Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23207 del 18/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/09/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 18/09/2019), n.23207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17865/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente –

contro

BOTTEGA VENETA S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro-tempore, rappresentata e difesa giusta procura speciale in calce

al controricorso dall’Avv. Giuseppe Marino, elettivamente

domiciliata presso lo Studio dell’Avv. Fabrizio Gizzi in Roma, via

Oslavia n. 30.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 60/33/11 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata il 26 maggio 2011.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

marzo 2019 dal Consigliere Gianluca Grasso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale De

Augustinis Umberto che ha concluso per l’accoglimento del quarto

motivo, assorbiti i restanti;

udito l’Avvocato dello Stato Francesca Subrani e l’Avvocato Giuseppe

Marino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Bottega Veneta s.r.l. ha proposto due autonomi ricorsi avverso gli avvisi con cui l’Agenzia delle dogane aveva ritenuto erronee le dichiarazioni di importazione, rese nel periodo 2005/2007, relative a cuoi di suino, indicando la corretta classificazione doganale delle merci importate nel codice NC 4114 1090 00 “cuoi e pelli scamosciati”, provvedendo a rettificare gli importi dovuti dalla società.

La Commissione tributaria provinciale di Milano, riuniti i ricorsi, ha accolto le doglianze della contribuente, ritenendo nel merito che l’Amministrazione non avesse assolto l’onere probatorio su di lei gravante.

2. – La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha respinto l’appello dell’Agenzia delle dogane, annullando gli avvisi rettifica per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, stante il suo mancato rispetto, ed evidenziando nel merito, come indicato in primo grado, che l’Agenzia non avesse assolto l’onere probatorio a suo carico.

3. – L’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

La Bottega Veneta s.r.l. si è costituita con controricorso, proponendo altresì un ricorso incidentale.

In prossimità dell’udienza, la società contribuente ha depositato una memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. 212 del 2000, art. 12, comma 7; violazione 11 del D.Lgs. n. 374 del 1990, anche in combinato disposto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Parte ricorrente, al riguardo, evidenzia l’errore cui è incorsa la Commissione tributaria regionale che ha dichiarato l’illegittimità degli avvisi di rettifica per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, in quanto la garanzia partecipativa, prevista da tale disposizione, opera nelle sole ipotesi in cui l’Amministrazione utilizzi gli strumenti degli accessi e ispezioni presso la sede del contribuente. Di conseguenza, tale previsione è inapplicabile in materia di accertamento di tributi doganali, poichè l’attività di revisione, come avvenuto nel caso di specie, viene svolta dall’Ufficio su base documentale nelle sedi dell’Amministrazione finanziaria.

Si evidenzia altresì che è stato del tutto pretermesso il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, norma speciale in materia doganale, che prevede dei meccanismi di difesa per l’importatore in sede amministrativa: un contraddittorio preventivo attivato dall’Agenzia delle dogane prima della conclusione della revisione, nel rispetto del principio di effettività del diritto di difesa, sancito dal diritto comunitario (art. 11, comma 2); un secondo mezzo di impugnativa amministrativa, successivo alla revisione già operata, regolato dall’art. 11, comma 7, e che consiste nella contestazione della rettifica attraverso uno strumento di tutela amministrativa rimesso alla discrezionalità del contribuente.

Parte ricorrente, al riguardo, evidenzia che la società importatrice è stata informata dell’avvio della procedura di revisione, con richiesta di fornire la documentazione in suo possesso, atta a dimostrare la corretta dichiarazione del valore in dogana e degli altri elementi assunti a base delle dichiarazioni doganali di importazione oggetto di revisione (verbale di revisione prot. n. (OMISSIS) del 30/05/2008, nonchè riconosciuto e documentato dalla stessa intimata a pag. 2 dei ricorsi introduttivi). La società importatrice ha inoltre provveduto a trasmettere la documentazione richiesta, unitamente a copia della relazione di perizia redatta in data 27/09/2006 dal Dott. T.G., su incarico della stessa, a seguito di esame di due campioni di merci di pelli di maiale (lettera del 18/04/2008, pervenuta all’Ufficio il 23/04/2008, del 13/05/2008 ed e-mail del 13/05/2008 e 22/05/2008). La Bottega Veneta S.r.l., quindi, sarebbe stata posta in condizione di svolgere le proprie difese in sede amministrativa.

1.1. – In via preliminare vanno respinte le eccezioni di inammissibilità formulate nel controricorso in relazione alla scarsa e insufficiente esposizione sommaria dei fatti di causa e conseguente violazione del principio di autosufficienza, poichè l’analisi del ricorso principale consente di comprendere lo svolgimento dei fatti di causa che hanno portato al ricorso per cassazione. Allo stesso modo risulta infondata l’eccezione di inammissibilità relativa all’esposizione dei motivi di diritto, giacchè il loro esame consente di comprendere, in maniera circostanziata, le ragioni di critica avanzate nei confronti della pronuncia della Commissione tributaria regionale.

