Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23205 del 20/08/2021

Cassazione civile sez. I, 20/08/2021, (ud. 09/04/2021, dep. 20/08/2021), n.23205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14394/2020 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato presso l’avv. Chiara Bellini,

dalla quale è rappres. e difesa, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5489/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 2/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/04/2021 dal Consigliere, Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

B.E., cittadino del (OMISSIS), impugnò, innanzi al Tribunale di Venezia, il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della domanda di protezione internazionale ed umanitaria. Il Tribunale rigettò il ricorso, osservando che: il racconto reso dall’istante non era credibile (il ricorrente aveva riferito che a seguito di un incendio da lui provocato in una foresta, aveva lasciato il suo paese per il timore di essere arrestato, avendo peraltro appreso dal padre di essere ricercato dalla polizia); non sussistevano i presupposti della protezione internazionale e sussidiaria, né del permesso umanitario in mancanza di prove sulla vulnerabilità del ricorrente e della sua integrazione sociale in Italia.

E. ricorse in appello avverso la suddetta ordinanza, deducendo: l’omessa acquisizione di informazioni sulle vicende narrate dal ricorrente e sulla situazione socio-politica del (OMISSIS); l’omesso esame, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, della grave situazione delle carceri nel suo paese, avendo il ricorrente raggiunto una certa integrazione in Italia svolgendo attività lavorativa.

La Corte d’appello respinse il gravame, con sentenza del 2.12.19, osservando che: il racconto del ricorrente non era credibile, essendo inverosimile e lacunoso; pertanto, non ricorrevano i presupposti della protezione internazionale e sussidiaria, anche sulla base dei report esaminati, né era riconoscibile la protezione umanitaria poiché non sussisteva la condizione di vulnerabilità, considerando che non poteva tenersi conto dell’attività lavorativa o di attività di volontariato in quanto, altrimenti, si sarebbe ratificato un comportamento illecito a danno degli stranieri che hanno fatto regolarmente ingresso in Italia.

B.E. ricorre in cassazione con tre motivi.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), artt. 5, 14, , D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c ter, lamentando la mancata concessione delle protezioni sussidiaria ed umanitaria, avendo al riguardo la Corte d’appello omesso lo svolgimento di indagini istruttorie circa quanto dichiarato dal ricorrente, senza tener conto del suo inserimento sociale nel territorio italiano.

Il secondo motivo denunzia vizio di motivazione su punto decisivo, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, lett. a e c, avendo la Corte territoriale violato le norme in tema di cooperazione istruttoria in ordine ai presupposti del permesso umanitario.

Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 3 Cedu e art. 33 Convenzione di Ginevra, in punto di omesso espletamento dell’onere di cooperazione istruttoria, atteso che in caso di rimpatrio, il ricorrente correrebbe il rischio di subire un grave danno, vittima di tortura o trattamenti inumani.

Il ricorso va accolto.

I tre motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono fondati limitatamente alla protezione umanitaria. Anzitutto, va osservato che le doglianze afferenti al mancato riconoscimento delle protezioni internazionali e sussidiaria, non sono accoglibili, in quanto la Corte territoriale, con argomentazioni esaurienti ed incensurabili in questa sede, ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del ricorrente circa il pericolo grave in cui incorrerebbe nel caso di rimpatrio, escludendo, in base all’esame delle fonti, che in (OMISSIS) sussistesse una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Circa la protezione umanitaria, va osservato che la Corte territoriale ha ritenuto che non potesse essere riconosciuta sia perché le attività lavorative e di volontariato non costituivano, di per sé, indice d’integrazione sociale, sia in quanto, ritenendo il contrario, emergerebbe una ingiusta disparità di trattamento rispetto agli stranieri che legittimamente fanno ingresso in Italia per motivi di lavoro.

Ora, tale ultima argomentazione è suscettibile di critica nella parte in cui la Corte d’appello ha affermato che l’attività lavorativa e di volontariato non siano, in nessun caso, da considerare indici d’integrazione sociale ai fini del riconoscimento della condizione individuale di vulnerabilità, in quanto, in tal caso, vi sarebbe una ratifica di un comportamento illecito. Tale assunto muove dall’erroneo rilievo per cui il riconoscimento della protezione umanitaria costituirebbe una “ratifica” di un atto illecito, ovvero l’ingresso illegittimo nel territorio italiano.

Al riguardo, va evidenziato, al contrario, che le ragioni giustificative del permesso di soggiorno sono pacificamente espressione del diritto d’asilo, garantito dall’art. 10 Cost., sicché non è plausibile sostenere che le stesse ragioni possano costituire, nel contempo, un fatto illecito. Non e’, pertanto, corretto affermare che sia precluso al giudice l’esame dell’attività lavorativa al fine di riconoscerla come parametro della protezione umanitaria, poiché ciò equivarrebbe ad una ratifica di una condotta illecita, per la suddetta contraddizione sistematica che non lo consente.

Tale rilievo è altresì avvalorato dalla questione rimessa alle sezioni Unite sulla corretta interpretazione della normativa in materia circa le ragioni giustificative della concessione del permesso umanitario e sul rilievo da attribuire all’attività lavorativa e ad altre attività sociali potenzialmente espressive d’integrazione sociale.

Per quanto esposto, considerato che la Corte d’appello ha deciso di non riconoscere la protezione umanitaria muovendo dal predetto erroneo presupposto, i motivi vanno accolti, in parte qua, con rinvio al medesimo giudice perché provveda anche sulle spese del grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i tre motivi del ricorso, per le ragioni esposte in motivazione, e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del grado di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021

 

 

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