Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23206 del 20/08/2021

Cassazione civile sez. I, 20/08/2021, (ud. 09/04/2021, dep. 20/08/2021), n.23206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21794/2020 proposto da:

D.B., elettivamente domiciliato presso l’avv. Chiara

Bellini, dalla quale è rappres. e difesa, con procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 747/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/04/2021 dal Consigliere, Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

D.B., cittadino del (OMISSIS), impugnò, innanzi al Tribunale di Venezia, il provvedimento della Commissione territoriale di diniego delle domanda di protezione internazionale ed umanitaria. Il Tribunale respinse il ricorso avverso tale provvedimento e il B. propose appello che la Corte d’appello ha rigettato, con sentenza emessa il 26.2.20, osservando che: non ricorrevano i presupposti delle varie forme di protezione richieste, avendo il ricorrente dedotto vicende private e considerato che dalle fonti esaminate non si desumeva una situazione di violenza indiscriminata nella regione di sua provenienza. D.B. ricorre in cassazione con due motivi.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. e), artt. 5, 7,14, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c ter, lamentando la mancata concessione delle protezioni internazionale, sussidiaria ed umanitaria, avendo al riguardo la Corte d’appello omesso lo svolgimento di indagini istruttorie circa quanto dichiarato dal ricorrente, senza tener conto del suo inserimento sociale nel territorio italiano e del periodo trascorso in Libia.

Il secondo motivo denunzia vizio di motivazione su punto decisivo, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, lett. a e c, avendo la Corte territoriale violato le norme in tema di cooperazione istruttoria in ordine ai presupposti del permesso umanitario.

Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 3 Cedu e art. 33 Convenzione di Ginevra, in punto di omesso espletamento dell’onere di cooperazione istruttoria, atteso che in caso di rimpatrio, il ricorrente correrebbe il rischio di subire un grave danno, vittima di tortura o trattamenti inumani.

Il ricorso va accolto per quanto di ragione.

Il primo motivo è fondato. Il ricorrente si duole che la Corte territoriale: non abbia riconosciuto le protezioni richieste, ritenendo non credibile il suo racconto in ordine alla fuga dal (OMISSIS) a seguito delle minacce di morte profferite nei suoi confronti dal patrigno a causa del suo rifiuto di sposare una ragazza di fede musulmana, essendo egli fidanzato con una ragazza di fede cristiana; abbia omesso di esercitare i poteri ufficiosi sulla situazione socio-politica del (OMISSIS), ai fini della protezione internazionale e sussidiaria e di motivare il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

La doglianza va accolta in ordine al rigetto dell’istanza di protezione umanitaria. Al riguardo, la sentenza impugnata ha motivato sull’insussistenza dei presupposti di ogni forma di protezione oggetto di causa, argomentando sia dall’inattendibilità del ricorrente, sia dall’esame delle fonti esaminate, dalle quali non si desume in (OMISSIS) una situazione indiscriminata di violenza derivante da conflitto armato. In ordine alle doglianze afferenti alle protezioni internazionale e sussidiaria, il ricorso deve ritenersi inammissibile in quanto diretto al riesame dei fatti, ovvero a ribaltare l’interpretazione della Corte territoriale.

Quanto alla protezione umanitaria, invece, le suddette motivazioni non sono esaurienti, avendo la Corte territoriale del tutto omesso di esaminare e pronunciarsi sugli specifici profili caratterizzanti gli allegati fatti costitutivi della fattispecie, oggetto del motivo d’appello, quali lo svolgimento di attività lavorativa dal 2016, come saldatore e poi con mansioni di operaio metalmeccanico (pur avendo il ricorrente dato atto che la stipula del contratto, per tali citate mansioni, è avvenuta dopo che la Corte d’appello si era riservata la decisione), e il periodo trascorso in Libia.

Gli altri motivi sono da ritenere assorbiti dall’accoglimento del primo. Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, anche perché provveda sulle spese del grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del grado di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021

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