Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23203 del 04/10/2017

Cassazione civile, sez. VI, 04/10/2017, (ud. 27/04/2017, dep.04/10/2017),  n. 23203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE

155, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO TORNITORE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCA FEMIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro imposto dalla

leggo tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1915/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

C.L., avendo contratto il virus dell’epatite C. in seguito ad una emotrasfusione avvenuta nel (OMISSIS), nel 2004 convenne dinanzi al tribunale di Roma il Ministero della Salute, la Regione Lazio, e l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Frosinone, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della suddetta infezione; il Tribunale, con sentenza 11 dicembre 2008 n. 24467, rigettò la domanda nei confronti della regione e della Asl, per difetto di legittimazione passiva; rigettò altresì la domanda nei confronti del ministero ritenendo prescritto il relativo diritto;

la Corte d’appello di Roma, adita dalla soccombente, con sentenza 24 marzo 2014 n. 1915, rigettò il gravame, ritenendo che il termine di prescrizione fosse quello quinquennale di cui all’art. 2947 c.c., comma 1 e che tale termine dovesse farsi decorrere dal momento in cui la vittima presentò all’amministrazione competente la domanda di pagamento dell’indennizzo dovutole ai sensi della L. n. 210 del 1992, giacchè tale atto rendeva evidente la consapevolezza, da parte dell’istante, dell’esistenza del danno e della sua genesi causale;

la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da C.L., con ricorso fondato su un motivo, articolato in più profili di censura, ed illustrato da memoria;

ha resistito con controricorso il ministero della salute.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3 e 24 Cost.; artt. 2043,2935 e 2947 c.c.; L. n. 210 del 1992, art. 4;

sostiene che il dies a quo del termine di prescrizione dovrebbe individuarsi non già nel momento in cui la malata presentò la domanda di indennizzo agli organi competenti, ai sensi della legge 210 del 1992; ma dal successivo momento in cui il ministero della salute comunicò all’istante l’esito favorevole dell’esame svolto dalla commissione medica ospedaliera, con cui veniva ufficialmente accertata la sussistenza del nesso di causa tra la trasfusione e l’infezione;

il motivo è manifestamente infondato;

infatti, come già ripetutamente affermato da questa Corte, anche a sezioni unite, “in tema di responsabilità per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi, la presentazione della domanda di indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, attesta l’esistenza, in capo all’interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia e, pertanto, segna il limite temporale ultimo di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, senza che ciò esclude la possibilità di collocare l’effettiva conoscenza della rapportabilità causale della malattia in un momento precedente, tenendo conto delle informazioni in possesso del danneggiato e della diffusione delle conoscenze scientifiche, in base ad un accertamento che è rimesso al giudice del merito” (così, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 23635 del 18/11/2015; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 6213 del 31/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 28464 del 19/12/2013; Sez. 6-1, Ordinanza n. 16550 del 02/07/2013; e soprattutto Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008);

nessuno degli argomenti spesi dalla ricorrente nel proprio ricorso, e ripetuti sinanche ad litteram nella memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c., appare idoneo a superare questo consolidato orientamento;

in particolare, appare contrastante con ogni logica, e fors’anche con ogni etica, pretendere di sostenere – come fa la difesa della ricorrente che colui il quale chieda al Ministero una pensione per essere stato contagiato da una emotrasfusione, possa nello stesso tempo ignorare in buona fede di essere stato contagiato da una trasfusione;

fuori luogo, infine, appaiono i richiami della parte ricorrente alla decisione della Corte EDU, sez. 2, 11 marzo 2014, Moor ed altri contro Svizzera, la quale ha ritenuto che in determinate eccezionali condizioni le regole della prescrizione possono incidere sul diritto all’accesso alla giustizia, di cui all’art. 6, p. 1, della CEDU;

quella sentenza, infatti, avente ad oggetto un caso di risarcimento del danno da mesotelioma pleurico causato dall’esposizione ad amianto, era chiamata a decidere se fosse conforme alla CEDU la legislazione elvetica, nella parte in cui faceva decorrere il diritto al risarcimento del danno (non dalla data in cui la vittima ne fosse consapevole, ma) dalla data in cui iniziò l’esposizione del lavoratore all’amianto;

la Corte di Strasburgo, pertanto, accertato come il mesotelioma pleurico ha un periodo di latenza ultradecennale, ha concluso che il termine di prescrizione decennale decorrente dalla prima esposizione comportava la perdita a priori di qualsiasi diritto risarcitorio, perchè al manifestarsi della malattia quel diritto sarebbe stato sempre già prescritto;

ben diversa è l’ipotesi di danni da emotrasfusione, il cui diritto al risarcimento non decorre affatto dal contagio, ma dall’apparire dei sintomi e dalla loro riconducibilità causale all’infezione, il che impedisce che il diritto possa prescriversi a priori, prima che la vittima ne fosse consapevole;

le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate integralmente tra le parti, in considerazione del fatto che la lite iniziò nel 2004, ovvero in epoca antecedente l’intervento delle Sezioni Unite che ha fissato i principi sopra riassunti;

il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

 

(-) rigetta il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di C.L. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2017

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