo canone, dapprima con accordo stipulato solo al tempo della alla cessazione del rapporto, quindi con accordo stipulato anche al momento della stipula del contratto di locazione, non solo la transazione ma anche la rinuncia al diritto alla indennità di avviamento, ove compensato da altri vantaggi economici derivanti dalla esecuzione del medesimo contratto di locazione (quale ad esempio la riduzione dell’importo del canone) introduce questioni di fatto, concernenti la attività di valutazione di elementi probatori, ritenendo omesso da parte della Corte territoriale l’esame di documenti, prodotti in primo grado, attestanti il diverso importo del canone richiesto da CHIAREDIL s.r.l. alla conduttrice e di quello – notevolmente maggiore – richiesto dalla F. s.r.l. al proprio subconduttore: tal modo la ricorrente intende far valere un “error facti” attraverso la censura del diverso vizio di legittimità della violazione di norme di diritto, attribuendo – peraltro – rilevanza ai fini dell’accertamento del contenuto dell’accordo sulle rispettive concessioni, e dunque ai fini della ricostruzione della volontà negoziale delle parti, non al comportamento anteriore o posteriore alla conclusione del contratto, che le stesse hanno tenuto nello svolgimento delle “loro” reciproche relazioni (comportamenti “comuni” in quanto riferibili e rivolti agli stessi contraenti, e non anche a soggetti terzi: arg. ex art. 1362 c.c., comma 2), ma ad un fatto del tutto estrinseco a tali relazioni, in quanto coinvolgente un diverso rapporto, intrattenuto da una delle parti con soggetto terzo, e rimesso a valutazioni economiche e scelte negoziali eminentemente discrezionali, che in quanto tale non assume alcuna rilevanza ai fini della individuazione del contenuto del contratto di locazione oggetto della presente controversia, non potendo pertanto costituire l’importo del canone praticato nel distinto rapporto di sublocazione, valido “tertium comparationis” – quale “oggettivo” valore di mercato – per dimostrare se e quale fosse la utilità economica che, nel diverso rapporto tra CHIAREDIL s.r.l. e F. s.r.l. veniva a giustificare, compensandola, la rinuncia della conduttrice alla indennità di avviamento: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 415 del 12/01/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 12535 del 19/07/2012) non investe specificamente la statuizione della Corte d’appello secondo cui la clausola contrattuale in questione integrava un esercizio del potere di rinuncia abdicativa al diritto da ritenersi invalido, in quanto privo di “oggetto determinabile”, non essendo evincibile dall’intero testo contrattuale (e dunque anche applicando il criterio logico-sistematico, valutando la clausola n. 12 in connessione con le altre disposizioni del testo contrattuale) la effettiva entità economica dei diritti, rispettivamente, del locatore alla percezione del canone e del conduttore alla indennità di avviamento, sì da consentire la verifica, in base alla entità della riduzione del canone concessa dal locatore ed alla entità dell’indennità che all’esito del durata del rapporto sarebbe spettata al conduttore e che da questi era stata rinunciata, del mantenimento del sinallagma contrattuale condizione alla quale è subordinato il giudizio di liceità delle variazioni apportate dai contraenti alle previsioni legali in quanto considerate non eccedenti i limiti consentiti dall’art. 79 legge equo canone.

Il ricorso principale deve essere in conseguenza rigettato.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale F. Euromercato s.r.l. impugna la sentenza di appello per violazione degli artt. 1588 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria” motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, investendo la statuizione che condanna la società conduttrice al risarcimento dei danni cagionati all’immobile dalla rimozione dei quadri elettrici, avendo riconsegnato l’immobile locato con impianto elettrico non funzionante.

Il motivo pur espressamente indicato nella intestazione e nella esposizione del controricorso (punto 4, pag. 21) come condizionato, deve essere egualmente esaminato dalla Corte atteso che il condizionamento viene esplicitamente posto dalla ricorrente incidentale con riferimento esclusivamente alla questione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso principale per decorso del termine breve di impugnazione: il rigetto di tale eccezione determina quindi l’accesso al sindacato di legittimità delle censure prospettate con il ricorso incidentale.