1.2. – Il motivo è fondato.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di avvisi di rettifica in materia doganale, è inapplicabile la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, operando in tale ambito lo jus speciale di cui al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, nel testo utilizzabile ratione temporis, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto all’impugnazione in giudizio del suddetto avviso, come confermato dalla normativa sopravvenuta (D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27), la quale, nel disporre che gli accertamenti in materia doganale sono disciplinati in via esclusiva dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, ha introdotto un meccanismo di contraddittorio assimilabile a quello previsto dallo Statuto del contribuente (Cass. 2 luglio 2014, n. 15032).

Come recentemente affermato da questa Corte, non sussiste alcuna violazione nè dei principi unionali, nè degli artt. 3 e 24 Cost., perchè il procedimento previsto dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, tutela il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo e, dunque, il suo diritto di difesa endoprocedimentale (Cass. 25 gennaio 2019, n. 2175).

In materia doganale, il rispetto del principio del contraddittorio nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente previsto dal Reg. (CEE) n. 2913 del 1992 (codice doganale comunitario) – sostituito dal Reg. (UE) n. 952 del 2013 (codice doganale dell’Unione) – deriva dal disposto del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, e costituisce, in ogni caso, un principio generale del diritto dell’Unione Europea, che trova applicazione tutte le volte che l’Amministrazione possa assumere nei confronti di un soggetto un atto lesivo (Cass. 23 maggio 2018, n. 12832).

Anche in questo caso, tuttavia, la violazione del diritto al contraddittorio nel corso del procedimento amministrativo può portare, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, all’annullamento del provvedimento conclusivo solo se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Cass. 8 gennaio 2019, n. 218).

Pur riconoscendo la violazione del principio del contraddittorio, la Commissione tributaria regionale non è entrata nel merito della controversia come avrebbe dovuto, al fine di accertare – come specificato dalla costante giurisprudenza di questa Corte – la dimostrazione da parte del contribuente di un pregiudizio concreto al proprio diritto di difesa.

2. – Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Si osserva, al riguardo, che la seconda ratio decidendi, cui è affidato il dispositivo di rigetto del gravame, è costituita dalla seguente frase: “in ogni caso nel merito l’Agenzia delle Dogane come indicato in primo grado non ha assolto l’onere probatorio posto a suo carico con la conseguenza che l’atto impositivo è nullo”. Si sottolinea che tale laconica affermazione integra una motivazione meramente apparente in quanto si risolve in un inammissibile rinvio per relationem alla sentenza di primo grado.

2.1. – Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del motivo, avendo denunciato parte ricorrente la nullità della sentenza per mancanza assoluta di motivazione e riportando esattamente il motivo la parte della pronuncia censurata.

2.2. – Il motivo è fondato.

La sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 5 novembre 2018, n. 28139; Cass. 19 luglio 2016, n. 14786).

Nella specie, i giudici del gravame non hanno effettuato alcuna valutazione critica dei motivi di doglianza, limitandosi – in maniera del tutto apodittica – a ritenere che l’Amministrazione, come indicato in primo grado, non avesse assolto l’onere probatorio a suo carico. Si è dinanzi, pertanto, a una motivazione del tutto apparente e priva dei suoi elementi necessari.

3. – L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale determina l’assorbimento del terzo (in merito al mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a carico dell’ufficio per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e del quarto motivo (omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, riguardanti lo scrutinio delle circostanze fattuali articolate nel ricorso in appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), mentre rende inammissibile il ricorso incidentale (riguardo all’omessa pronuncia della Commissione tributaria regionale in ordine: al motivo di appello incidentale sollevato dalla società in relazione al rilievo in materia di Iva per carenza di motivazione e manifesta infondatezza; al motivo di appello incidentale sollevato in relazione al difetto di motivazione sulla compensazione delle spese di lite. Violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, laddove la Commissione tributaria regionale non ha condannato controparte alla refusione delle spese di giudizio, sostenendo erroneamente che la società non avesse proposto la domanda nel proprio atto di controdeduzioni e appello incidentate, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, e dell’art. 91 c.p.c. per inosservanza del principio della soccombenza da parte del giudice del gravame non avendo condannato l’Ufficio soccombente alla refusione delle spese di lite, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto tali questioni possono essere riproposte e discusse nel giudizio di rinvio.

4. – La sentenza va dunque cassata con rinvio, anche per l’esame delle questioni rimaste assorbite, alla Commissione tributaria della Lombardia in diversa composizione, che provvederà alla liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti i restanti; dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria della Lombardia in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2019

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