Il motivo è inammissibile, quanto alla censura del vizio logico di motivazione dedotto in relazione ad insufficienza argomentativa circa la prova del danno, venendo a chiedere la società ricorrente il sindacato di legittimità in base a parametri normativi non più vigenti, trovando applicazione al ricorso incidentale – proposto avverso la sentenza di appello pubblicata in data 25.1.2013 – l’art. 360 c.p.c., comma 1, nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, il n. 5 (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012), delimitando l’errore di fatto all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il controllo del vizio di legittimità (fino ad allora esteso anche al processo logico argomentativo fondato sulla valutazione dei fatti allegati assunti come determinanti in esito al giudizio di selezione e prevalenza probatoria, potendo essere censurata la motivazione della sentenza, oltre che per “omessa” considerazione di un fatto controverso e decisivo dimostrato in giudizio, anche per “insufficienza” e per “contraddittorietà” della argomentazione) rimane, pertanto, circoscritto alla verifica del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – secondo cui tale requisito minimo non risulta soddisfatto esclusivamente qualora ricorrano quelle stesse ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si risolvono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Al di fuori delle ipotesi indicate (attinenti alla “esistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale) residua ormai soltanto l’omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/0612016).

Rimane dunque estranea al predetto vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, valutando la maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 che, icasticamente, afferma come il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non essendo, pertanto, censurabile con il vizio in questione errori attinenti alla individuazione di “questioni” o le “argomentazioni” relative all’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), risultando in ogni caso precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015).

Il motivo è invece infondato quanto al dedotto vizio di “error juris”, atteso che la violazione dell’art. 2697 c.c., intesa come regola di giudizio (ric. incid. pag. 24) secondo cui la incertezza sulla prova del fatto costitutivo della pretesa determina il rigetto della domanda, non trova alcun riscontro nella sentenza di appello, laddove il Giudice di merito operando una valutazione comparativa degli elementi istruttori (attestazione del normale stato di conservazione del bene al momento della redazione del verbale di riconsegna; verbale di sopralluogo eseguito pochi giorni dopo, dal quale emergeva l’asportazione dei quadri elettrici di sezionamento, del quadro generale di distribuzione e del quadro elettrico situato nel vano cabina trasformazione, oltre alla asportazione degli armadi RAK) ha effettuato il giudizio di prevalenza probatoria accordando carattere dirimente ai rilievi eseguiti nel corso del secondo sopralluogo che trovavano conferma anche nelle conclusioni peritali e nella documentazione fotografica allegata alla c.t.u., e dunque ritenendo assolto l’onere gravante sulla società locatrice di fornire prova del danno arrecato all’impianto elettrico, non assumendo alcuna rilevanza – in difetto di prova contraria fornita dalla conduttrice sulla non imputabilità della rimozione delle componenti elettriche indicate – che l’impianto elettrico fosse preesistente alla locazione ovvero costituisse addizione realizzata in corso di rapporto (come sembrerebbe evincersi dal controricorso, pag. 14-16), atteso che anche in quest’ultima ipotesi la rimozione dei componenti integrerebbe una condotta illecita produttiva di danno patrimoniale, giusta la clausola contrattuale che attribuiva qualsiasi miglioria ed addizione in proprietà alla società locatrice.

Il ricorso incidentale deve in conseguenza essere rigettato.

In conclusione entrambi i ricorsi principale ed incidentale debbono essere rigettati, con integrale compensazione tra le parti delle spese di legittimità nonchè delle spese relative al procedimento di sospensione ex art. 373 c.p.c..

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente principale ed il ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui le impugnazioni siano state integralmente rigettate, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale dichiarando integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità e del procedimento di sospensione ex art. 373 c.p.c.;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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